Patrimonio ed espropri
Rassegna di giurisprudenza in merito a patrimonio ed espropri

Autotutela esecutiva
Demanio e patrimonio indisponibile. Autotutela esecutiva. il Consiglio di Stato chiarisce che l'art. 823, comma 2, c.c. soddisfa un'esigenza di tutela non connessa al possesso, né alla mera proprietà pubblica, ma dipendente dagli interessi pubblici che il bene può soddisfare. Ed invero, come già anticipato, i poteri di cui all'art. 823, comma 2, c.c. possono essere esercitati non soltanto in relazione ai beni del demanio (necessario ed eventuale), avendo la giurisprudenza costantemente affermato che l'autotutela amministrativa contemplata dalla disposizione indicata riguarda anche i beni del patrimonio indisponibile (Cass. civ., Sez. un., ord. n. 15155 in data 20 luglio 2015; C.d.S., III, n. 6386/2020; VI, n. 5934/2019; C.G.A.R.S., 16 luglio 2019, n. 674; 3 aprile 2018, n. 178) al fine di impedire più efficacemente l'illecita sottrazione degli stessi alla loro destinazione, posto che ai sensi dell'art. 828, comma 2, c.c. i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione "se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano". Il Consiglio di Stato ha, infatti, chiarito che resta alla pubblica amministrazione "il potere di controllo e di intervento di imperio, sia per proteggere il bene da turbative, sia per eliminare ogni situazione di contrasto riguardo alle esigenze del pubblico interesse che devono ispirare l'utilizzazione dei beni destinati a pubblico servizio" (C.d.S., Sez. V, 22 novembre 1993, n. 1164; Sez. IV, 25 novembre 1991, n. 969; Sez. V, 1° ottobre 1999, n. 1224). Il che giustifica l'ampio ambito di operatività dell'autotutela amministrativa dei beni demaniali o del patrimonio indisponibile, al punto da comprendere non soltanto i provvedimenti autoritativi di riduzione in pristino, come quello previsto dall'art. 378 l. 20 marzo 1865 [, n. 2248 - n.d.r.], all. F, ma anche quelli di revoca e modificazione, avente forza coattiva, degli atti e delle situazioni divenute incompatibili con la destinazione pubblica del bene (C.d.S., Sez. V, n. 1164 del 1993). Pertanto, il potere di autotutela esecutiva, previsto all'art. 823, comma 2, c.c., presuppone il previo accertamento della natura di bene patrimoniale indisponibile del compendio immobiliare oggetto di tutela recuperatoria pubblicistica, poiché, diversamente, il bene pubblico ricompreso nel patrimonio disponibile dell'ente può costituire oggetto di tutela soltanto mediante l'esperimento delle azioni civilistiche possessorie o della rei vindicatio (ex multis, C.d.S., Sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934). Affinché una res pubblica, non appartenente al demanio necessario, assuma il regime giuridico proprio dei beni patrimoniali indisponibili in quanto destinati ad un pubblico servizio occorrono tre condizioni: a) la proprietà del bene (requisito soggettivo) da parte della pubblica amministrazione (tra le altre Cass. civ., Sez. un., 28 giugno 2006, n. 14865; Sez. II, 13 marzo 2007, n. 5867); b) la presenza della manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico, desumibile da un espresso atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio (requisito oggettivo formale); nonché (congiuntamente) l'effettiva ed attuale destinazione del bene (requisito oggettivo sostanziale) al pubblico servizio (C.d.S., Sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934; Cass. civ., Sez. un., 25 marzo 2016, n. 6019; C.d.S., Sez. IV, 30 gennaio 2019, n. 513; Cass. civ., Sez. un., 28 giugno 2006, n. 14685). Una volta, dunque, dimostrata la sussistenza delle predette condizioni l'Amministrazione è legittimata a tutelare il bene in via amministrativa, potendo adottare un'ordinanza di rilascio nei confronti di chi lo occupi abusivamente (C.d.S., Sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4554) senza dover provare la ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 1168 c.c. o all'art. 1170 c.c. o all'art. 948 c.c., costituendo un istituto giuridico del tutto autonomo dalle richiamate azioni civilistiche a tutela del possesso o della proprietà. La limitazione, infatti, dell'eccezionale potere di autotutela esecutiva ai soli beni del demanio e del patrimonio indisponibile non può che essere giustificata proprio nell'ottica della salvaguardia di specifiche finalità di interesse generale (anche