Viabilità e trasporti
Rassegna di giurisprudenza in merito alla viabilità e trasporti

Circolazione stradale
Nozione di circolazione stradale. Il concetto di circolazione stradale di cui all'art. 2054 c.c. include anche la posizione di arresto e di sosta del veicolo e ciò in relazione sia all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia alle operazioni propedeutiche alla partenza o connesse alla fermata, sia, ancora, rispetto a tutte le operazioni che il veicolo è destinato a compiere e per il quale può circolare sulle strade; ne consegue che anche il movimento del motoveicolo che non mantenga la posizione di arresto a margine della strada e si riversi su un fianco cadendo su un pedone rientra nel concetto di circolazione rilevante ai fini dell'art. 2054 c.c. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della corte territoriale la quale aveva ritenuto che, per applicare la presunzione di garga ex art. 2054, comma 1, c.c., il danneggiato avrebbe dovuto provare che l'evento dannoso derivasse dalla circolazione, a cui la sosta può essere equiparata solo se il sinistro è eziologicamente collegabile al movimento del mezzo) (Cassazione civ,. 28 marzo 2022, n. 9948).
Provvedimenti limitativi della circolazione stradale. I provvedimenti relativi alla circolazione stradale ed all’individuazione di zone a traffico limitato (art. 9 e 9 bis del d.lgs 285/1992) sono caratterizzati da ampia discrezionalità, non potendo intervenire il sindacato di merito del giudice amministrativo, se non nei casi di vizi procedurali o di manifesta irragionevolezza. Peraltro, la finalità di regolazione della circolazione può consistere in misure parzialmente o totalmente interdittive in determinati contesti da tutelare, caratterizzati da elevato volume di traffico di veicoli e di persone (Nel caso di specie, la sezione assume che le determinazioni dell’amministrazione comunale di Firenze, in ordine alle limitazioni alla circolazione dei veicoli turistici ed alla previsione dei contingenti eccettuati dal divieto, non presentano illogicità evidenti suscettibili di sindacato in via giurisdizionale) (Consiglio di Stato, 7 gennaio 2025, n. 86)
Domanda di limitazione della sosta. Non sussiste, in capo all’amministrazione comunale, alcun obbligo di provvedere in ordine ad una istanza avanzata da un cittadino, tendente ad ottenere l’adozione di un provvedimento di limitazione della sosta e fermata su una strada comunale; infatti, anche a prescindere dalla natura pubblica o privata della via e dalla possibilità per il Comune di vietare la sosta nelle strade che non siano formalmente nella propria formale titolarità, ciò che viene domandata in giudizio è una specifica misura di regolamentazione della circolazione (l’imposizione di un divieto di sosta e di fermata lungo tutta la via), la cui adozione appartiene all’esclusiva discrezionalità dell’Ente locale e non può essere quindi sollecitata con il ricorso ex art. 117 del c.p.a. (TAR Friuli, 3 marzo 2022, n. 111)
Strade e pertinenze
Aree poste sotto ai viadotti. Non si applica l'art. 840 c.c. Sono pertinenze. Deve certamente riconoscersi in linea di principio che, per quanto concerne le strade, il regime della proprietà non può che essere quelli di generale di cui all'art. 840 c.c., con estensione usque ad sideras et af inferos della relativa proprietà, da nulla risultando che alla proprietà pubblica si applica, sul punto, un regime diverso da quello della proprietà privata (Cass. n. 3882/1985). Rimane tuttavia fermo che l'art. 840 c.c. si riferisce al sottosuolo, nel significato comune della parola, che indica lo strato sottostante alla superficie del terreno, ossia la zona esistente in profondità al di sotto dell'area superficiale del piano di campagna (Cass. n. 6587/1986; n. 632/1983). La nozione, quindi, non comprende l'area di sedime sottostante una strada pubblica in corrispondenza di un ponte o di un viaodtto. In questo caso, qualora la proprietà pubblica del suolo non risulti positivamente, si tratta di stabilire se sia operante la presunzione iuris tantum di demanialità delle aree accessorie alle strade pubbliche, quali pertinenze stradali (cfr. quanto all'area di sedime sottostante a un viadotto autostradale e alle zone immediatamente contigua, Cons. Stato n. 905/1991). Secondo consolidati principi giurisprudenziali, tale presunzione, che la dottrina e la giurisprudenza desumono dall'art. 22 l. n. 2248 del 1865, opera tradizionalmente sulla base di due presupposti. Il primo è di natura spaziale: occorre che l'area che si vorrebbe demaniale sia contigua o quantomeno comunicante con la strada pubblica (Cass. n. 4975/2007). Un secondo presupposto, per l'insegnamento consolidato, è di natura funzionale. Non basta che l'area sia contigua o comunicante con la strada, occorre in più che integri la funzione viaria (Cass. n. 8876/2011; n. 238/2004). Ricorrente tali presupposti sorge una presunzione iuris tantum di demanialità dell'area, come tale vincibile dal privato (Cass. n. 23705/2009; n. 4975/2007; SU n. 5522/1996). E' stato chiarito che la prova contraria può essere costituita, fra l'altro, anche dalla "preesistente natura privata dell'area in contestazione" (Cass. n. 18052/2009; Cons. Stato n. 1240/2001; Cass. n. 10309/1995; n. 1927/1993; S.U. n. 1038/1965). Secondo Cass. n. 2795/2017, con riferimento alle strade comunali, la destinazione pubblica della strada, deve essere "effettiva" e in più deve "rispondere a precisi requisiti di legge" (Corte di Cassazione, 3 aprile 2023, n. 9157)
