Sanzioni amministrative
Rassegna di giurisprudenza in merito alle sanzioni amministrative

La Cassazione conferma la compatibilità con il principio di legalità dell'aggiornamento periodico dei parametri economici mediante regolamento. In tema di sanzioni amministrative, non contrasta con il principio di legalità di cui all'art. 1 della l. 689/1981 - applicabile anche in riferimento alle sanzioni previste con legge regionale - la norma che, oltre a descrivere l'illecito amministrativo, ne preveda la sanzione mediante indicazione di un coefficiente di moltiplicazione di un moltiplicando, costituente il prezzo del bene o del servizio (evaso dal trasgressore) periodicamente aggiornato con atto normativo secondario, al solo fine di rendere attuale il predetto controvalore, avente portata generale per gli utenti o fruitori, e non al precipuo scopo di integrare la sanzione (Cassazione civ., 14 marzo 2022, m. 8229
La fattispecie e la sanzione amministrativa devono essere previste dalla legge e non da una fonte secondaria (regolamento). In tema di sanzioni amministrative, il rispetto del principio di legalità e di riserva di legge comporta che la fattispecie dell'illecito e la relativa sanzione debbano essere previsti dalla legge, con la conseguenza che, ove la sanzione amministrativa sia prevista direttamente da una fonte normativa secondaria, quest'ultima deve considerarsi illegittima, ed il giudice ha il potere di disapplicarla anche d'ufficio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha disapplicato il regolamento per la gestione dei rifiuti urbani del Comune di Roma, nella parte in cui, in assenza di fonte primaria attributiva del potere sanzionatorio, introduceva una sanzione per la violazione dell'obbligo degli utenti o dell'amministratore di condominio di custodire ed utilizzare in modo corretto i contenitori dei rifiuti loro assegnati) (Cass. Civ. 24 ottobre 2023, n. 29427; cfr anche Cass. 19696/22 e 4962/20)
La condotta sanzionata deve essere prevista da una norma di legge, o perlomeno la legge deve dettare i criteri direttivi destinati a orientare la discrezionalità amministrativa, anche quando operi un rinvio ad un provvedimento amministrativo generale o ad un regolamento. In materia di sanzioni amministrative, il potere sanzionatorio - alla luce dell'art. 1 della l. n. 689 del 1981, come interpretato dalle sentenze della Corte Cost. nn. 5 del 2021 e 134 del 2019 - è soggetto alla riserva di legge relativa (statale o regionale), in quanto rispondente anch'esso alla medesima esigenza, propria del diritto penale, di assicurare ai consociati una tutela contro possibili arbitrii da parte della Pubblica autorità, attraverso la predeterminazione dei presupposti per il suo esercizio (condotta, quantificazione della sanzione e struttura delle cause esimenti) la quale non può dirsi soddisfatta in caso di predeterminazione contenuta in un provvedimento amministrativo, ancorché di carattere generale, dovendo la legge comunque definire i criteri direttivi destinati ad orientare la discrezionalità amministrativa, anche quando operi un rinvio ad un provvedimento amministrativo generale o ad un regolamento. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto illegittima l'ordinanza ingiunzione con la quale il comune aveva applicato la sanzione accessoria della sospensione per sette giorni del funzionamento degli apparecchi installati in una sala giochi, per non avere la società rispettato i limiti di orario disposti con ordinanza della giunta comunale, siccome adottata in assenza di previsioni in tal senso nella legge regionale e in quella nazionale) (Cass. Civile, II, 17 giugno 2022, n. 19696)
Inapplicabilità della legge posteriore più favorevole. In tema di illeciti amministrativi, i principi di legalità, di irretroattività e di divieto di applicazione dell'analogia, di cui all'art. 1 della l. n. 689 del 1981, comportano l'assoggettamento del comportamento considerato alla legge del tempo in cui si è verificato e la conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore, anche se abrogatrice o più favorevole (Cassazione civ., 28 aprile 2022, n. 1336)
Inapplicabilità della legge posteriore più favorevole, salvo sussistano i criteri "Engel". Secondo la costante giurisprudenza della Corte, in tema di sanzioni amministrative non trova applicazione il principio di retroattività della legge successiva più favorevole, posto che, come chiarito dalla Corte costituzionale con sentenza del 20 luglio 2016 n. 193 e ribadito nella successiva pronuncia del 21 marzo 2019, n. 63, nel quadro delle garanzie apprestato dalla CEDU non si rinviene l'affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata del menzionato principio, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative, né è dato rinvenire un vincolo costituzionale nel senso dell'applicazione in ogni caso della legge successiva più favorevole, rientrando nella discrezionalità del legislatore modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore in base alle materie oggetto di disciplina (Cass., Sez. II, 16 aprile 2018, n. 9269; Cass., Sez. VI-2, 28 dicembre 2011, n. 29411; Cass., Sez. IV, 25 giugno 2009, n. 14959). A tale assetto fanno eccezione le sanzioni amministrative aventi natura e funzione “punitiva” alla luce dei cosiddetti “criteri Engel” elaborati dalla Corte di Strasburgo (qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest'ultima, e la natura e il grado di severità della sanzione). Secondo un consolidato orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, le garanzie stabilite dalla CEDU «si applicano a tutti i precetti di carattere afflittivo a prescindere dalla loro qualificazione come sanzioni penali nell’ordinamento di provenienza» (sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi; 27 settembre 2011, Menarini Diagnostics srl contro Italia; 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia). Tali criteri sono stati riscontrati in casi di sanzione dall’elevatissima carica afflittiva, come nella fattispecie prevista dall’art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998, in cui la sanzione può giungere sino a cinque milioni di euro (a loro volta elevabili sino al triplo ovvero al maggior importo di dieci volte il profitto conseguito o le perdite evitate), e che è comunque sempre destinata, nelle intenzioni del legislatore, a eccedere il valore del profitto in concreto conseguito dall’autore, a sua volta oggetto, di separata confisca. Una simile carica afflittiva si spiega soltanto in chiave di punizione dell’autore dell’illecito in questione, in funzione di una finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che è certamente comune anche alle pene in senso stretto. I medesimi criteri di afflittività o di finalità repressiva e di prevenzione generale non si riscontrano di tutta evidenza nella fattispecie in esame che ha previsto – in linea con le prescrizioni del TULPS – una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 a 15.000 euro per ciascun apparecchio (art. 110, comma 9, lett. f-bis) TULPS) per chiunque, sul territorio nazionale, distribuisce o installa apparecchi e congegni di cui al presente articolo o comunque ne consente l'uso in luoghi pubblici o aperti al pubblico o in circoli e associazioni di qualunque specie non muniti delle prescritte autorizzazioni, ove previste. La sanzione irrogata si colloca inoltre nell’ambito dei limiti fissati dalla norma, per cui alcuna censura può essere formulata in sede di legittimità” (Cass. Civ. 22 novembre 2024, n. 30143)
Sanzioni amministrative regionali e legge penale: la Corte costituzionale conferma la prevalenza della normativa penale. La competenza a prevedere sanzioni amministrative non costituisce materia a sé stante, ma «accede alle materie sostanziali» (sentenza n. 12 del 2004 Corte Cost.) alle quali le sanzioni si riferiscono, spettando dunque la loro previsione all’ente «nella cui sfera di competenza rientra la disciplina la cui inosservanza costituisce l’atto sanzionabile (ex multis, sentenze n. 90 del 2013, n. 240 del 2007, n. 384 del 2005 e n. 12 del 2004)» (sentenza n. 148 del 2018, punto 5.1. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 121 del 2018, punto 16.2. del Considerato in diritto). D’altra parte, l’eventuale interferenza degli illeciti amministrativi regionali e delle relative sanzioni con i reati previsti dal legislatore statale non determina di per sé, secondo la giurisprudenza di questa Corte, una violazione della competenza legislativa statale in materia di ordinamento penale. Di regola infatti, nel caso in cui uno stesso fatto sia punito tanto da una disposizione penale quanto da una disposizione amministrativa regionale, trova applicazione l’art. 9, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), a tenore del quale «quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest’ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali». Tale disposizione fa sì che la sanzione amministrativa possa in concreto essere irrogata solo quando il fatto non integri, al tempo stesso, un reato: il che esclude che la disciplina regionale possa invadere o erodere «la sfera di operatività della norma penale, trovando applicazione soltanto in via residuale, in relazione a condotte non penalmente sanzionate» (sentenza n. 121 del 2018, punto 16.3. del Considerato in diritto, relativamente a una disposizione che sanzionava come illecito amministrativo una ipotesi di danneggiamento di segnaletica stradale, potenzialmente interferente con il delitto di danneggiamento previsto dal codice penale; nonché, nello stesso senso, sentenza n. 201 del 2021, punto 10.1. del Considerato in diritto). [...] L’eccezione al meccanismo della prevalenza, in ciascun caso concreto, della legge penale statale rispetto alla disciplina regionale si traduce in una deroga all’art. 9 della legge n. 689 del 1981, che non può che essere considerata espressiva della competenza legislativa statale in materia di ordinamento penale. È proprio tale disposizione, infatti, che detta la regola fondamentale che stabilisce, in maniera uniforme per l’intero ordinamento giuridico nazionale, le condizioni di applicabilità della legge penale allorché il suo ambito si intersechi con quello coperto da leggi che prevedono illeciti amministrativi, configurati dalla stessa legge dello Stato (primo comma) o da leggi regionali (secondo comma). E ciò a maggior ragione in un contesto ordinamentale come quello odierno, nel quale le esigenze di tutela del diritto al ne bis in idem di cui è titolare l’autore dell’illecito rischierebbero di paralizzare la stessa azione penale, nell’ipotesi in cui l’inflizione della sanzione amministrativa preceda lo stesso procedimento penale per un fatto previsto, assieme, quale illecito amministrativo dalla legge regionale e quale reato dalla legge statale. Il vulnus alla competenza legislativa statale ora evidenziato in materia di ordinamento penale deve, pertanto, essere eliminato mediante l’ablazione dell'eventuale norma regionale e la riespansione della regola generale di cui all’art. 9, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, con conseguente riconduzione della disciplina sanzionatoria regionale censurata ad uno schema di rapporto con la legge penale più volte riconosciuto costituzionalmente legittimo dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (Corte Costituzionale, 15 giugno 2023, n. 121)
Rapporto tra sanzioni amministrative regionali e penali: la cassazione conferma la prevalenza della sanzione penale in caso di identità del fatto. In tema di sanzioni amministrative, l'art. 9, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 - a tenore del quale quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale - in tanto opera in quanto le norme sanzionanti un medesimo fatto si trovino fra loro in rapporto di specialità, che deve essere escluso quando sia diversa l'obiettività giuridica degli interessi protetti dalle due norme ( Cass. Civ., Sez. II, 21502/2012; Cass. Civ., Sez. II, 22.12.2011, n.28379) (Cass. Civ., 23 dicembre 2022, n. 37730)
Esclusa la responsabilità solo qualora l'errore risulti inevitabile. Con riferimento all’elemento soggettivo della colpa è costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di violazioni amministrative, poiché, ai sensi dell'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, per integrare l'elemento soggettivo dell'illecito è sufficiente la semplice colpa, l'errore sulla liceità della relativa condotta, correntemente indicato come «buona fede», comunque riferibile al trasgressore persona fisica, può rilevare in termini di esclusione responsabilità amministrativa, al pari di quanto avviene per la responsabilità penale in materia di contravvenzioni, solo quando esso risulti inevitabile, occorrendo a tal fine un elemento positivo, estraneo all'autore dell'infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della sopra riferita liceità, oltre alla condizione che da parte dell'autore sia stato fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così che l'errore sia stato incolpevole, non suscettibile cioè di essere impedito dall'interessato con l'ordinaria diligenza (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 33441 del 17/12/2019, Rv. 656323 – 01; Cass. n. 24081 del 26.09.2019; Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 19759 del 02/10/2015, Rv. 636814 – 01; Cass. nn. 16320/10, 13610/07, 11012/06, 9862/06, 5426/06 e 11253/04). L'onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l'esistenza della buona fede è a carico dell'opponente e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. Sez. 2, n. 21280/2015; Cass. n. 19759/2015; Cass. n. 23019/09) (Cass. Civ., 29 marzo 2024, n. 8588)
Esclusa la responsabilità solo per errore inevitabile e incolpevole. Va ricordato che, in tema di violazioni amministrative, poiché, ai sensi dell'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, per integrare l'elemento soggettivo dell'illecito è sufficiente la semplice colpa, l'errore sulla liceità della relativa condotta, correntemente indicato come "buona fede", può rilevare in termini di esclusione della responsabilità amministrativa, al pari di quanto avviene per la responsabilità penale in materia di contravvenzioni, solo quando esso risulti inevitabile, occorrendo a tal fine un elemento positivo, estraneo all'autore dell'infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della sopra riferita liceità, senza che il medesimo autore sia stato negligente o imprudente, ovvero alla condizione che quest'ultimo abbia fatto tutto quanto possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così che l'errore sia stato incolpevole, non suscettibile cioè di essere impedito dall'interessato con l'ordinaria diligenza (Sez. 1, Sentenza n. 11253 del 15/06/2004; conf. Sez. 2, Ordinanza n. 33441 del 17/12/2019) (Cassazione civ., 25 febbraio 2022, n. 6468)
L'onere della prova spetta all'opponente e richiede l'assenza di negligenza. In tema di sanzioni amministrative, la buona fede rileva come causa di esclusione della responsabilità quando sussistono elementi positivi idonei ad ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e quando l'autore medesimo abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso, neppure sotto il profilo della negligenza omissiva (Sez. 2, n. 11977 del 19 giugno 2020). L'onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l'esistenza della buona fede è a carico dell'opponente e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito (Sez. 2 n. 20866 del 29 settembre 2009; Sez. 5 n. 23019 del 30 ottobre 2009) (Cass. Civile, 2 gennaio 2023, n. 3)
L'onere della prova a carico del trasgressore in caso di errore inevitabile sulla liceità della condotta. In tema di sanzioni amministrative, l'art. 3 della legge n. 689 del 1981 pone una presunzione di colpa a carico dell'autore del fatto vietato, riservando a questi l'onere di provare l’assenza di elemento soggettivo (Cass., Sez. 1, n. 2406 del 08/02/2016); in particolare, poiché il giudizio di colpevolezza non è ancorato al dato puramente psicologico, una volta integrata e provata dall'autorità amministrativa la fattispecie tipica dell'illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall'art. 3 della legge n. 689 del 1981, l'onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass., Sez. Un., n. 20930 del 30/09/2009; Cass., Sez. 1, n. 4114 del 02/03/2016). In questo quadro, la pretesa applicazione del principio di «buona fede» in realtà si risolve nell’invocazione di un errore di diritto sulla Corte di Cassazione sulla liceità della condotta, senza considerare che l’errore di diritto può rilevare in termini di esclusione della responsabilità amministrativa (al pari di quanto avviene per la responsabilità penale in materia di contravvenzioni) soltanto quando risulti «inevitabile»; l’ipotesi ricorre quando, da un canto, ricorrano elementi positivi, estranei all'autore dell'infrazione, idonei ad ingenerare in lui la convinzione della liceità della sua condotta e, dall'altro, quando lo stesso autore dell'infrazione abbia fatto tutto il possibile per osservare la legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso, neppure sotto il profilo della negligenza omissiva. L'onere della prova della sussistenza dei suddetti elementi grava sull'autore dell'infrazione (Cass., Sez. 6 - 2, n. 19759 del 02/10/2015, Sez. L, n. 16320 del 12/07/2010; Sez. 5, n. 23019 del 30/10/2009; Sez. 2, n. 20866 del 29/09/2009). L'inevitabilità dell'ignoranza del precetto violato, poi, deve essere apprezzata, dal giudice di merito, alla luce della conoscenza e dell'obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull'agente in relazione anche alle sue qualità professionali e al suo dovere di informazione sulle norme e sulla relativa interpretazione (Cass. Sez. 2, n. 33441 del 2019 con numerosi richiami). (Cass. Civ., 9 agosto 2023, n. 24299)
Errore di diritto: la buona fede è esclusa in assenza di errore inevitabile. L'onere della prova è a carico del trasgressore. L'errore di diritto sulla liceità della condotta può rilevare in termini di esclusione della responsabilità amministrativa, al pari di quanto avviene per la responsabilità penale in materia di contravvenzioni, solo quando esso risulti inevitabile, occorrendo a tal fine, da un lato, che sussistano elementi positivi, estranei all'autore dell'infrazione, che siano idonei ad ingenerare in lui la convinzione della liceità della sua condotta e, dall'altro, che l'autore dell'infrazione abbia fatto tutto il possibile per osservare la legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso, neppure sotto il profilo della negligenza omissiva, gravando sull'autore dell'infrazione l'onere della prova della sussistenza dei suddetti, necessari per poter ritenere la sua buona fede" (Cass. Civile, 28 dicembre 2022, n. 37856)
