Transizione digitale
Rassegna di giurisprudenza in merito alla transizione digitale

Sentenze inventate da ChatGPT. L'avvocato rischia la condanna. Non può essere accolta la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c. (lite temeraria) avanzata in seguito all’indicazione, in sede di comparsa di costituzione, di sentenze inesistenti, ovvero il cui contenuto reale non corrisponde a quello riportato. Il difensore della parte costituita ha dichiarato che i riferimenti giurisprudenziali citati nell’atto sono stati il frutto della ricerca effettuata da una collaboratrice di studio mediante lo strumento dell’intelligenza artificiale “ChatGPT”, del cui utilizzo il patrocinatore in mandato non era a conoscenza. L’IA avrebbe dunque generato risultati errati che possono essere qualificati con il fenomeno delle cc.dd. allucinazioni di intelligenza artificiale, che si verifica allorché l’IA inventi risultati inesistenti ma che, anche a seguito di una seconda interrogazione, vengono confermati come veritieri. In questo caso, lo strumento di intelligenza artificiale avrebbe inventato dei numeri asseritamente riferibili a sentenze della Corte di Cassazione inerenti all’aspetto soggettivo dell’acquisto di merce contraffatta il cui contenuto, invece, non ha nulla a che vedere con tale argomento. Il difensore, pur riconoscendo l’omesso controllo sui dati così ottenuti, ha chiesto lo stralcio di tali riferimenti, ritenendo già sufficientemente fondata la propria linea difensiva. Sul punto, la controparte ha rilevato l’errore di verifica della veridicità delle ricerche effettuate e, sottolineando l’abusivo utilizzo dello strumento processuale, ha chiesto la condanna ex art. 96 c.p.c. per aver in questo modo influenzato la decisione del collegio. Occorre rilevare come l’indicazione di tali riferimenti giurisprudenziali non era oggettivamente finalizzata ad influenzare il collegio. Per quanto riguarda poi l’applicazione del comma 1 del cit. art. 96 c.p.c., in linea generale il giudice ha ritenuto che pur recando in sé una necessaria indeterminatezza quanto agli effetti lesivi immediatamente discendenti dall’improvvida iniziativa giudiziale, impone, comunque, una, sia pur generica, allegazione della direzione dei supposti danni” (cfr. Cass., sez. II, sentenza n. 7620 del 26 marzo 2013). In applicazione di tali principi nel caso di specie, la domanda non può essere accolta, in quanto la parte non ha spiegato alcuna allegazione, neppur generica, dei danni subìti a causa dell’attività difensiva espletata della controparte (Tribunale di Firenze, ordinanza del 14 marzo 2025)
Illegittime le norme che non consentono alla persona con disabilità di usare la firma digitale per sottoscrivere una lista di candidati alle elezioni. La dignità umana è compromessa ogni volta in cui è lo stesso ordinamento giuridico che trasforma, in forza di un suo divieto o di una sua previsione, in inabile e bisognosa di assistenza una persona che, invece, sarebbe in grado, con propri mezzi, di provvedere a compiere una determinata attività». È quanto si legge nella sentenza numero 3, depositata oggi, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 9, terzo comma, della legge 17 febbraio 1968, numero 108 e 2, comma 6, del Codice dell’amministrazione digitale, nella parte in cui non prevedono per l’elettore, che non sia in grado di apporre una firma autografa per certificata impossibilità derivante da un grave impedimento fisico o perché si trova nelle condizioni per esercitare il voto domiciliare, la possibilità di sottoscrivere una lista di candidati per le elezioni. La sentenza ha ritenuto che oggi, in forza dello sviluppo tecnologico, non è più adeguato lo strumento, risalente a quando non esisteva la firma digitale, che l’ordinamento ha tradizionalmente messo a disposizione per queste specifiche situazioni, prevedendo che i presentatori di una lista di candidati, che non siano in grado di sottoscrivere per fisico impedimento, possono fare la loro dichiarazione in forma verbale, alla presenza di due testimoni, innanzi ad un notaio o al segretario comunale o ad altro impiegato all’uopo delegato dal Sindaco. Questa procedura presuppone, infatti, «che i soggetti abilitati a ricevere la dichiarazione verbale e i testimoni si rechino nel domicilio della persona con disabilità, con la conseguenza che a quest’ultima è imposto di attivarsi al fine di ottenere tale presenza, di sostenere gli eventuali oneri economici, e, se del caso, di tollerare una interferenza sulla propria riservatezza». In questi termini, la preclusione all’utilizzo della firma digitale anche per le persone con disabilità determina il paradosso per cui è l’ordinamento giuridico che, anziché rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, introduce esso stesso «un aggravio né necessario, né proporzionato rispetto all’esigenza di verificare l’autenticità e la genuinità della sottoscrizione della lista di candidati, parimenti conseguibile consentendo all’elettore con disabilità di utilizzare la modalità elettronica per sostenere la lista di candidati. Ciò determina l’illegittimità costituzionale della suddetta preclusione (Corte Costituzionale, ordinanza, 23 gennaio 2025, n. 3).