Segnaletica stradale
Segnaletica. In tema di circolazione stradale, il principio di tipicità posto a fondamento della disciplina della segnaletica stradale comporta che un determinato obbligo (o divieto) di comportamento è legittimamente imposto all'utente della strada solo per effetto della visibile apposizione del corrispondente segnale specificamente previsto dalla legge; in particolare, per potersi ritenere sussistente, in capo agli automobilisti, un dovere di comportamento di carattere derogatorio rispetto ai principi generali in tema di circolazione veicolare (come dare la precedenza a chi viene da destra), è necessario il perfezionamento di una fattispecie complessa, costituita da un provvedimento della competente autorità impositivo dell'obbligo (o del divieto) e dalla pubblicizzazione di detto obbligo attraverso la corrispondente segnaletica predeterminata dalla legge, con la conseguenza che la conoscenza del provvedimento amministrativo acquisita aliunde dall'utente è del tutto inidonea a far sorgere qualsivoglia obbligo specifico nei suoi confronti, costituendo la segnaletica stradale non già una forma di pubblicità - notizia del comportamento imposto, bensì un elemento costitutivo della fattispecie complessa da cui l'obbligo stesso scaturisce (Cassazione civ., 29 marzo 2022, n. 10062)
Concessione per occupazione di suolo pubblico
Canone concessorio per condutture e cavi sotto le strade. Il canone non ricognitorio di cui all’art. 27, commi 7 e 8, del Codice della Strada è, quindi, una prestazione patrimoniale che si applica in correlazione con l’uso singolare della risorsa stradale (intesa ai sensi dell’art. 3, comma 1, n. 46, dello stesso codice, quale “superficie compresa entro i confini stradali”, comprensiva della carreggiata e delle fasce di pertinenza) e, dunque, in funzione della limitazione od esclusione dell’ordinaria fruizione generale. Ne consegue che, in linea di principio, alle occupazioni – come quella oggetto di tale controversia – finalizzate all’interramento di condutture non si applica il canone ricognitorio; si tratta infatti di una modalità di utilizzo della sede stradale che non preclude ordinariamente la generale fruizione della risorsa pubblica, limitandosi alla presenza nel sottosuolo dell’infrastruttura di servizio a rete. L’imposizione del canone non ricognitorio va, quindi, limitata temporalmente e fisicamente e può essere consentita in relazione all’arco temporale nel quale viene eseguito l’intervento di posa dell’infrastruttura e, più in generale, per il tempo in cui le lavorazioni di realizzazione impediscono la piena fruizione della sede stradale; una siffatta imposizione non può peraltro proseguire nel periodo successivo, durante il quale la presenza in loco dell’infrastruttura di servizio a rete non impedisce né limita la pubblica fruizione della sede stradale (Consiglio di Stato, sez. V, 4 novembre 2022, n. 9689)
Istanza e provvedimento. In tema di concessione temporanea per l'occupazione di suolo pubblico in favore di un soggetto privato, con contestuale autorizzazione allo scavo, l'istanza del concessionario, con espressa assunzione dell'obbligo di rispettare anche gli impegni relativi allo scavo sanzionati con clausola penale, recepita da un regolamento comunale, per il relativo inadempimento o ritardo nell'adempimento, cui faccia seguito il rilascio del provvedimento amministrativo che richiami detto obbligo, dà luogo ad una convenzione accessiva alla concessione validamente stipulata in forma scritta "ad substantiam", in base alla disposizione di cui all'art. 17 del r.d. n. 2440 del 1923 (Cassazione civ., Sezioni Unite, 25 marzo 2022, n. 9775)
Concessione-contratto. La concessione-contratto è una fattispecie complessa, in cui convergono un negozio unilaterale ed autoritativo della P.A., per effetto del quale il privato può divenire titolare di prerogative pubbliche, e una convenzione attuativa, che disciplina le modalità di svolgimento del rapporto tra l'ente concedente e il privato concessionario e dalla quale derivano obblighi e diritti reciproci; nell'ambito di tale figura, caratterizzata dalla contemporanea presenza di elementi pubblicistici e privatistici, è legittima la previsione di clausole penali, che svolgono la funzione civilistica di determinazione preventiva e consensuale della misura del risarcimento del danno derivante dall'inadempimento o dal ritardo nell'adempimento. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittima, ed avente natura privatistica, la clausola penale inserita nel Regolamento comunale, volto a disciplinare la concessione di suolo pubblico a privati per attività di scavo per la posa di cavi) (Cassazione civ., Sezioni Unite, 25 marzo 2022, n. 9775)