soltanto potenzialmente) soddisfatte dal bene pubblico, poiché, diversamente opinando, la norma si presterebbe a censure di incostituzionalità per irragionevole disparità di trattamento nella parte in cui non consente l'esercizio del medesimo potere per la tutela dei beni del patrimonio disponibile. Qualora, invero, la ratio della norma fosse rinvenibile nella protezione della proprietà pubblica in sé considerata, il potere in questione sarebbe preordinato a soddisfare le medesime esigenze di tutela garantite dall'esercizio dell'azione di rivendicazione da parte di colui il quale intenda riacquisire la disponibilità del proprio bene dimostrando di esserne proprietario. Donde, l'irragionevolezza della disciplina nella parte in cui distingue le varie categorie di beni pubblici. Ma poiché la ragione giustificatrice dell'eccezionale potere di autotutela esecutiva che supera il divieto penalmente sanzionato dall'art. 392 c.p. (violenza sulle cose) e che esonera l'ente pubblico dalla necessità di proporre dinanzi al giudice civile le azioni a tutela della proprietà o del possesso si rinviene nell'esigenza di garantire gli interessi pubblici soddisfatti da quei beni che per destinazione naturale o artificiale manifestino siffatta attitudine, non può ritenersi che l'art. 823, comma 2, c.c. presupponga la prova delle medesime condizioni previste per l'accoglimento delle azioni di cui agli artt. 1168 e ss. c.c. o dell'art. 948 c.c. Sebbene, infatti, l'Amministrazione possa scegliere se adire il giudice civile o agire in autotutela, la coincidenza dei risultati conseguibili (ossia il riacquisto della disponibilità del bene) non significa che le due differenti tecniche di tutela condividano anche i relativi presupposti, essendo questi ultimi condizionati dalle differenti ragioni che giustificano l'ammissibilità del singolo rimedio nel nostro ordinamento. Se, infatti, per la tutela possessoria di cui agli artt. 1168 e 1170 c.c. occorre provare la precedente disponibilità del bene e per l'azione di rivendicazione occorre dimostrare la titolarità del diritto di proprietà per oltre un ventennio, l'autotutela esecutiva di cui all'art. 823, comma 2, c.c. presuppone, per il suo legittimo esercizio, la dimostrazione soltanto che il bene in questione appartenga al demanio o al patrimonio indisponibile, presumendosi da siffatta qualità, iuris et de iure, la sua preordinazione al soddisfacimento di determinati interessi pubblici. Donde, l'impossibilità di considerare siffatto rimedio come speculare nei presupposti rispetto agli altri due, sebbene senza dubbio alternativo nell'utilità in concreto ritraibile per l'Amministrazione. Di conseguenza, la tutela amministrativa di cui all'art. 823 c.c. non richiede, né la prova del possesso anteriore, né la prova di un diritto di proprietà ininterrotto per oltre venti anni, non essendo i beni demaniali e quelli del patrimonio indisponibile suscettibili di usucapione (tra le tante, Cass. civ., Sez. II, 15 febbraio 2010, n. 3465) (Cons. Stato, 19 maggio 2023, n. 4987)
Certificazione di agibilità
Mancanto conseguimento della certificazione di agibilità del bene locato ad uso non abitativo: non costituisce un vizio della cosa. In tema di locazione di immobili ad uso non abitativo, il mancato conseguimento del certificato di agibilità del bene locato non attiene alla validità del contratto e non rientra fra i vizi della cosa ma incide sull'adempimento delle obbligazioni reciprocamente assunte dai contraenti. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di appello che, nonostante le parti avessero stabilito l'essenzialità della pattuizione relativa alla sussistenza dell'agibilità dell'immobile, aveva respinto la domanda di risoluzione del contratto proposta dal conduttore, che aveva denunciato la mancanza della "licenza di abitabilità") (Cass., 28 dicembre 2021, n. 41744)
Dati catastali
Dati catastali. Non sono fonte di prova certa, neppure dal punto di vista topografico. Per consolidata giurisprudenza, i dati catastali non possono ritenersi, neppure dal punto di vista topografico, fonte di prova certa della situazione di fatto esistente sul piano immobiliare, rappresentando l'accatastamento un adempimento di tipo fiscale-tributario che fa stato ad altri fini, senza assurgere a strumento idoneo, al di là di un mero valore indiziario, ad evidenziare la reale consistenza degli immobili interessati e la relativa conformità alla disciplina urbanistico-edilizia (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 631/2013; n. 666/2013; TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 1195/2015; TAR Toscana, Firenze, sez. III, n. 1149/2019; TAR Campania, Napoli, sez. III, n. 1750/2020; sez. VII, n. 1901/2021) (TAR Campania, 6 marzo 2023. n. 525)