Le istanze e le dichiarazione firmate digitalmente sono valide anche senza l'allegazione della carta di identità. Le dichiarazioni rese ai sensi degli articoli 38 e 47 del D.P.R. 445 del 2000 (istanze e dichiarazioni da presentare alla pubblica amministrazione o ai gestori o esercenti di pubblici servizi nonché le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà) sono valide anche senza l’allegazione di copia del documento di identità del dichiarante, ove siano firmate digitalmente. “L’art. 65, al comma 1 del CAD, nell’indicare le modalità di valida presentazione per via telematica di istanze e dichiarazioni alle pubbliche amministrazioni e ai gestori di servizi pubblici, prevede alla lettera a) la sottoscrizione “mediante la firma digitale o la firma elettronica qualificata, il cui certificato è rilasciato da un certificatore accreditato”, ricomprendendovi, a tutti gli effetti, anche le dichiarazioni di cui al comma 3 dell’art. 38 del D.P.R. 445 del 2000. Quindi, secondo il richiamato precedente del Consiglio di Stato, deve ritenersi che “l’apposizione della firma digitale, a cagione del particolare grado di sicurezza e di certezza nell’imputabilità soggettiva che la caratterizza, sia di per sé idoneo a soddisfare i requisiti richiesti dichiarativi di cui al comma 3 dell’art. 83 del D.P.R. 445 del 2000, anche in assenza dell’allegazione in atti di copia del documento di identità del dichiarante” (cfr. Tar Lazio sez. terza sentenza n. 1595/2021 e. T.A.R. Lazio, sentenza n. 2757/2021) (TAR Catania, 28 novembre 2022, n. 3102)
In materia di appalti pubblici, firmare digitalmente un file compresso (.zip) assicura la certezza e l'integrità anche dei documenti in esso contenuti. La sottoscrizione con firma digitale del file compresso in formato “zip” ad opera dell’operatore economico accreditato sulla piattaforma di gara appare sufficiente ad assicurare certezza sulla provenienza e sull’integrità dei documenti da cui detto file è composto, garantendo il sostanziale rispetto del principio di par condicio tra i concorrenti in gara; il TAR richiama al riguardo la giurisprudenza secondo cui la funzione della sottoscrizione della documentazione e dell’offerta è di renderla riferibile al presentatore dell’offerta vincolandolo all’impegno assunto, con la conseguenza che laddove tale finalità risulti in concreto conseguita, con salvaguardia del sotteso interesse dell’amministrazione, non vi è spazio per interpretazioni formali delle prescrizioni di gara (TAR Puglia, 3 maggio 2022, n. 695)
Le copie cartacee equivalgono all'originale informatico se non sono espressamente disconosciute. L'art. 23, comma 2, del d.lsg 82/05, stabilisce che "le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale, se la loro conformità non è espressamente disconosciuta", aggiungendo che "resta fermo, ove previsto, l'obbligo di conservazione dell'originale informatico". Nel caso affrontato dalla Cassazione, non risultando che il curatore fallimentare avesse contestato la conformità all'originale degli estratti del ruolo, era precluso al Tribunale di disconoscere l'efficacia probatoria degli stessi, trattandosi di copie parziali su supporto analogico di un documento informatico, formate nell'osservanza delle regole tecniche che presiedono alla trasmissione dei dati dall'ente creditore al concessionario della riscossione, ed aventi quindi il medesimo valore del ruolo (Cass. Civ. I, 8 ottobre 2020, n. 21729). La previsione del 2° co. dell’art. 23 del d.lgs. n. 82/2005 a tenor della quale “le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta” (cfr. Cass. 30.10.2018, n. 27633, secondo cui la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, ma va operata a pena di inefficacia – in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale; Cass. (ord.) 13.12.2017, n. 29993) (Corte Cass, 26 marzo 2024, n. 8175)