Telecomunicazioni. Autorizzazione allo scavo. Deposito o cauzione. Sono illegittime le disposizioni del regolamento comunale ed i relativi atti applicativi, nella parte in cui subordinano il rilascio dell’autorizzazione al preventivo deposito di una cauzione anche tramite polizza fideiussoria, trattandosi di un onere non previsto dalla legge. Il codice delle comunicazioni elettroniche – che ha recepito le direttive comunitarie intese a favorire la semplificazione delle procedure e la parità di trattamento degli operatori economici – contiene una disciplina speciale e derogatoria sugli oneri economici. Dette disposizioni prevedono misure regolatorie della concorrenza, evidentemente non derogabili tramite un regolamento provinciale (cfr. Corte Cost., 22 luglio 2013, n. 272, Corte Cost. 22 maggio 2010, n. 72). Segnatamente, per quanto qui rileva, l’art. 93, primo e secondo comma, del d.lgs. 259/2003 stabilisce che “Le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge…” e che “Nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto, in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al Codice o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta salva l’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446”. In definitiva, le occupazioni di suolo pubblico destinate alla realizzazione di reti di comunicazione elettronica sono soggette solamente alla Tosap/Cosap, sostituiti, in forza dell’art. 1, commi 837 e 838, l. 160/2019, da un canone unico (cfr. Cons. St. n. 4101/2022). La prescrizione è stata confermata dall’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 33/2016, recante le “misure volte a ridurre i costi dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità”. La norma da ultimo citata, d’interpretazione autentica, conferma il regime normativo derogatorio previsto all’art. 93 del codice delle comunicazioni elettroniche, ribadendo che le amministrazioni pubbliche non possono richiedere il pagamento agli operatori del settore di nessun onere economico altro e diverso dalla Tosap o dal Cosap. La giurisprudenza ha precisato che nel fornire tale interpretazione autentica, a conferma del rigore con cui è stato inteso il divieto, il legislatore non si è limitato “ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario”, ma, con un successivo intervento, ha espressamente esteso “il contenuto precettivo della limitazione dei poteri impositivi unilaterali degli enti territoriali ad oneri che trovino la loro fonte in qualsiasi altro titolo” (Cons. St. 142/2021 e n. 3467/2020). Per completezza, si segnala che anche la Corte di Cassazione, si è espressa nel senso che “ai sensi dell’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259 del 2003, come autenticamente interpretato, con efficacia retroattiva, dall’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 33 del 2016, gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica sono sottoposti unicamente alle tasse e ai canoni indicati nella menzionata disposizione” (Cass. Civ., sez. I, 10 gennaio 2017, n. 283) (Consiglio di Stato, 16 febbraio 2024, n. 1574)
Impianti pubblicitari
Servizio di installazione impianti pubblicitari. E’ illegittima, per violazione della lex specialis e della par condicio, l’aggiudicazione di una gara di appalto, indetta da un Comune per l’affidamento e/o concessione del servizio di installazione, gestione e manutenzione degli impianti pubblicitari permanenti su suolo pubblico, per un periodo di nove anni, nel caso in cui sia stata disposta in favore di una ditta che ha presentato un piano delle installazioni degli impianti recante un parametro (nella specie, si trattava delle distanze minime per posizionare gli impianti) sensibilmente differente rispetto a quello previsto dal piano comunale generale degli impianti pubblicitari espressamente richiamato nella lex specialis. L’aggiudicazione in tal caso deve ritenersi disposta in violazione del disciplinare di gara e del principio di parità tra i concorrenti, a nulla rilevando le deroghe minime consentite alle norme relative alle distanze minime per il posizionamento dei cartelli (TAR Lombardia, Milano, 3 marzo 2022, n. 507)