L'errore del consulente non integra gli elementi della buona fede. In alcun modo, pertanto, il consiglio del professionista può essere considerato elemento positivo idoneo a indurre in errore scusabile il titolare di un’impresa sulla necessità dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di raccolta e trasporto di rifiuti che costituisce oggetto della propria impresa, a maggior ragione se si considera che nel caso di specie il trasporto veniva effettuato senza nemmeno il formulario di identificazione (FIR) di cui all’art. 193 d.lgs. n. 152 del 2006. La scusabilità dell’errore deve essere commisurata al parametro del modello di agente, dell’“homo eiusdem professionis et condicionis”, sicché in alcun modo può dirsi scusabile l’errore di colui il quale intraprenda un’attività imprenditoriale per il cui esercizio è richiesta l’autorizzazione e che contestualmente ne ignori la necessità o la latitudine. Il dubbio impone, semmai, l’astensione o comunque sollecita la adozione di informazioni qualificate presso l’amministrazione pubblica, non di certo presso un consulente privato (Cass Pen., 19 settembre 2024, n. 35124)
La morte dell'autore della violazione: estinzione dell'obbligazione pecuniaria e cessazione della materia del contendere. La morte dell'autore della violazione amministrativa comporta l'estinzione dell'obbligazione di pagare la sanzione pecuniaria irrogata dall'Amministrazione, la quale, ai sensi dell'arte. 7 della I. n. 689 del 1981, non si trasmette agli eredi, con conseguente cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione all'ordinanza ingiunzione, la cui declaratoria può essere effettuata anche in sede di legittimità ove il decesso sia documentato ex art. 372 cod. proc. civ. (Cassazione civ., 22 ottobre 2021, n. 29577)
Estinzione delle sanzioni amministrative per morte del trasgressore: è inapplicabilile il principio di soccombenza virtuale. Nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa la morte dell’autore della violazione, comportando l’estinzione dell’obbligo di pagare la sanzione pecuniaria irrogata dall’amministrazione che, ex art. 7 della l. n. 689 del 1981, non si trasmette agli eredi, attesa la natura personale della responsabilità amministrativa, determina la cessazione della materia del contendere (Cass. n. 1938/2024). Nulla occorre statuire sulle spese del giudizio di cassazione non potendo, infatti, trovare applicazione i princìpi della soccombenza e della causalità propri della cd. soccombenza virtuale, in quanto l’erede succede nel processo, ma non nel lato passivo del rapporto giuridico sanzionatorio che ne forma l’oggetto sostanziale, il carico delle spese resta regolato dall’art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002, in base al quale ciascuna parte anticipa e sostiene le proprie (Cass. Sez. 2, n. 16747 del 24/05/2022). Non opera il meccanismo sanzionatorio del raddoppio del contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, perché il procedimento per cassazione non si è concluso con integrale conferma della statuizione impugnata ovvero con la “ordinaria” dichiarazione di inammissibilità del ricorso, ma con cessazione della materia del contendere, con conseguente caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata (Sez. 3, n. 20697 del 20/07/2021) (Cass. Civ. 28 maggio 2024, n. 14834)
Illeciti amministrativi e società multi-sede: la cassazione limita la responsabilità del legale rappresentante ai casi di comprovata inadeguatezza nei controlli. In tema di sanzioni amministrative, allorché una società commerciale di notevoli dimensioni sia articolata in molteplici punti vendita, diffusi sul territorio, dell'illecito amministrativo consumato in uno di essi (consistente, nel caso di specie, nel non consentire la tracciabilità di uno più prodotti alimentari) non può essere chiamato a rispondere il legale rappresentante della società, ma il responsabile preposto alla singola unità ove è stato commesso il fatto, il quale ne risponderà in solido con la società medesima, potendo la responsabilità del legale rappresentante della società essere affermata solo quando sia accertata una specifica inadeguatezza sia dei responsabili della singola unità ove è stato commesso il fatto sia della struttura appositamente costituita per il controllo, e questa inadeguatezza, specificamente constatata, sia riconducibile a specifiche azioni od omissioni del legale rappresentante della società, in violazione di altrettanto specifici obblighi di garanzia, sempre che tali azioni o omissioni abbiano fornito un contributo – pur sempre specifico - alla causazione dell'illecito (Corte di Cassazione, 5 dicembre 2022, n. 35685)
Fallimento e sanzioni amministrative: la cassazione chiarisce la soggezione alle regole concorsuali e la responsabilità personale dell'amministratore In materia di sanzioni amministrative, mentre nell’ipotesi di fallimento dell’ingiunto il relativo credito è soggetto alle regole concorsuali e deve essere fatto valere con insinuazione al passivo e non mediante ordinanza-ingiunzione a norma dell’art. 18 della l. n. 689 del 1981, viceversa, nell’ipotesi di violazione commessa dalla persona fisica dell’amministratore di società di capitali poi dichiarata fallita, la sanzione può essere adottata per il carattere personale della responsabilità ai sensi dell’art. 6 della l. n. 689 del 1981 (Cass. Civ., sez. Lav., n. 19371/23)
La funzione deterrente e l'autonomia dell'obbligazione solidale. Come è noto, la solidarietà passiva nel rapporto obbligatorio è prevista dal legislatore nell'interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest'ultimo, consentendogli di ottenere l'adempimento dell'intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori (cfr. art. 1292 cc e, in giurisprudenza, tra le tante, v. Sez. 2 -, Ordinanza n. 11199 del 28/04/2021 Rv. 661213; Sez. 3 - , Sentenza n. 542 del 15/01/2020 Rv. 656631; Sez. 3, Sentenza n. 21774 del 27/10/2015 Rv. 637615). In tema di sanzioni amministrative, la solidarietà prevista dall’art. 6 della l. n. 689 del 1981 non si limita ad assolvere una funzione di garanzia, ma persegue anche uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione, sicché l’obbligazione del corresponsabile solidale è autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale (cfr. Sez. U - , Sentenza n. 22082 del 22/09/2017 Rv. 645324) (Cass. Civ, 10. maggio 2023, n. 12668)
L'obbligato solidale. Il responsabile solidale dell’illecito amministrativo non è soggetto attivo dell’illecito, ma un soggetto tenuto al pagamento della sanzione irrogata unitamente al trasgressore al fine di evitare che l’illecito resti impunito allorquando sia impossibile identificare tale ultimo soggetto (Cass. Sez. U, Sentenza n. 22082 del 22/09/2017), rispondendo la funzione di garanzia anche alla finalità di sollecitare la vigilanza delle persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui. Il criterio d'imputazione della responsabilità dell’ente è chiaramente individuato dall'art. 6 della legge n. 689 il quale, richiedendo che l'illecito sia stato commesso dalla persona fisica nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze, legali rappresentanti o dipendenti, stabilisce un parametro di collegamento che costituisce al tempo stesso il presupposto ed il limite della responsabilità dell'ente (Sez. 2, Ordinanza n. 30766 del 28/11/2018, Rv. 651534 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3879 del 12/03/2012, Rv. 621466 - 01). Il sistema della legge 24 novembre 1981, n. 689, in definitiva, preserva il principio della natura personale della responsabilità, disciplinando i profili della «imputabilità» (art. 2) e dell'«elemento soggettivo» della violazione (art. 3), riferiti al trasgressore persona fisica, prevede unicamente la responsabilità dell'autore della violazione e, in solido con esso ma a titolo di responsabilità patrimoniale, quella della persona giuridica o dell'ente o dell'imprenditore(Cass. Civ., 29 marzo 2024, n. 8588)
Cumulo giuridico nelle sanzioni amministrative: la cassazione esclude l'applicazione per condotte autonome e nega l'analogia con la continuazione penale. In tema di sanzioni amministrative, allorché siano poste in essere più condotte realizzatrici della medesima violazione, l'unificazione ai fini della applicazione della sanzione secondo il criterio del cumulo giuridico, presuppone l'unicità dell'azione od omissione produttiva della pluralità di violazioni, non operando nel caso di condotte distinte, sebbene collegate sul piano della identità di una stessa intenzione plurioffensiva, né è applicabile in via analogica l'istituto della continuazione di cui all'art. 81, comma 2, c.p., utilizzabile solo per le violazioni in materia di previdenza ed assistenza tenuto conto, altresì, delle differenze tra reato ed illecito amministrativo (Cass. Civile, II, 20 giugno 2022, n. 19751). "In tema di sanzioni amministrative, allorché siano poste in essere inequivocabilmente più condotte realizzatrici della medesima violazione, non è applicabile in via analogica l'istituto della continuazione di cui all'art. 81, secondo comma c.p., ma esclusivamente quello del concorso formale, in quanto espressamente previsto dall'art. 8 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il quale richiede l'unicità dell'azione od omissione produttiva della pluralità di violazioni” (Cass. Civ., II, 18 luglio 2024, n. 19856; cfr anche cfr. Cass. n. 26434 del 2014 e Cass. n. 10890 del 2018).