La marca temporale non è un requisito di validità degli atti della pubblica amministrazione. Gli atti ed i certificati della P.A. sono assistiti da una presunzione di legittimità, che può essere inficiata solo da contestazioni precise e puntuali che individuino il vizio da cui l'atto sarebbe affetto e offrano contestualmente di provarne il fondamento (vedi, per tutte: Cass. 2 febbraio 2015, n. 1841; Cass. 21 maggio 2019, n. 13587; Cass. 27 gennaio 2020, n. 1739). Nella specie il ricorrente non allega né dimostra che le firme digitali poste in calce all'accordo non fossero conformi all'originale o che la data ivi indicata non corrispondesse al vero, ma lamenta solo la mancanza della "marca digitale", che non è un elemento essenziale dell'atto di cui si tratta, così come degli atti delle Pubbliche Amministrazioni in genere (Cassazione civ., 10 luglio 2020, n.14811)
La segnatura di protocollo costituisce un meccanismo di validazione temporale. Nelle Pubbliche Amministrazioni, la segnatura di protocollo e la posta elettronica certificata rappresentano due tipologie di validazione temporale largamente presenti e utilizzate nella gestione e trasmissione dei documenti informatici. Pertanto, qualora un documento informatico "transiti" per uno di questi due strumenti, acquisirà "automaticamente" una validazione temporale, assumendo con ciò tutti i benefici che ne derivano; […] f) l'unica accortezza che l'utente dovrà adottare, sarà quella di verificare che la firma apposta al documento informatico sia valida al momento dell'invio/ricezione della PEC o al momento della segnatura di protocollo. Diversamente, la validazione temporale risulterebbe intempestiva e quindi, non determinante per il prolungamento dell'efficacia giuridica della firma e del documento. Ne deriva che per i documenti informatici delle Pubbliche Amministrazioni - salva restando la responsabilità dei soggetti che formano il documento informatico - sono previsti sistemi diversi rispetto alla "marca temporale" al fine di individuare con certezza il momento di formazione del documento. (Cassazione civ., 10 luglio 2020, n. 14811)
L'utilizzo della PEC da parte dei privati nei confronti della pubblica amministrazione è un diritto. L’utilizzo da parte del privato delle tecnologie digitali nei rapporti di diritto pubblico non è demandato a una scelta discrezionale della pubblica amministrazione, ma rappresenta un vero e proprio diritto del cittadino. L’art. 3 del codice dell’amministrazione digitale (rubricato “diritto all’uso delle tecnologie”) sancisce che chiunque ha il diritto di usare, in modo accessibile ed efficace, la soluzione e gli strumenti informatici previsti dal codice ai fini, tra l’altro, della partecipazione al procedimento amministrativo. Al riconoscimento di siffatto diritto fa da contraltare l’obbligo dell’amministrazione di renderne effettivo l’esercizio, dotandosi di un domicilio digitale e curandone con diligenza la funzionalità. La telematica assurge infatti a modalità ordinaria di azione non solo nei rapporti tra pubbliche amministrazioni, ma anche tra queste e i privati nell’ambito del procedimento ammnistrativo (art. 3 bis l. 241/1990), rappresentando lo strumento preferenziale di esercizio dei diritti e delle facoltà procedimentali che le amministrazioni sono tenute per legge ad incentivare e che conserva, anche nella particolare declinazione procedimentale, i connotati di un diritto del cittadino (Consiglio di Stato, 6 febbraio 2023, n. 1211; cfr anche TAR Lazio, 17 aprile 2023 n. 6599)
La pubblica amministrazione deve garantire il corretto funzionamento della PEC. Non si può far gravare sul cittadino il rischio di mal funzionamento del domicilio digitale istituzionale. Così facendo si finisce per far gravare sul cittadino un rischio che è sottratto alla sua sfera di controllo e che rientra in quella dell’amministrazione e si impone in capo al primo un onere aggiuntivo di comunicazione che, non solo vanifica il diritto all’uso delle tecnologie digitali e frustra la ratio di efficienza e semplificazione che lo ispira, ma contrasta con la presunzione legale di cui all’art. 6 CAD, oltre che con il divieto di aggravamento del procedimento amministrativo previsto dall’art. 1 comma 2 l. 241/1990 [...] In relazione alla gestione della pec da parte di chi esercita un’attività professionale la giurisprudenza ha elaborato principi suscettibili di applicazione