Impianti pubblicitari stradali. Autorizzazione all’installazione. E’ illegittimo il provvedimento con il quale un Comune ha opposto un diniego in ordine alla richiesta di autorizzazione per la installazione di un impianto pubblicitario (nella specie, si trattava di un impianto monofacciale non luminoso su pali, delle dimensioni di sei metri per tre, da posizionare in un viale cittadino, cinque metri dopo un semaforo pedonale all’incrocio con un corso, a una distanza di 0,90 metri dal palo dell’illuminazione pubblica e di 3,4 metri dal ciglio del marciapiede), che sia motivato con generico riferimento, tra l’altro, al fatto che l’impianto risulterebbe in adiacenza ad area verde pubblica e, quindi, di disturbo all’estetica dell’ambiente naturale. L’attività della P.A., ove tradotta in provvedimenti negativi, deve essere informata a criteri di intellegibilità, giustezza, equilibrio e ponderazione dei contrapposti interessi, sulla base di richiami a specifici riferimenti normativi; al contrario, nella specie, il diniego non appare fondato su peculiari ragioni in forza delle quali l’istanza non sarebbe assentibile, bensì invoca asserite e non validamente motivate esigenze estetiche, senza alcuna precisazione e indicazione di fondamento normativo, nonché in assenza di uno scambio dialettico con la parte interessata (TAR Puglia, 22 febbraio 2023 n. 339)
Canone per il rilascio dell'autorizzazione all’installazione di impianti pubblicitari e segnaletici. Cumulabilità. In caso di pubblicità effettuata su aree pubbliche, l'obbligo di pagamento del canone per il rilascio da parte dell'ente proprietario dell'autorizzazione all'installazione dell'impianto pubblicitario, previsto dall'art. 53, comma 7, del regolamento di esecuzione del cod. della strada (e nella specie dall'art. 24, comma 4, del regolamento provinciale di Pesaro Urbino per il rilascio di autorizzazioni o concessioni per l'occupazione o l'uso di spazi ed aree pubbliche e per l'installazione di impianti pubblicitari e segnaletici), non esclude l'obbligo di pagamento del canone per l'occupazione e l'uso di spazi ed aree pubbliche nelle strade o su beni del demanio e del patrimonio indisponibile, che i comuni e le province possono stabilire, ai sensi dell'art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, in sostituzione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche; ciò in quanto il primo canone ha natura di tributo e ha presupposti propri, consistenti nella astratta possibilità del messaggio pubblicitario di aumentare la clientela e, quindi, la ricchezza mentre il secondo canone (previsto nella specie dai commi 1,2,3 dell'art. 24 del regolamento provinciale) ha natura di corrispettivo per la sottrazione dell'area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità e per le operazioni di verifica della compatibilità dell'impianto alla sicurezza stradale (Cass. Civ., 20 maro 2024, n. 7426)
Sanzioni amministrative e riparto introiti
Riparto introiti violazioni limiti di velocità. “Ai fini della corretta quantificazione della quota del 50% dei proventi derivanti dall’accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità, di cui all’art. 142, comma 12-bis, del d.lgs. n. 285/1992, attribuita all’ente da cui dipende l’organo accertatore, non devono essere detratte le spese per il personale impiegato nella specifica attività di controllo e di accertamento delle violazioni, le spese connesse al rilevamento, all’accertamento e alla notifica delle stesse e quelle successive relative alla riscossione della sanzione” (n. 1/SEZAUT/2019/QMIG) [...] La ripartizione al 50% dei proventi in favore dell’ente proprietario della strada in cui è stata compiuta e rilevata la violazione dei limiti della velocità ha il suo titolo esclusivo nel diritto di proprietà fondante il rapporto dominicale che lega indissolubilmente l'ente proprietario medesimo al suo bene. Le spese pertanto rientrano nella quota parte spettante all’ente accertatore non titolare del titolo di proprietà, in linea con l’intenzione del legislatore, come del resto avevano lasciato intendere gli stessi lavori preparatori della legge n. 120/2010 nel 19/05/23, testo approvato dalla Camera, a tenore del quale “All’ente da cui dipende l’organo accertatore spetta una quota dei proventi idonea a recuperare le spese di accertamento”. [...] L’indirizzo espresso dalla Sezione delle Autonomie nella deliberazione più volte richiamata (n.1 del 2019), non può ritenersi in distonia con il sopravvenuto decreto MIT del 30 dicembre 2019, recante, peraltro, mere disposizioni attuative di dettaglio concernenti la compilazione della relazione da trasmettere annualmente al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e al Ministero dell’Interno, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di rendicontazione informatica previsto dalla legge n. 120/2010. D’altra parte, il suddetto decreto ministeriale, nel rispetto del principio della gerarchia delle fonti, non avrebbe potuto, in alcun modo, obliterare la statuizione di cui all’art. 142, comma 12 bis del D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285(Corte dei Conti , Lombardia, PAR, 27 aprile 2023, n. 112).