Certificato catastale e falsa rappresentazione dei luoghi. Laddove non sia ipotizzabile altro scopo, non v’è dubbio che le dichiarazioni circa lo stato di fatto di beni immobili presentate all’Ufficio del catasto da un professionista iscritto all’albo che alleghi planimetrie riproducenti lo stato dei luoghi abbiano la funzione di implementare le informazioni poste nella disponibilità di quell’Ufficio e che, proprio per la particolare competenza e per i doveri di deontologia del professionista, siano destinate a provare la verità di quanto rappresentato, consentendo alla pubblica amministrazione di potervi fare affidamento per l’aggiornamento degli archivi e dei registri tenuti. Né vale richiamare, in contrario, il regime di prova dei certificati catastali, posto che, mentre non può dubitarsi della natura fidefacente di tali certificati rispetto alle informazioni e ai dati in possesso dell’ufficio che vengono documentalmente attestati, altro è il valore probatorio degli elementi in tal modo certificati, ciò che dipende, per un verso, dal tipo di questione che viene in rilievo e dalla relativa disciplina, per altro verso, dalla pur sempre deducibile non conformità del contenuto di tali atti all’effettiva realtà rappresentata (Cass., 16 dicembre 2022, n. 47666)
Non è nullo il contratto preliminare che non contenga le indicazione circa la c.d. conformità catastale. Il mancato inserimento, nel contratto preliminare di compravendita immobiliare, delle indicazioni circa la c.d. conformità catastale oggettiva, ovvero l'identificazione catastale del bene, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto, la dichiarazione o attestazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto, non ne comporta la nullità, in quanto le prescrizioni previste dall'art. 29, comma 1 bis, della l. n. 52 del 1985, aggiunto dall'art. 19, comma 14, del d.l. n. 78 del 2010 conv., con modif., dalla l. n. 122 del 2010, si riferiscono ai soli contratti traslativi, non trovando quindi applicazione ai contratti aventi effetti meramente obbligatori (Cass., 8 marzo 2022, n. 7521)
Conservatore dei registri immobiliari
Appartiene alla volontaria giurisdizione il precedimento avverso il rifiuto del conservatore dei registri immobiliari. Il procedimento avverso il rifiuto del Conservatore dei registri immobiliari (oggi direttore dell'Agenzia del territorio) di eseguire una trascrizione, previsto dall'art. 745 c.p.c., cui rinvia l'art. 113 bis disp. att. c.c., ha natura di volontaria giurisdizione non contenziosa, avendo esso ad oggetto non la risoluzione di un conflitto di interessi, ma il regolamento, secondo la legge, dell'interesse pubblico alla pubblicità immobiliare, cosicché in esso non è ravvisabile una parte vittoriosa o soccombente, tanto che il presidente del tribunale si limita a "sentire" il Conservatore e il relativo provvedimento è insuscettibile di passare in giudicato; non può, pertanto, in tale procedimento, provvedersi alla condanna alle spese, che, se assunta, legittima al ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., avendo tale pronuncia valenza decisoria (Cassazione civ., 25 marzo 2022, n. 9742)
Stima
Stima. Il tema di espropriazione per pubblica utilità, ove si proceda all'esproprio nei modi previsti dall'art. 22 d.P.R. n. 327 del 2001 e insieme al decreto si comunichi la misura dell'indennità provvisoria, il soggetto destinatario può agire, oltre che con il rimedio rappresentato dall'attivazione del procedimento previsto dall'art. 44 d.P.R. cit., anche con l'opposizione alla stima davanti alla corte d'appello, ai sensi del successivo art. 54, onde sentire dichiarare giudizialmente l'indennità a lui dovuta, senza necessità di dovere attendere la determinazione definitiva della stessa. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la pronuncia della corte d'appello che aveva dichiarato inammissibile la domanda di determinazione dell'indennità in assenza della perizia di stima) (Cassazione civ., 28 aprile 2022, n. 13405)