anche all’azione del soggetto pubblico (equiparabile, nel rapporto con il privato, ad un operatore professionale), sancendo che la mancata tempestiva ricezione dei documenti è imputabile esclusivamente a fatto omissivo del destinatario il quale, avendo indicato un indirizzo pec per la ricezione di atti inerenti ai rapporti con i cittadini e gli utenti, ha l’onere conseguente di mantenere funzionale la propria casella di posta. In un’ottica più generale di reciproca buona fede e leale collaborazione non è possibile dapprima imporre al cittadino l’uso della telematica quale strumento esclusivo di dialogo con l’ente, in conformità alla previsione di legge (art.3 bis l. 241/1990 e art. 24 l.r. 20 ottobre 2016 n. 24), e successivamente - e contraddittoriamente - imputare ad esso di non essersi attivato ulteriormente o diversamente per mancato funzionamento della pec causata all’ente medesimo. Né può ribaltarsi sul privato l’onere di diligenza dell’amministrazione, perché, sebbene possa convenirsi in ordine all’evenienza concreta della possibile saturazione della casella pec, ciò non significa che sia onere dei mittenti reiterare all’infinito i tentativi di inoltro, ma, al contrario, è onere del titolare della casella provvedere alla periodica manutenzione e sistematico svuotamento, proprio perché essa rappresenta il canale preferenziale e in alcuni casi esclusivo di dialogo con i privati. Nel caso di specie l’appellante ha trasmesso tempestivamente le proprie osservazioni e la documentazione è stata resa disponibile al domicilio del destinatario che non ha fornito la prova della mancata consegna per causa a lui non imputabile, con conseguente piena operatività della presunzione di ricezione sopra richiamata (Consiglio di Stato, 6 febbraio 2023, n. 1211; cfr anche TAR Lazio, 17 aprile 2023 n. 6599)
La PEC non garantisce la paternità degli allegati, ma solo la loro provenienze da colui che ha inviato la PEC. La certificazione della pec non comporta la certificazione (rectius, paternità) del documento, e dunque l'ammissione che quel documento è proprio. I due atti hanno funzioni diverse: certificare una pec significa attestare che essa proviene dal mittente, che contiene quanto allegato e che è stata inviata a quell'ora; ma non significa attestare altresì la veridicità di ciò che è allegato. Del resto, la firma digitale è un mezzo per sottoscrivere un documento informatico, e farlo proprio, mentre la certificazione della posta elettronica è mezzo di attestare la provenienza di quel documento: la posta elettronica certificata dimostra l'invio e la ricezione del messaggio, ma non garantisce il contenuto del documento allegato. Non si può, in altri termini, dalla circostanza che la posta elettronica è certificata, dedurre che anche il documento allegato lo è, o meglio, che quel documento è riferibile al suo autore, e che ha effettivamente quel contenuto. Si supponga il caso in cui con posta certificata si invia un documento dal falso contenuto, o proveniente da un terzo: si dovrebbe dire che, avendo il mittente certificato la posta (ossia attestato che proviene da lui e che è stata spedita a quell'ora) ha altresì attestato che il documento allegato è vero o che è riferibile ad un terzo. Del resto, se come assume il ricorrente, la certificazione della posta elettronica si estende al documento allegato, non si vede perché debba potersi contestare quest'ultimo solo per la mancata corrispondenza all'originale (2712 c.c.): la certificazione stessa vale a renderlo originale. La norma citata serve solo a far sì che le copie vengano verificate, ossia che, depositata in atti una copia, si dimostri che essa è conforme all'originale. Nel caso presente, non solo non risulta che il documento allegato alla PEC fosse una copia (altra cosa è il duplicato informatico), ma soprattutto, non può dirsi che fosse una copia per il fatto di non essere firmato digitalmente, non essendo la firma digitale (che può non esserci anche su un originale) a caratterizzare la copia o la riproduzione fotografica (Cass. Civ., 20 novembre 2023, n. 32165; cfr anche Cass. civ., 15 aprile 2024, n. 10091).