Cumulo giuridico. Il giudice di seconde cure ha escluso l'unicità dell'azione necessaria per l'applicabilità del cumulo formale senza, però, specificare perché non era ravvisabile detta unicità di azione. Dalla lettura della norma di riferimento appare, invece, lapalissiano che anche in caso di più violazioni della stessa disposizione di legge sia applicabile il cumulo giuridico. Del resto, il legislatore è intervenuto di recente esplicitamente a regolare, con riguardo agli illeciti amministrativi contemplati del novellato art. 258 codice dell’ambiente, le ipotesi di concorso formale e continuazione, nonché il cumulo giuridico delle sanzioni amministrative: alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019, si deve ritenere applicabile anche al caso di specie il principio di retroattività della disposizione più favorevole e, quindi, la regola del cumulo giuridico (L’ordinanza contestava alla società ALFA la violazione dell'art. 193 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. codicedell’ambiente), per avere effettuato n. 25 trasporti di rifiuti speciali non pericolosi (sansa di olive) in assenza del previsto formulario di identificazione rifiuti (FIR), utilizzando invece il DDT come se il trasporto riguardasse materia prima; irrogava, pertanto, alla suddetta società una sanzione amministrativa pari ad €40.015,95 (€1.600,00 per ogni trasporto) (Cass. Civ., 29 marzo 2024, n. 8588)
Verbale
Il verbale fa piena prova dei fatti avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale. In tema di opposizione a sanzioni amministrative, nel relativo giudizio il verbale di accertamento e contestazione di violazione del Codice della Strada fa piena prova, fino a querela di falso, dei fatti avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale verbalizzante, purché privi di margini di apprezzamento. (Nella specie, in materia di rilevazione di velocità tramite autovelox, la S.C. ha escluso che fosse assistita da fede privilegiata l'indicazione, contenuta nel verbale, circa la buona visibilità dell'apparecchiatura, affermando la non necessità della querela di falso) (Corte. Cass., 22 novembre 2024, n. 30129; Massime precedenti Vedi: N. 32369 del 2018 Rv. 652162-01, N. 23800 del 2014 Rv. 633239-01 Massime precedenti Vedi Sezioni Unite: N. 17355 del 2009 Rv. 609190-01)
Onere della prova. In materia di accertamento di violazioni delle norme del codice della strada, quando il ricorrente contesti l'inesistenza della segnaletica, orizzontale o verticale, prescrittiva di un determinato comportamento o impositiva di un divieto, la prova contraria spetta all'Amministrazione, posto che l'esistenza del segnale di preavviso o di divieto è elemento costitutivo della fattispecie sanzionata; mentre quando l'opponente deduca la non adeguatezza della segnaletica, la relativa prova incombe a lui (Cassazione civ., 9 marzo 2022, n. 7715)
Termine per la contestazione
Il termine decorre dalla conclusione degli accertamenti, da valutare caso per caso. Il dies a quo del termine di notificazione della contestazione è dettato dalla conclusione degli accertamenti. La legittimità della durata di questi ultimi è da valutare caso per caso, sulla base della complessità delle indagini di volta in volta necessarie. Così, tra le altre, Cass. 8574/2014, cui si dà seguito (Cass. Civile, 26 gennaio 2023, n. 2414)
Il sindacato del giudice
Il giudice deve valutare il complesso degli accertamenti compiuti dalla p.a. e valutare la congruità del tempo impiegato per la notifica dell'ordinanza. In tema di sanzioni amministrative, il giudice dell'opposizione, dinanzi al quale sia stata eccepita la tardività della notificazione degli estremi della violazione, nell'individuare la data dell'esito del procedimento di accertamento di più violazioni connesse - data dalla quale decorre ex art. 14, comma 2, della l. n. 689 del 1981 il termine di novanta o trecentosessanta giorni per la relativa contestazione - deve valutare il complesso degli accertamenti compiuti dall'Amministrazione procedente e la congruità del tempo a tal fine impiegato avuto riguardo alla loro complessità, anche in vista dell'emissione di un'unica ordinanza ingiunzione per dette violazioni senza, tuttavia, potersi sostituire all'Amministrazione nella valutazione dell'opportunità di atti istruttori collegati ad altri e posti in essere senza apprezzabile intervallo temporale (Cass. Civ., 26 luglio 2024, n. 20977)
La contestazione immediata
Contestazione immediata: la mancata contestazione immediata non invalida l'accertamento ma ne attenua il valore probatorio. In tema di sanzioni amministrative non attinenti alla materia della circolazione stradale, la mancata contestazione immediata dell'infrazione, anche quando ne sussista la possibilità, non costituisce causa né di estinzione dell'obbligazione di pagamento, né di nullità del procedimento sanzionatorio, purché la notificazione del verbale di accertamento della violazione sia comunque compiuta entro il termine prescritto, determinandosi, tuttavia, una attenuazione del valore probatorio dell'atto di accertamento in sede di opposizione giudiziale, potendo le sue risultanze probatorie essere sottoposte - se del caso - ad un sindacato più approfondito, stante l'impossibilità per l'interessato di far valere ragioni efficacemente deducibili solo al momento della constatazione dell'infrazione (Cass. Civ, 19 luglio 2024, n. 19957)
Contestazione in seguito a indagini penali
Termine per la contestazione. In tema di sanzioni amministrative, al di fuori dell'ipotesi di connessione per pregiudizialità disciplinata dall'art. 24 della l. n. 689 del 1981, il termine stabilito dall'art. 14 della citata legge per la notificazione della contestazione, qualora gli elementi di prova di un illecito amministrativo emergano dagli atti relativi alle indagini penali, decorre dalla ricezione degli atti trasmessi dall'autorità giudiziaria all'autorità amministrativa, posto che, qualora fosse consentito agli agenti accertatori di contestare immediatamente all'indagato la violazione amministrativa, l'autorità giudiziaria non sarebbe messa in condizione di valutare se ricorra o meno la vis attractiva della fattispecie penale e, nel contempo, sarebbe frustrato il segreto istruttorio imposto dall'art. 329 c.p.p. (Corte Cass, 24 dicembre 2024, n. 34362)
Il termine decorre dalla ricezione degli atti trasmessi dall'autorità giudiziaria all'autorità amministrativa. In tema di sanzioni amministrative, al di fuori dell'ipotesi di connessione per pregiudizialità disciplinata dall'art. 24 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il termine stabilito dall'art. 14 della citata legge per la notificazione della contestazione, qualora gli elementi di prova di un illecito amministrativo emergano dagli atti relativi alle indagini penali, decorre dalla ricezione degli atti trasmessi dall'autorità giudiziaria all'autorità amministrativa, posto che, qualora fosse consentito agli agenti accertatori di contestare immediatamente all'indagato la violazione amministrativa, l'autorità giudiziaria non sarebbe messa in condizione di valutare se ricorra o meno la vis attractiva della fattispecie penale e, nel contempo, sarebbe frustrato il segreto istruttorio imposto dall'art. 329 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23477 del 05/11/2009, Rv. 609980 – 01; conf. di recente da: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7754 del 30/03/2010, Rv. 612179 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9881 del 20/04/2018, Rv. 648157 – 01) (Cass. Civ., 29 marzo 2024, n. 8588)
Omessa audizione del trasgressore: la cassazione esclude la nullità dell'ordinanza ingiunzione per mancata audizione dell'interessato, confermando la tutela in sede giurisdizionale. È stato chiarito da Cass. S.U. n. 1786/2010 che, in tema di ordinanza ingiunzione per l'irrogazione di sanzioni amministrative - emessa in esito al ricorso facoltativo al Prefetto, ai sensi dell'art. 204 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, ovvero a conclusione del procedimento amministrativo ex art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689 - la mancata audizione dell'interessato che ne abbia fatto richiesta in sede amministrativa non comporta la nullità del provvedimento, in quanto, riguardando il giudizio di opposizione il rapporto e non l'atto, gli argomenti a proprio favore che l'interessato avrebbe potuto sostenere in sede di audizione dinanzi all'autorità amministrativa ben possono essere prospettati in sede giurisdizionale (conf. Cass. n. 21146/2019) (Cass. Civ., 28 dicembre 2022, n. 37942)
Competenza
Spetta al dirigente ingiungere la sanzione amministrativa. È stato già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21631 del 2006; Cass. n. 8560 del 2009; Cass. n. 20864 del 2009; più di recente, Cass. n. 1951 del 2022)) che, nello svolgimento dell'attività degli enti locali, e in particolare dei comuni, le responsabilità penali e le responsabilità di ordine sanzionatorio -amministrativo connesse alla violazione delle norme che l'ente è tenuto a osservare nello svolgimento della sua attività, sono ripartite tra gli organi elettivi e quelli burocratici sulla base del principio della separazione delle funzioni (legge n. 142 del 1990 art. 51, comma 2, poi novellato dalla legge 15 maggio 1997, n. 127, art. 6, e quindi trasfuso nel Testo Unico degli enti locali approvato con D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 107, comma 3) e in correlazione alle rispettive attribuzioni, desumibili dalla disciplina di settore. Non si può, pertanto, automaticamente ascrivere al Sindaco di un Comune, ancorché di modeste dimensioni, qualsiasi compito nell'ambito dell'attività dell'ente, allorché sussista una apposita articolazione burocratica preposta allo svolgimento dell'attività medesima, con relativo dirigente dotato di autonomia decisionale e di spesa, e ciò vale, senza alcun dubbio, per le sanzioni amministrative, la cui irrogazione è espressione di un provvedimento amministrativo che impegna l'Amministrazione verso l'esterno, ai sensi dell'art. 107, comma 2 TUEL. La conclusione trova, peraltro, esplicita conferma nell'art. 7 bis, comma 2 TUEL, secondo il quale "L'organo competente ad irrogare la sanzione amministrativa è individuato ai sensi dell'art. 17 della legge 24 novembre 1981 n. 689", ultima norma la quale stabilisce al primo comma che "il funzionario o l'agente che ha accertato la violazione, salvo che ricorra l'ipotesi prevista nell'articolo 24, deve presentare rapporto, con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni, all'ufficio periferico cui sono demandati attribuzioni e compiti del Ministero nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione o, in mancanza, al prefetto". Da siffatte disposizione deve desumersi che l'impostazione contenuta nel TUEL è nel senso che il Sindaco e il Presidente di Provincia sono responsabili e rappresentanti dell'ente, ma spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti che impegnano l'ente all'esterno, che non rientrino "tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente". Va, dunque, affermato il principio di diritto secondo cui "l'interpretazione sistematica del quadro normativo di cui agli artt. 4, 29 e 30 legge regione Lombardia n. 14/1998, degli artt. 50, 7 bis, comma 2 e 107 TUEL, dell'art. 17legge n. 689/1981 è nel senso che al Sindaco e al Presidente di Provincia non spetta qualsiasi compito nell'ambito dell'attività dell'ente, allorché sussista un'apposita articolazione burocratica preposta allo svolgimento di attività che non sia di indirizzo e controllo politico-amministrativo, per cui i dirigenti dotati di autonomia decisionale e di spesa hanno tutti i compiti connessi alle loro funzioni, compresa l'adozione degli atti che impegnano l'ente all'esterno" e questo principio di diritto fonda la pronuncia di infondatezza della censura (Corte Cassazione, 12 dicembre 2024, n. 32082)
Motivazione
E' valida una ordinanza-ingiunzione con motivazione succinta purché siano indicate le ragioni di fatto e valutati i rilievi difensivi. L'ordinanza ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa non deve avere una motivazione analitica e dettagliata come quella di un provvedimento giudiziario, essendo sufficiente che sia dotata di una motivazione succinta, purché dia conto delle ragioni di fatto della decisione (che possono anche essere desunte "per relationem" dall'atto di contestazione) ed evidenzi l'avvenuto esame degli eventuali rilievi difensivi formulati dal ricorrente” (Cass. 14 dicembre 2023, n. 35025).