Termine per opposizione alla stima. Il termine di trenta giorni previsto, a pena di decadenza, dall'art. 39, comma 3, del d.P.R. n. 327 del 2001, per proporre opposizione alla stima dell'indennità per la reiterazione dei vincoli preordinati all'esproprio o sostanzialmente espropriativi, non è applicabile nel caso in cui l'autorità amministrativa non abbia provveduto sulla domanda di pagamento o abbia provveduto dichiarando che l'indennità non è dovuta (Cass. Civ., 15 marzo 2024, n. 6977)
Indennità di esproprio di terreni non edificabili. Opposizione alla stima. In tema di determinazione dell’indennità di espropriazione di terreni non edificabili, in caso di contestazione da parte dell’espropriato, la stima deve essere effettuata applicando il criterio generale del valore venale pieno, ma l’interessato può dimostrare che il fondo è suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, e che, quindi, il cespite possiede una valutazione di mercato che rispecchia possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (come, ad esempio, parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti), sempre che tali possibilità siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (cfr. Cass. (ord.) 4.10.2023, n. 27960; altresì Cass. (ord.) 1.2.2019, n. 3168). […] In presenza di stima definitiva, il giudizio di opposizione può concludersi con una statuizione più favorevole all’opponente, ma non può determinare un importo minore, a meno che non vi sia domanda in tal senso da parte dell’espropriante, il quale, ove convenuto nel giudizio, deve osservare le forme e i termini della domanda riconvenzionale, in quanto aziona una contro-pretesa che va oltre il rigetto della domanda principale (cfr. Cass. 28.2.2006, n. 4388; Cass. 13.1.2011, n. 716; Cass. (ord.) 5.8.2022, n. 24355, secondo cui, in tema di espropriazione per pubblica utilità, il giudizio di opposizione alla stima non ha carattere impugnatorio, ma introduce un ordinario giudizio di cognizione sul rapporto, volto all’accertamento del “quantum” effettivamente dovuto, sicché, in ossequio al principio della domanda, in presenza di una stima definitiva, non può procedersi ad una determinazione dell’indennità “in peius” per l’espropriato, a meno che l’espropriante non formuli domanda riconvenzionale) (Corte Cass., 29 febbraio 2024, n. 5407)
Indennità provvisorio di occupazione e di esproprio
Accordo sulla misura dell'indennità provvisoria di espropriazione. Il nostro ordinamento costituzionale – nel riconoscere e garantire il diritto di proprietà – demanda alla legge i suoi modi di acquisto (art. 42, co. 2, Cost.). La disciplina positiva dei modi di acquisto del diritto di proprietà della P.A. è contenuta nel d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327 (Testo Unico Espropri), il quale indica tre diverse modalità: a) il procedimento di espropriazione pubblica ordinario (art. 42, co. 3, Cost. – art. 8 d.p.r. 327/2001); b) la stipula del c.d. accordo di cessione del bene (c.d. espropriazione consensuale, art. 45 d.p.r. 327/2001), il quale – pur configurando un contratto ad oggetto pubblico, riconducibile all’art. 11 l. 241/1990 – sostituisce il decreto di esproprio producendone i medesimi effetti traslativi; c) l’emanazione del c.d. provvedimento di acquisizione (c.d. espropriazione semplificata, art. 42-bis d.p.r. 327/2001), alla cui base deve sussistere il comportamento illegittimo della pubblica amministrazione: l’ente ha proceduto all’occupazione di un bene di proprietà privata in assenza di un qualsivoglia titolo di acquisto della proprietà. Il Comune sostiene che ricorrerebbe in fattispecie l’ipotesi di cui sopra alla lettera b). Il Comune muove da un assunto erroneo, quello di qualificare come “cessione volontaria” il c.d. “verbale di amichevole accordo”, così conosciuto nella prassi e che rectius va qualificato come atto di accettazione dell’indennità, che differisce dalla prima, ossia la cessione volontaria, che invece si sostanzia in un contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà del suolo e determinante le medesime conseguenze del decreto di esproprio. La cessione volontaria è un atto notarile che trasferisce la proprietà del bene. Il verbale di amichevole accordo, rectius: atto di accettazione dell’indennità, viceversa, è un atto preliminare in cui le parti (autorità espropriante ed espropriato) si accordano esclusivamente sull’importo