Per il notificante la notifica mezzo PEC si perfeziona con la ricevuta di accettazione. Nel caso di notifica telematica, il momento cui aver riguardo ai fini della determinazione del momento del perfezionamento della notifica medesima, per il notificante, non è quello della spedizione del messaggio pec, come pretende la ricorrente, in quanto incompatibile con il dettato normativo (per il quale la “prova dell’avvenuta spedizione” è data soltanto, come stabilito dall’art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 68/2005, dalla ricevuta di accettazione: Cass. n. 1519 del 2023, in motiv.), ma neppure quello in cui è generato il messaggio di “ricevuta di avvenuta consegna” (cd. RdAC) da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia, come ha ritenuto la corte d’appello (e sostenuto da una parte della giurisprudenza di questa Corte: Cass. n. 9087 del 2023). 3.5. L’unico momento rilevante, ai fini della verifica circa la tempestività della notifica telematica dell’atto processuale, è, piuttosto, alla luce del combinato disposto dei già citati artt. 3- bis, comma 3, della l. n. 53/1994, e 6, comma 1, d.P.R. n. 68/2005, nonché dell’art. 16-septies cit., nel testo risultante dalla pronuncia additiva di incostituzionalità più volte richiamata (“la notificazione si considera perfezionata … al momento di generazione della predetta ricevuta”), quello di generazione della ricevuta di accettazione (c.d. RAC) da parte del gestore di posta elettronica certificata del mittente. 3.6. Tale esegesi trova, del resto, supporto sia in ragioni di ordine sistematico (Corte cost. n. 75/2019 richiama in tal senso il “confinante ambito della disciplina del deposito telematico 7 Ric. 2022 n. 12760 - Sez. 1 - CC del 27 marzo 2024 degli atti processuali di parte, là dove, proprio in riferimento alla tempestività del termine di deposito telematico, il comma 7 dell’art. 16-bis del d.l. n. 179/2012, inserito dall’art. 51 del d.l. n. 90/2014, ha previsto che il <>”), sia in ragioni di carattere tecnico, apparendo evidente che, in sintonia con la ratio del principio della scissione del momento perfezionativo della notifica, solo la generazione della ricevuta di accettazione da parte del gestore della posta elettronica dello stesso mittente dà conferma dell’avvenuto regolare compimento da parte di quest’ultimo, quale notificante, di tutte le attività che allo stesso competono e che egli può e deve porre in essere per l’avvio del procedimento notificatorio (così Cass. SU n. 32091 del 2023, in motiv., la quale ha, in definitiva, ritenuto che la notificazione a mezzo pec si considera tempestiva ove il messaggio di accettazione del gestore di posta elettronica certificata del mittente (cd. RAC) sia stato generato entro le ore ventiquattro dell’ultimo giorno utile del termine; conf., Cass. n. 1519 del 2023, in motiv.). 3.7. Nel caso in esame, come emerge dalla documentazione allegata al ricorso per cassazione, il messaggio di accettazione (cd. RAC) del gestore di posta elettronica certificata del mittente è stato generato in data 19/2/2021 (Cass. 29 aprile 2024, n. 11380)
La ricevuta di avvenuta consegna “completa” è idoena a certificare anche la trasmissione degli allegati alla PEC. La ricevuta di avvenuta consegna “completa” di una PEC è mezzo idoneo a certificare non solo il recapito – nella casella di Posta Elettronica Certificata – del messaggio email, ma anche degli eventuali allegati alla stessa. Contro tale ricevuta è comunque ammessa prova contraria costituita da errori tecnici riferibili al sistema informatizzato”(Cassazione civ., 9 aprile 2019, n. 9897).