Termine per l'adozione
Termine per l'adozione dell'ordinanza-ingiunzione: la cassazione chiarisce l'assenza di termini decadenziali per l'emissione del provvedimento sanzionatorio dopo la contestazione, salvo il rispetto dell'art. 28 delle legge 689/81. La Corte ha già stabilito che la formulazione finale del provvedimento sanzionatorio, una volta rispettati i termini per la contestazione formale, non è assoggettata dalla lex generalis (L. n. 689 del 1981) ad alcuno sbarramento temporale decadenziale, salva la prevalenza di leggi speciali di pari grado (così Cass., Sez. 2 n. 9517 del 18/04/2018). In particolare, la L. n. 689 del 1981 prescrive, all’art. 14, un termine perentorio soltanto per la contestazione differita; oltre a tale indicazione temporale e all'esigenza di rispettare effettivamente il principio del contraddittorio nel corso del procedimento amministrativo che conduce all'irrogazione della sanzione, non sussiste alcuna altra disposizione cogente in ordine al rispetto di termini endoprocedimentali, salva la disciplina della prescrizione stabilita all'art. 28 della stessa legge” (ex multis, Cass. Civ, 20 novembre 2024, n. 29918)
Notifica
Notifica a un imprese con sede in uno Stato membro della UE. Non si applica il regolamento UE 1393/2007 . In tema di sanzioni amministrative, l'ordinanza ingiunzione emessa da una p.a. nei confronti di una impresa con sede in uno Stato membro dell'UE è espressione dell'esercizio di un potere autoritativo, pertanto la relativa notifica non deve avvenire ai sensi del regolamento UE n. 1393 del 2007 (essendo escluso dal suo ambito di applicazione la materia fiscale, doganale e amministrativa), né della Convenzione dell'Aja del 1965 (siccome dettata per la notificazione o comunicazione di atti giudiziari in materia civile e commerciale e non anche per gli atti amministrativi), ma ai sensi dell'art. 142 c.p.c. e, dunque, alla stregua della legge consolare ex d.lgs. n. 71 del 2011, in virtù della quale operano le modalità descritte dalla Convenzione di Strasburgo del 24 novembre 1977, ratificata in Italia con l. n. 149 del 1983, quando il destinatario risieda in Stato che l'abbia ratificata, oppure, in caso contrario, mediante spedizione diretta con raccomandata con ricevuta di ritorno o, infine, tramite Ambasciata o Consolato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la notifica dell'ordinanza ingiunzione alla compagnia Ryan Air potesse essere eseguita, alla stregua della legge consolare, mediante invio diretto a mezzo posta, in quanto l'Irlanda pur non avendo ratificato la Convenzione di Strasburgo del 24 novembre 1977, ammetteva tale forma di notifica) (Cass. Civile, 16 novembre 2022, n. 33765)
La Cassazione chiarisce l'esclusione delle maggiorazioni in caso di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo. La maggiorazione prevista dall'art. 27, comma 6, l. n. 689 del 1981, per il caso di ritardo nel pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, ha natura non già risarcitoria o corrispettiva, bensì sanzionatoria e, pertanto, si determina solo allorquando sussista il requisito soggettivo dell'imputabilità del ritardo al comportamento doloso o colposo dell'agente; ne deriva che detta maggiorazione non è applicabile in relazione al tempo durante il quale l'efficacia esecutiva del provvedimento sanzionatorio sia stata sospesa, ai sensi dell'art. 22 l. n. 689 del 1981 o degli artt. 5 e 6 d.lgs. n. 150 del 2011, valendo tale sospensione ad escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa nell'omissione del pagamento (Cassazione civ, 19 aprile 2022, n. 12432)
Giurisdizione
Giurisdizione in materia di cave. Appartiene alla giurisdizione ordinaria l'opposizione ad ordinanza ingiunzione di pagamento per violazione della normativa relativa alle cave, poiché la posizione giuridica di chi deduca di essere stato sottoposto a sanzione in casi e modi non stabiliti dalla legge ha consistenza di diritto soggettivo, senza che rilevi il nuovo quadro normativo conseguente all'emanazione del d.lgs. n. 150 del 2011 (che ha modificato l'art. 22 della l. n. 689 del 1981 ed abrogato l'art. 22 bis della stessa legge) e del d.lgs. n. 104 del 2010 (che all'art. 133, comma 1, lett. f, ha mantenuto ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo per le controversie in materia urbanistica ed edilizia concernenti "tutti gli aspetti del territorio"), non discutendosi in tali cause di modi di governo del territorio, ma solo di provvedimenti adottati dalla P.A. per reagire a comportamenti illegittimi dei privati (Cassazione civ., Sezioni Unite, 14 marzo 2022, n. 8187
Notifiche
L'opposizione tempestiva sana la nullità della notifica del verbale di contestazione. La nullità della notificazione del verbale di accertamento di infrazione del codice della strada può dirsi sanata per il raggiungimento del relativo scopo - che è quello della conoscenza legale dell'atto volta all'utile predisposizione delle proprie difese da parte del destinatario della contestazione - soltanto ove sia proposta una tempestiva e rituale opposizione, avendosi così per realizzato nel processo il risultato pratico cui la valida notificazione è "ex lege" finalizzata, con conseguente venir meno dell'interesse del destinatario a denunciare lo specifico vizio. Viceversa, se, a fronte della nullità della notificazione della violazione, la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale avvenga oltre il termine di legge decorrente dalla data della medesima notifica, non operando la sanatoria, l'opposizione al verbale di accertamento può essere proposta per dedurre unicamente l'invalida notificazione del verbale di accertamento, dovendo l'amministrazione dimostrare che non sia intervenuta la decadenza per l'esercizio del potere sanzionatorio (Cassazione civ., Sezioni Unite, 8 aprile 2022, n. 11550)
Legittimazione passiva
La cassazione conferma la legittimazione passiva esclusiva del destinatario della sanzione e dell'amministrazione ingiungente. La legittimazione passiva nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione spetta - anche in caso di eventuale responsabilità sanzionatoria con vincolo di solidarietà - esclusivamente al destinatario dell'ingiunzione al quale viene addebitata la violazione amministrativa, in quanto tale giudizio, sebbene abbia ad oggetto un rapporto giuridico avente fonte in un'obbligazione di tipo sanzionatorio, è formalmente strutturato quale impugnazione di un atto amministrativo, sicché non è consentita in esso la partecipazione di soggetti diversi dall'amministrazione ingiungente e dall'ingiunto, trovando la legittimazione a ricorrere fondamento nell'esistenza di un interesse giuridico alla rimozione di un atto del quale il ricorrente sia destinatario, mentre il fatto di essere esposto ad una eventuale azione di regresso integra un semplice interesse di fatto (Sez. 1, n. 325 dell’11 gennaio 2007) (Cass. Civile, 2 gennaio 2023, n. 3).