Strade private
Strade pubbliche e private. Controversie. Giurisdizione. La Corte di cassazione ha affermato che la controversia promossa dai comproprietari di un fondo accessibile tramite una strada vicinale, nei confronti dei proprietari dei fondi finitimi e del Comune, per ottenere, previa disapplicazione della deliberazione comunale di declassamento da uso pubblico ad uso privato dell’anzidetta strada, la declaratoria della sua “natura vicinale”, nonché il ripristino del relativo tracciato, in parte smantellato dai proprietari convenuti in giudizio, e, infine, l’affermazione di responsabilità del Comune per non aver impedito detto smantellamento della strada a seguito del suo declassamento, spetta alla cognizione del giudice amministrativo, giacché in essa viene in discussione non già un comportamento della P.A. “iure privatorum”, bensì la legittimità, o meno, dell’esercizio del potere autoritativo della stessa P.A. nella classificazione delle strade vicinali, da ascriversi alla materia del governo del territorio e dell’urbanistica, devoluta alla giurisdizione esclusiva di detto giudice (S.U., n. 27366, 24/12/2009, Rv. 610793 – 01). Un tale arresto, tuttavia trova limite nell’orientamento successivamente maturato, sulla base del quale si è affermato che l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù; ne consegue che la controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o riguardante l’esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, giacché investe l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione di diritti soggettivi, dei privati o della pubblica amministrazione, e ciò anche ove la domanda abbia formalmente ad oggetto l’annullamento dei provvedimenti di classificazione della strada, atteso che il “petitum” sostanziale, non essendo diretto a sindacare un provvedimento autoritativo della P.A., ha, in realtà, natura di accertamento petitorio (S.U. n. 26897, 23/12/2016, Rv. 641805 – 01, la quale richiama S.U. n. 1624/2010). A tale ultimo orientamento le Sezioni Unite reputano di dovere dare continuità. Proprio la constatazione che l’iscrizione nell’elenco delle strade pubbliche non è costitutivo del diritto, ma pone una semplice presunzione, importa che, non solo la contesa circa la natura pubblica o privata, ma anche l’accertamento della sussistenza di diritti d’uso pubblico su una strada privata si appartengano alla giurisdizione ordinaria (Cass. Sezioni Unite, 20 giugno 2024, n. 17104)
Responsabilità della PA
Responsabilità da custodia. In tema di responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c., l'ente proprietario di una strada si presume responsabile dei sinistri riconducibili alle condizioni della struttura ed alla conformazione della stessa e delle sue pertinenze, ivi compresi i cosiddetti "dissuasori di sosta", salva la dimostrazione che l'installazione di tali manufatti sia avvenuta ad opera di terzi, in area a questi assegnata e in forza di uno specifico titolo abilitativo e con esclusione di qualunque potere di controllo da parte del custode proprietario, oppure, in difetto delle predette condizioni, con tempi talmente rapidi, rispetto alla verificazione del sinistro, da non consentire l'intervento dell'ente custode (Corte Cass. , 24 aprile 2024, n. 11140)
Obblighi di custodia. Responsabilità. Nell'ipotesi di sinistro stradale determinato dalla repentina comparsa di un animale sulla carreggiata di un'autostrada, la società di gestione autostradale, titolare del potere di custodia della cosa, per vincere la presunzione di responsabilità dalla quale è gravata ex art. 2051 c.c., deve dare la prova positiva che la presenza dell'animale è stata determinata da un fatto imprevedibile ed inevitabile, idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra l'evento dannoso e la cosa in custodia. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva escluso la responsabilità del gestore sul presupposto che la situazione di pericolo - rappresentata dalla sussistenza di un varco nella recinzione - non gli fosse stata segnalata prima dell'incidente e che il fatto fosse avvenuto in prossimità di uno svincolo autostradale, circostanza quest'ultima da considerarsi, viceversa, idonea ad escludere che l'ingresso di animali potesse considerarsi evento imprevedibile e inevitabile, come tale suscettibile di integrare il caso fortuito) (Cassazione civ. 24 marzo 2022, n. 9610)