Gli indirizzi PEC sono dati personali. Veniva accertato che una dipendente del Comune aveva inviato un messaggio di posta elettronica certificata a nove partecipanti a una prova concorsuale, con gli indirizzi di posta elettronica degli stessi in chiaro, così rivelando gli indirizzi di posta elettronica di tutti i candidati. In questo modo, inoltre, veniva resa nota la circostanza che i destinatari - tutti candidati nell’ambito della procedura indetta dal Comune - avessero chiesto al Comune un cambio del proprio turno per effettuare una prova preselettiva. L’invio del messaggio di posta elettronica certificata con le predette modalità – che, come ammesso dal Comune, è stato effettuato in conseguenza di un errore commesso da una propria dipendente - ha comportato una comunicazione di dati personali in maniera non conforme al principio di “liceità, correttezza e trasparenza” e in assenza di una base giuridica, in violazione degli artt. 5, par. 1, lett. a), e 6 del Regolamento, nonché 2-ter del Codice (nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.l. 8 ottobre 2021, n. 139, vigente al tempo dei fatti oggetto di reclamo). La condotta è stata sanzionata dal Garante con una ammonizione al titolare del trattamento (Garante privacy, provvedimento,15 dicembre 2022)
Valore giuridico della email. I princìpi desumibili dalla legge sono pochi e semplici, e possono così riassumersi: a) il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma “semplice” è un documento informatico ai sensi dell’art. 2712 c.c.; b) se non ne sono contestati la provenienza od il contenuto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate [così già Sez. 6 – 2, Ordinanza 11606 del 14/05/2018, Rv. 648375 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 30186 del 27.10.2021 (in motivazione, pag. 4); Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3540 del 6.2.2019; una conferma a contrario di tali princìpi si ricava anche da Sez. 2 – , Ordinanza n. 22012 del 24/07/2023, la quale ha negato che una e-mail priva di firma elettronica avanzata soddisfi il requisito della forma scritta, ma solo se tale forma sia richiesta ad substantiam negotii]; c) se ne sono contestati la provenienza od il contenuto, il giudice non può espungere quel documento dal novero delle prove utilizzabili, ma deve valutarlo in una con tutti gli altri elementi disponibili e tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di sicurezza, integrità, immodificabilità (Cass. Civile, 21 maggio 2024, n. 14046)
L'email non ha l'efficacia di un documento scritto e firmato di pugno: Ai sensi del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 21, comma 2, (Codice dell'amministrazione digitale) - entrato in vigore, nel testo originario, in data 1 gennaio 2006 - il documento informatico (quale è la e-mail di cui si discute) "ha l'efficacia prevista dall'art. 2702 c.c." solo se è "sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica qualificata" (Cass. civile, sez. lav., 29 dicembre 2014, n. 27425)
L'email è liberamente valutabile dal giudice. In tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) privo di firma elettronica non ha l'efficacia della scrittura privata prevista dall'art. 2702 c.c. quanto alla riferibilità al suo autore apparente, attribuita dall'art. 21 del d.lgs. n. 82 del 2005 solo al documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, sicché esso è liberamente valutabile dal giudice, ai sensi dell'art. 20 del medesimo decreto, in ordine all'idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità. (Cass. civ., 8 marzo 2018, n. 5523)
Il disconoscimento di una fotografia deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha costantemente affermato che la fotografia costituisce prova precostituita della sua conformità alle cose e ai luoghi rappresentati, sicché chi voglia inficiarne l'efficacia probatoria non può limitarsi a contestare i fatti che la parte che l'ha prodotta intende con essa provare, ma ha l'onere di disconoscere tale conformità. (Cass. 9977/18; Cass. 8682/08; Cass. 2780/2004; Cass. 6322/1998). In particolare, si è ritenuto che in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 c.c. il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presunzioni semplici, deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta. (Cass. 17526/16) (Cass. Civile, sez. VI, 10 gennaio 2020, n.308)
Gli SMS fanno piena prova dei fatti e delle cose in essi rappresentati se colui contro il quale sono prodotti non ne disconosce la conformita ai fatti e alle cose medesime. Il giudice ha correttamente applicato l'art. 2712 cod. civ. riconducendo nell'ambito di tale disposizione, che ora ricomprende anche le riproduzioni informatiche prive di firma, il documento "sms"; ne consegue che anche l'efficacia probatoria degli sms è diretta emanazione del principio secondo cui essi formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale sono prodotti non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime; tuttavia, il disconoscimento della loro conformità ai fatti rappresentati non ha gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata, previsto dall'art. 215 comma 2 cod. proc. civ. perché, mentre in questo secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo, non può escludersi che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova comprese le presunzioni (cfr. Cass. 11445/2001) (Cass. Civ., 21 febbraio 2019, n. 5141)