Poteri del giudice ordinario
Il giudice valuta il merito della sanzione amministrativa. Il sindacato giurisdizionale sulle sanzioni amministrative. In tema di sanzioni amministrative, l'opposizione all'ordinanza-ingiunzione non configura un'impugnazione dell'atto, ma introduce un ordinario giudizio sul fondamento della pretesa dell'autorità amministrativa, devolvendo al giudice adito la piena cognizione circa la legittimità e la fondatezza della stessa, con l'ulteriore conseguenza che, in virtù dell'art. 23 della l. n. 689 del 1981, il giudice ha il potere-dovere di esaminare l'intero rapporto, con cognizione non limitata alla verifica della legittimità formale del provvedimento, ma estesa - nell'ambito delle deduzioni delle parti - all'esame completo nel merito della fondatezza dell'ingiunzione, ivi compresa la determinazione dell'entità della sanzione, secondo i criteri stabiliti dall'art. 11 della legge citata, sulla base di un apprezzamento discrezionale insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato e immune da errori logici o giuridici (Cass. Civ., 13 novembre 2024. n. 20315)
Sanzioni amministrative: il giudice ordinario può disapplicare gli atti amministrativi presupposti. Il consolidato orientamento in forza del quale, con riferimento al procedimento di opposizione avverso un’ordinanza-ingiunzione, irrogativa di sanzione pecuniaria, come disciplinato dalla legge n. 689/1981, deve riconoscersi sempre al giudice ordinario la competenza giurisdizionale, a tutela del diritto soggettivo dell’opponente, di non essere sottoposto al pagamento di somme all’infuori dei casi espressamente previsti, in ciò eventualmente restando ricompreso anche il potere di sindacare incidentalmente, ai fini della disapplicazione, gli atti amministrativi costituenti presupposto di quella ordinanza (Cass. Sez. U, Sentenza n. 22518 del 20/10/2006; Sez. U, Sentenza n. 6627 del 29/04/2003)[…] Ne discende che la devoluzione della giurisdizione al giudice ordinario in ordine all’opposizione avverso le sanzioni amministrative si estende alla cognizione di quest’ultimo anche con riguardo agli atti amministrativi e regolamentari presupposti che hanno condotto all’emissione del provvedimento finale, i quali costituiscono la concreta e diretta ragione giustificativa della potestà sanzionatoria esercitata nel caso concreto ed incidono pertanto su posizioni di diritto soggettivo del destinatario (Cass. Sez. U, Sentenza n. 25477 del 21/09/2021; Sez. U, Sentenza n. 25476 del 21/09/2021; Sez. U, Sentenza n. 24609 del 02/10/2019) (Sez. U. n. 20263 del 2022; Cass. Civ., 1 agosto 2023, n. 23381)
Onere della prova
L'onere di provare il fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria è in capo all'amministrazione. Nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, l'onere di allegazione è a carico dell'opponente, mentre quello probatorio soggiace alla regola ordinaria ex art. 2697 c.c.; pertanto, grava sulla P.A., quale attore sostanziale, la prova dei fatti costitutivi della sua pretesa, e non sull'opponente, che li abbia contestati, quella della loro inesistenza, dovendo, invece, quest'ultimo dimostrare le sole circostanze negative contrapposte a quelle allegate dall'amministrazione. (Nella specie, la S.C, ha confermato il rigetto dell'opposizione proposta dall'esercente del punto di raccolta scommesse che invocava la disapplicazione, per contrasto con il diritto unionale, della norma che sanziona la mancanza di licenza di pubblica sicurezza, poiché la ricorrente non aveva fornito la prova che tale mancanza era dovuta al fatto che l'operatore estero, al quale era affiliata, non aveva ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di un'illegittima esclusione dalle gare, o di un comportamento discriminatorio tenuto dallo Stato nazionale) (Corte. Cass., 22 novembre 2024, n. 30148)
Cessata materia del contendere
Annullamento in autotutela. Cessata materia del contendere. La produzione dell'ordinanza di annullamento consente di ritenere cessata la materia del contendere, in quanto comporta il venir meno dell'interesse alla decisione per il venir meno del provvedimento posto alla base del giudizio medesimo, con la conseguenza che, anche nel caso in cui tale circostanza emerga nel corso del giudizio di cassazione, va dichiarata l'inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (cfr. Cass., Sez. Un., 14 dicembre 2020 n. 28383; Cass. n. 10553 del 2017; Cass. n. 9201 del 2021). Com'è noto, la cessazione della materia del contendere costituisce, nel rito contenzioso dinanzi al giudice civile, una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, che si verifica quando sopravvenga una situazione che elimini la ragione del contendere delle parti, facendo venire meno l'interesse ad agire e a contraddire, cioè ad ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, da accertare avendo riguardo all'azione proposta e alle difese svolte dal Corte di Cassazione convenuto; a differenza di quanto accade in caso di rinuncia agli atti del giudizioso, la relativa dichiarazione, se intervenuta in sede di legittimità, comporta la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in giudicato. In conclusione, essendo nella fattispecie in esame cessata la materia del contendere per l'intervenuta revoca del provvedimento qui impugnato, il ricorso va dichiarato inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse. La sopravvenienza della ragione di inammissibilità del ricorso consente la compensazione delle spese del giudizio. In quanto giustificata dalla cessazione dell'interesse alla decisione della controversia, sopravvenuta alla proposizione dell'impugnazione, la dichiarazione d'inammissibilità non comporta infine l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma diciassettesimo, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, riferibile esclusivamente all'ipotesi in cui il giudizio di legittimità si concluda con il rigetto dell'impugnazione ovvero con la dichiarazione dell'inammissibilità originaria della stessa (cfr. Cass., Sez. Un., 14 dicembre 2020 n. 28383; Cass. 10 febbraio 2017 n. 3542; Cass. 2 luglio 2015 n. 13636) (Cass. Civ, 31 agosto 2023, n. 25505)
Fermo amministrativo di beni mobili registrati. Opposizione. Competenza del giudice di pace. Il fermo amministrativo di beni mobili registrati, anche quando disposto in ragione del mancato pagamento di cartelle esattoriali relative a sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per violazioni del codice della strada, non ha natura di espropriazione forzata, ma di procedura a questa alternativa, trattandosi di misura puramente afflittiva volta ad indurre il debitore all'adempimento, sicché la sua impugnativa con atto di opposizione, sostanziandosi in un'azione di accertamento negativo della pretesa creditoria, spetta alla competenza per materia del giudice di pace nei limiti di valore di cui all'art. 6, comma 5, del d.lgs. n. 150 del 2011.(Cass. Civ., 14 marzo 2024, n. 6790)
La funzione sanzionatoria
La Regione può delegare alle Province l'attività sanzionatoria in materia di acque. Le Regioni possono delegare alle Province l'attività sanzionatoria. È irrilevante la comparazione tra i testi degli artt. 135 cit. e 56 d.lgs. 152/1999. Così, Cass. 3269/2020, p. 4 s., che rinvia a Cass. SU 6059/2015, cui si dà seguito (Cass. Civile, 26 gennaio 2023, n. 2414)
Il titolare dell'autorizzazione
Scarichi e responsabilità ambientale: confermato l'obbligo di vigilanza continua a carico del titolare dell'autorizzazione allo scarico, ancorché non gestore. Assume rilevanza distinguere, allorquando se ne ponga la necessità, tra il titolare dell’autorizzazione allo scarico ed il gestore dell’impianto di depurazione. L'art. 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319 (c.d. legge Merli), ha introdotto il principio (ripreso dal d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art.45) della personalità dell'autorizzazione allo scarico. Solo il titolare dell'autorizzazione allo scarico è responsabile del superamento dei valori limite di emissione previsti per legge e soltanto su di lui grava l'obbligo di verificare in continuazione la idoneità del sistema di smaltimento a mantenere le acque reflue nei limiti ammessi e, in caso contrario, di attivarsi per effettuare i necessari interventi; ne deriva che il titolare dell'autorizzazione è l'unico responsabile anche qualora il superamento dei predetti valori sia materialmente riconducibile a terzi cui egli abbia consentito l'utilizzo dello scarico (Sez. 1, Sentenza n. 10480 del 08/05/2006), a meno che egli ne dimostri la riconducibilità al fatto del terzo, avvenuto contro la sua volontà. In altri termini, l'autorizzazione allo scarico non è un fatto meramente formale, che esonera da ogni responsabilità, ma, al contrario, responsabilizza il titolare, imponendogli una vigilanza e un controllo continui (Cassazione civ., 25 febbraio 2022, n. 6351)