Sconnessione del manto stradale. Responsabilità. In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza di una sconnessione o buca stradale, l'accertamento della responsabilità deve essere condotto ai sensi dell'art. 2051 c.c. e non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, comma 1 o 2, c.c.), richiedendosi, per l'integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, così da degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell'evento (Cass. Civile, 19 dicembre 2022, n. 37059)
Responsabilità della PA per cattive condizioni del manto stradale. Con ordinanza n. 2482 del 01/02/2018 (e, nello stesso senso, con ordinanze nn. 2479 e 2480 del 2018) la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che: «In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro" (cfr anche Cass. n. 33074 del 28/11/2023); tale principio di diritto – successivamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 27724 del 2018; n. 20312 del 2019; n. 38089 del 2021; n. 35429 del 2022; nn. 14228 e 21675 del 2023), anche a Sezioni Unite (Cass. n. 20943 del 30/06/2022 Rv. 665084 – 01) – è stato poi ancor più di recente riaffermato, statuendosi (Cass. n. 11152 del 27/04/2023 Rv. 667668 – 01 – 02 – 03) che la responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ. ha natura oggettiva – in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode – e può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del leso: Cass., ord. 20/07/2023, n. 21675, Rv. 668745-01) o, indefettibilmente, la seconda dalla oggettiva imprevedibilità e imprevedibilità rispetto all’evento pregiudizievole; a tanto deve aggiungersi che la valutazione del giudice del merito sulla rilevanza causale esclusiva della condotta del leso costituisce un tipico apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità, ove scevro da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (tra cui l’apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti: Cass. 16502 del 05/07/2017 Rv. 644818 – 01) (Corte Cass., 4 marzo 2024, n. 5762)
Contributi
Controversi sulla spettanza di contributi. Giurisdizione del giudice ordinario. In tema di sovvenzioni ad imprese concessionarie di un pubblico servizio di trasporto, qualora non sia in discussione la spettanza dei contributi richiesti, ma solo i criteri tecnici per la loro determinazione, si è al di fuori della discrezionalità amministrativa, non essendo ravvisabili nel procedimento amministrativo di quantificazione dei contributi momenti di valutazione comparativa degli interessi privati e pubblici in gioco, ma esclusivamente l'applicazione di parametri normativi predeterminati, sicché, avendo la pretesa fatta valere in giudizio dalla parte che assume di essere creditrice natura di diritto soggettivo, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.(In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario nella controversia insorta fra due imprese, esercenti l'attività di trasporto locale, e la Regione Friuli Venezia Giulia, avente ad oggetto la contestazione di un provvedimento con il quale erano stati determinati i contributi di competenza delle imprese, applicandosi una decurtazione conseguente al meccanismo compensativo introdotto dall'art. 4, commi 140 e 141, della l.r. n. 1 del 2005) (Cassazione civ., 13 gennaio 2022, n. 929)
Natanti
Sicurezza. L'art. 64 del regolamento esecutivo del codice della navigazione, nel prevedere che le navi ed i galleggianti nelle manovre di entrata, uscita ed ormeggio effettuate all'interno dei porti non devono arrecare impedimento alle manovre delle altre navi, presuppone che la nave sia in movimento e non si trovi in una situazione statica, deponendo in tal senso il tenore letterale della disposizione e la sua "ratio", finalizzata alla salvaguardia della sicurezza della navigazione marittima ed in particolare alla riduzione del rischio di collisioni tra imbarcazioni (Cass. civile, 26 aprile 2022, n. 13024)