Scarichi idrici e responsabilità solidale: la cassazione limita la responsabilità del titolare dell'impianto in caso di regolare delega a terzi, salvo culpa in vigilando o deficienze strutturali. Sempre in tema di superamento dei limiti di accettabilità degli scarichi delle acque reflue da depuratore, con riferimento al principio della solidarietà di cui all'articolo 6 della legge 24 novembre 1981 n. 689, la delega di funzioni, nel caso di affidamento della gestione dell'impianto a terzi, ove regolarmente conferita, con conseguente assoggettamento a responsabilità del solo soggetto delegato, comporta che solo all'interno della struttura di quest'ultimo, e fuori dei casi di responsabilità dell'ente preponente - per culpa in vigilando, in eligendo o per altri eccezionali casi, quali la radicale ed originaria deficienza tecnica degli impianti ed omissione di intervento, o di sopravvenuta inadeguatezza degli stessi -, possa operare il detto principio di solidarietà; vale a dire che, una volta individuato nel soggetto gestore, persona fisica o giuridica, il detentore qualificato dell'impianto, solo lo stesso è obbligato al pagamento della (Sez. 2, Sentenza n. 14441 del 22/06/2006; conf. Sez. 2, Sentenza n. 22295 del 02/11/2010 e Sez. 2, Sentenza n. 28653 del 2011) (Cassazione civ., 25 febbraio 2022, n. 6351)
Campionamento acque
Campionamento acque. Le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell'allegato 5 alla Parte II^ del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (campione medio prelevato nell'arco di tre ore), non costituiscono un criterio legale di valutazione della prova e possono essere derogate, anche con campionamento istantaneo, in presenza di particolari esigenze individuate dall'organo di controllo, delle quali deve essere data motivazione e tali esigenze possono derivare dalle caratteristiche del ciclo produttivo, dal tipo di scarico - continuo, discontinuo, istantaneo - dal tipo di accertamento (Cass. Civ. I30 novembre 2022, n. 45434)
Scarichi: le attestazioni dell'organo tecnico. Le attestazioni dell’organo tecnico hanno ad oggetto la conformità del livello di emissione rispetto al solo limite di concentrazione, non anche alla percentuale di riduzione del carico inquinante, i cui limiti devono essere parimenti rispettati ai sensi della normativa di cui il motivo afferma la violazione. In questo senso è la giurisprudenza di questa Corte, la quale si è espressa in una serie di pronunce, specialmente recenti, in casi simili a quello di specie, coinvolgenti la Provincia/Città metropolitana di Genova e diverse società. Cfr., tra le altre, Cass. 9962/2020, 17725/2020, 1728/2020, 17731/2020, cui si dà seguito. (Cass. Civile, 26 gennaio 2023, n. 2414)
L'assenza di autorizzazione
Scarichi idrici e autorizzazioni: la cassazione equipara la mancanza originaria dell'autorizzazione alla sua scadenza non rinnovata, confermando la sanzionabilità. La normativa invocata dal ricorrente, quindi, equipara in toto la situazione della mancanza originaria dell'autorizzazione a quella del suo venire meno per scadenza del termine di legge (Sul punto, si veda Cass., Sez. 2, Sentenza n. 23067 del 30 ottobre 2009). Una regolamentazione analoga contiene l'art. 124 del d.lgs. n. 152 del 2006 il quale stabilisce, al comma 8, che "Salvo quanto previsto dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, l'autorizzazione è valida per quattro anni dal momento del rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve essere chiesto il rinnovo. Lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto in funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all'adozione di un nuovo provvedimento, se la domanda di rinnovo è stata tempestivamente presentata". Peraltro, l'art. 133, comma 2, del d.lgs. n. n. 152 del 2006, sanziona "Chiunque apra o comunque effettui scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 124, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata". Ne deriva, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, che il citato art. 133, comma 2, si riferisce pure all'ipotesi regolata dall'art. 124, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, che riguarda proprio la mancata istanza di rinnovo dell'autorizzazione prima della scadenza, e che, quindi, non può ipotizzarsi nessuna violazione del principio di legalità (Cassazione civ., 9 marzo 2022, n. 7608)
Scarichi idrici non autorizzati: la cassazione conferma la responsabilità del comune anche in caso di gestione a terzi del servizio idrico integrato. Innanzitutto, deve affermarsi il principio per il quale, in tema di sanzioni amministrative, ove il Comune abbia affidato la gestione del servizio idrico ad un soggetto terzo, l'ente locale risponde, comunque, dello scarico non autorizzato delle acque poiché ad essere stata trasferita è la detta gestione, mentre la responsabilità dell'ente citato, titolare della rete, non viene meno, essendo esso soggetto agli obblighi di legge. Tale principio va applicato pure all'ipotesi dello scarico non autorizzato di acque reflue urbane che avvenga all'interno di un ambito territoriale ottimale ove il servizio idrico integrato, ovvero l'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, di cui agli artt. 4, comma 1, lett. f), della legge n. 36 del 1994, e 141, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, sia stato assegnato ai soggetti gestori individuati ai sensi della normativa vigente (nella specie, la legge regionale della Calabria n. 10 del 1997). Nel caso de quo, inoltre, ad essere vietato era direttamente il citato scarico di acque in assenza di permesso ed è incontestato che la sua effettuazione avvenisse ad opera del Comune con la conseguenza che, pertanto, non può essere esclusa la responsabilità di parte ricorrente (Cassazione civ., 9 marzo 2022, n. 7608)
Responsabilità del Sindaco
Responsabilità del sindaco negli enti locali: la cassazione chiarisce l'obbligo di controllo sull'attuazione delle scelte programmatiche e di intervento per la tutela della salute e dell'ambiente. L'art. 107 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» stabilisce, al comma 1, che ai dirigenti degli enti locali spetta la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti, che devono uniformarsi al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Sebbene la disposizione in esame distingua tra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo degli enti locali e compiti di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, attribuiti ai dirigenti, cui sono conferiti autonomi poteri di organizzazione delle risorse, strumentali e di controllo, è evidente che il sindaco, una volta esercitati i poteri attribuitigli dalla legge, non può semplicemente disinteressarsi degli esiti di tale sua attività, essendo necessario, da parte sua, anche il successivo controllo sulla concreta attuazione delle scelte programmatiche effettuate; egli ha, inoltre, il dovere di attivarsi quando gli siano note situazioni, non derivanti da contingenti ed occasionali emergenze tecnico — operative, che pongano in pericolo la salute delle persone o l'integrità dell'ambiente (Cass. Pen., 2 maggio 2023 n. 18024)
Sanzioni amministrative negli enti locali: la cassazione chiarisce la responsabilità sussidiaria del sindaco e l'obbligo di verifica delle attribuzioni tra organi politici e burocratici. Nel sistema sanzionatorio delineato dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, l'art. 6 sancisce il principio della responsabilità solidale della persona giuridica nell'ipotesi in cui l'illecito amministrativo sia stato commesso dal suo rappresentante o da un suo dipendente e tale responsabilità è di carattere sussidiario, sicché deve ritenersi sussistente ogni qualvolta sia stato commesso un illecito amministrativo da persona ricollegabile all'ente per aver agito nell'esercizio delle sue funzioni o incombenze, a prescindere dall'identificazione dell'autore materiale dell'illecito, trattandosi di requisito che, di per sé solo, non costituisce condizione di legittimità dell'ordinanza-ingiunzione, a meno che detta mancanza di identificazione non possa tradursi in un difetto di prova sulla responsabilità. E' stato tuttavia chiarito dalla giurisprudenza che, nello svolgimento dell'attività degli enti locali, e in particolare dei comuni, le responsabilità penali e le responsabilità di ordine sanzionatorio - amministrativo connesse alla violazione delle norme che l'ente è tenuto a osservare nello svolgimento della sua attività, sono ripartite tra gli organi elettivi e quelli burocratici sulla base del principio della separazione delle funzioni (legge n. 142 del 1990, art. 51, comma 2, poi novellato dalla legge 15 maggio 1997, n. 127, art. 6, e quindi trasfuso nel Testo Unico degli enti locali approvato con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 107, comma 3) e in correlazione alle rispettive attribuzioni, desumibili dalla disciplina di settore. Non si può, pertanto, automaticamente ascrivere al Sindaco di un Comune, ancorché di modeste dimensioni, qualsiasi violazione di norme verificatasi nell'ambito di attività dell'ente, allorché sussista una apposita articolazione burocratica preposta allo svolgimento dell'attività medesima, con relativo dirigente dotato di autonomia decisionale e di spesa; una responsabilità dell'organo politico di vertice è, in tal caso, configurabile solo in presenza di specifiche situazioni, correlate alle attribuzioni proprie di tale organo. A tali principi non si è attenuta la Corte di merito, perché ha ritenuto il Sindaco responsabile dell'illecito in base alla sua sola posizione istituzionale, ed ha omesso di verificare, sulla base delle allegazioni dell'opponente, se i poteri decisionali relativi al rinnovo delle autorizzazioni allo scarico dei rifiuti in questione fossero stati validamente attribuiti ad organi burocratici. Infatti pur nel riportare l'orientamento secondo cui potrebbe operare la delegazione amministrativa, ne ha escluso l'applicazione nel caso di specie per l'assenza di prova rigorosa "su specifiche condizioni", accertata la sola mera esistenza di un dirigente deputato alla gestione dell'area 1 - Settore Ambiente, senza verificare - ai fini dell'accertamento - l'attività in concreto esercitata dalla dirigente dell'area, e gli atti alla stessa delegati; in altri termini, se i poteri decisionali relativi a tale impianto fossero stati validamente attribuiti a siffatto dirigente anche alla luce dei compiti attribuiti agli organi politici e a quelli burocratici dall'art. 107 del d.Igs. n. 267 del 2000. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, il Collegio afferma il seguente "principio di diritto": "Nell'ambito del giudizio di opposizione a sanzioni amministrative, ferma restando la regola della responsabilità solidale della persona giuridica e del suo legale rappresentante, prevista dall'art. 6 dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, trattandosi però per quest'ultimo di responsabilità avente carattere sussidiario, il giudice è tenuto ad indagare - anche d'ufficio - sulla circostanza che l'illecito amministrativo sia stato commesso da persona fisica ricollegabile all'ente quale organo burocratico dello stesso per aver agito (od omesso di agire) nell'esercizio delle funzioni o delle incombenze proprie, a prescindere dall'esistenza di una delega ad hoc rilasciata dal legale rappresentante dell'ente medesimo. Il giudice di merito può applicare il principio sussidiario della responsabilità del legale rappresentante della persona giuridica allorché la condotta sanzionata sia in correlazione alle attribuzioni, desumibili dalla disciplina di settore, proprie degli organi politici dell'ente" (Cassazione civ., 20 giugno 2022, n. 19751)
Formulario di trasporto
Il produttore risponde insieme al trasportatore per l'omessa formazione e sottoscrizione del formulario. In tema di rifiuti non pericolosi, il produttore si qualifica come soggetto obbligato a formare e sottoscrivere il formulario di trasporto assieme al trasportatore e non come soggetto estraneo alla fattispecie, sul quale incomba un diverso obbligo di vigilanza e di garanzia, integrando per entrambi la relativa omissione gli estremi della condotta tipica dell'illecito previsto dall'art. 193 del d.lgs. n. 152 del 2006, con la conseguenza che il fondamento della punibilità del concorso di persone in tale illecito amministrativo risiede già nell'art. 193 del d.lgs. n. 152 del 2006, quale suo intrinseco elemento costitutivo, e non nell'art. 5 della l. n. 689 del 1981 - Massime precedenti Vedi: N. 34031 del 2019 - (Cassazione civ., 29 aprile 2022, n. 13580)
Il formulario di trasporto non può essere sottoscritto da un delegato del produttore o del trasportatore o del destinatario. I formulari di identificazione rifiuti, contenuti nel d.m. 10 aprile 1998, n. 145, devono essere distintamente sottoscritti sia dal produttore/detentore, che dal trasportatore che, infine, dal destinatario; ne deriva che l'omessa sottoscrizione nel formulario di identificazione dei rifiuti del produttore dei rifiuti stessi elude il rigore formale della normativa, la quale non consente la sua sostituzione con un delegato, trattandosi di una norma che ha la funzione di garantire non solo una completa tracciabilità oggettiva e soggettiva di tale attività, ma anche di assicurare la piena responsabilizzazione dei soggetti coinvolti nella gestione del ciclo dei rifiuti (Cassazione civ., 14 aprile 2022, n. 12208)
Formulari compilati in modo inesatto: risponde la persona fisica a cui è riferibile l'azione materiale o l'omissione. In materia di sanzioni amministrative derivanti dall’esecuzione di trasporti con formulari non correttamente compilati, la Corte ha affermato il principio che dell’illecito non risponde il socio della società di trasporto, bensì solo la persona fisica a cui è riferibile l'azione materiale o l'omissione che integra la violazione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26238 del 06/12/2011, Rv. 619805; identico principio è stato applicato, da Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30766 del 28/11/2018, Rv. 651534, al caso di sanzione amministrativa derivante da attività di affissione con modalità non consentite) (Cass. Civ., 21 giugno 2023, 17730)
Trasporto di rifiuti: la cassazione chiarisce che il limite di 30 kg per l'esenzione dal formulario si riferisce al totale giornaliero e non al singolo trasporto. L’art. 15 del d. lgs n. 22 del 5.2.1997 così dispone al primo comma: Durante il trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare, in particolare, i seguenti dati: a) nome ed indirizzo del produttore e del detentore; b) origine, tipologia e quantità del rifiuto; c) impianto di destinazione; d) data e percorso dell'istradamento; e) nome ed indirizzo del destinatario. Al quarto comma è previsto che le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico né ai trasporti di rifiuti che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi al giorno o di trenta litri al giorno effettuati dal produttore dei rifiuti stessi. Dalla formulazione letterale di quest’ultimo comma si evince, per quel che rileva nel caso di specie, che la possibilità di non compilare i formulari corredati delle indicazioni prescritte dal primo comma è consentita solo nelle ipotesi in cui il produttore di rifiuti non trasporti – si noti - giornalmente più di 30 Kg di rifiuti. Il limite di peso non va, quindi, riferito al singolo trasporto o al singolo formulario ma ai trasporti complessivamente effettuati nella giornata. Si tratta di un’esenzione che trova la sua ragion d’essere nelle ipotesi in cui il legislatore non ha ritenuto essenziale la Corte di Cassazione - copia non ufficiale 5 di 10 tracciabilità dei rifiuti in ragione della loro non rilevante quantità o nel caso dell’esercizio di un servizio pubblico. La Corte d’appello ha, pertanto, errato nell’applicazione giuridica della norma in quanto l’ha ritenuta riferibile alla condotta della mancata o inesatta compilazione del formulario non in base al trasporto giornaliero ma a quello singolo (Cass. Civ., 8 aprile 2024, n. 9313)
Cumulo formale e continuazione: regime speciale per i formulari di identificazione. Il giudice di seconde cure ha escluso l'unicità dell'azione necessaria per l'applicabilità del cumulo formale senza, però, specificare perché non era ravvisabile detta unicità di azione. Dalla lettura della norma di riferimento appare, invece, lapalissiano che anche in caso di più violazioni della stessa disposizione di legge sia applicabile il cumulo giuridico. Del resto, il legislatore è intervenuto di recente esplicitamente a regolare, con riguardo agli illeciti amministrativi contemplati del novellato art. 258 codice dell’ambiente, le ipotesi di concorso formale e continuazione, nonché il cumulo giuridico delle sanzioni amministrative: alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019, si deve ritenere applicabile anche al caso di specie il principio di retroattività della disposizione più favorevole e, quindi, la regola del cumulo giuridico (L’ordinanza contestava alla società ALFA la violazione dell'art. 193 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. codicedell’ambiente), per avere effettuato n. 25 trasporti di rifiuti speciali non pericolosi (sansa di olive) in assenza del previsto formulario di identificazione rifiuti (FIR), utilizzando invece il DDT come se il trasporto riguardasse materia prima; irrogava, pertanto, alla suddetta società una sanzione amministrativa pari ad €40.015,95 (€1.600,00 per ogni trasporto) (Cass. Civ., 29 marzo 2024, n. 8588)
Area di cava. LR 14/98. L’art. 13 della L.R. Lombardia 08/08/1998, n. 14 subordina l’attività di coltivazione della cava al rilascio di un provvedimento autorizzativo che tra le altre cose determina tipo e quantità di sostanze minerali di cava di cui è consentita la coltivazione nonché “l'estensione e la profondità massima degli scavi previsti, riferite a specifici punti fissi di misurazione ed ogni altra prescrizione e modalità da osservarsi nell'attività estrattiva, con riferimento al progetto di coltivazione presentato dal richiedente”. La ratio della previsione è quella di autorizzare l’attività di coltivazione “anche con la specifica indicazione delle delimitazioni spaziali della cava stessa” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5757 del 12/03/2007 - Rv. 596240 – 01), dovendosi tuttavia intendere tale riferimento non solamente ai due profili della superficie (estensione) e dall’altezza (profondità), considerati separatamente, ma anche (come il riferimento ai “punti fissi” ben lascia intendere) alla combinazione di tali due parametri entro una specifica volumetria, quale costituisce il vero criterio di “delimitazione spaziale” dell’attività autorizzata. Finalità della previsione, infatti, è quella di “contenere” l’attività di scavo entro ben precisi limiti, superati i quali l’attività medesima viene a porsi fuori dell’autorizzazione medesima ed a costituire, conseguentemente, attività non autorizzata. Diversamente opinando, infatti, non solo verrebbe ad essere condotta al di fuori della prescrizione autorizzativa una componente evidentemente “spaziale”, come la pendenza delle sponde dello scavo, ma risulterebbe “autorizzata”, per absurdum, qualunque forma tridimensionale dello scavo medesimo che purtuttavia rispettasse perimetro, profondità e volumetria di materiale estratto, in tal modo tradendo la finalità della previsione, che è invece quella di determinare uno specifico vincolo alla forma tridimensionale complessiva dello scavo (Cass. Civile., 19 ottobre 2022, n. 30878)