dell’indennità di espropriazione. La determinazione provvisoria dell’indennità di espropriazione di cui all’art. 20 del d.p.r. n. 327 del 2001, come anche il “verbale di amichevole accordo”, costituiscono, infatti, soltanto il prodromo di una possibile cessione volontaria del bene espropriato, la quale deve pur sempre perfezionarsi successivamente con l’accordo sulla misura definitiva dell’indennità di espropriazione (Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 676). L’accettazione dell’indennità ha assunto, dunque, il valore giuridico di una mera proposta irrevocabile a cui avrebbe dovuto far seguito il negozio di cessione volontaria, ovvero (qualora il proprietario si fosse sottratto al proprio obbligo di contrarre, o comunque per qualsiasi ragione non fosse intervenuto l’accordo inter partes) l’adozione di un formale decreto di esproprio da parte dell’amministrazione procedente. Sennonché, l’accordo cui si riferisce il Comune non è stato seguito dalla formalizzazione degli atti nei sensi sopra chiariti. Conseguentemente non si è concluso il procedimento espropriativo e bene ha fatto il TAR ha dichiarare il silenzio e condannare l’amministrazione ad adottare un provvedimento (Cons. Stato , 29 dicembre 2023, n. 11348)
Indennità. Limitazioni d'uso coerenti con le specifiche caratteristiche del beneL'indennità prevista dall'art. 39 del d.P.R. n. 327 del 2001 non è dovuta nei casi in cui il pregiudizio dedotto in causa non sia riferibile direttamente all'insistenza e alla reiterazione di vincoli scaduti preordinati all'esproprio, che possono essere contenuti nei piani per gli insediamenti produttivi e in piani analoghi, ma sia riferibile alle limitazioni d'uso dei beni insite nelle prescrizioni conformative previste nello stesso piano o nel piano regolatore generale, comportanti limitazioni d'uso coerenti con le specifiche caratteristiche del bene, alla luce dell'art. 17, comma 1, della l. n. 1150 del 1942 che, prevedendo l'ultrattività delle disposizioni del piano scaduto disciplinanti l'edificazione, stabilisce l'obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona ivi stabiliti (Cass. Civ, 15 marzo 2024, n. 6977)
Vincolo espropriativo
Espropriazione. Indennità e vincolo conformativo o espropriativo. In tema di espropriazione per pubblica utilità, per individuare la qualità edificatoria dell’area, da effettuarsi in base agli strumenti urbanistici vigenti al momento dell’espropriazione, occorre distinguere tra vincoli conformativi ed espropriativi, sicché ove con l’atto di pianificazione si provveda alla zonizzazione dell’intero territorio comunale, o di una sua parte, sì da incidere su di una generalità di beni, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui essi ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo assume carattere conformativo ed influisce sulla determinazione del valore dell’area espropriata, mentre, ove si imponga un vincolo particolare, incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, il vincolo è da ritenersi preordinato all’espropriazione e da esso deve prescindersi nella stima dell’area (Cass. n. 207 del 09/01/2020; Cass. n. 7393 del 14/03/2023) (Corte Cassazione, 21 febbraio 2024, n. 4691)
Vincolo conformativo e vincolo espropriativo. Con riferimento alla distinzione tra vincolo conformativo e vincolo espropriativo, la giurisprudenza è costante nell’affermare che “Il vincolo conformativo produce una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, onde incidere su di una generalità di beni e nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, mentre il vincolo espropriativo incide in modo particolare su beni determinati in funzione della localizzazione di un’opera pubblica” (Consiglio di Stato sez. IV, 31/01/2023, n. 1092). Per affermarsi la natura espropriativa del vincolo devono concorrere tre presupposti: “in primo luogo, che si traduca in un’imposizione a titolo particolare incidente su beni determinati al precipuo fine della precisa e puntuale localizzazione di un intervento edilizio che, per natura e scopo, sia di esclusiva appropriazione e fruizione collettiva; in secondo luogo, che la relativa realizzazione risulti incompatibile con la proprietà privata e, perciò, presupponga ineluttabilmente, per il suo compimento, l’espropriazione del bene; in terzo luogo, che l’imposizione determini l’inedificabilità del bene colpito e, dunque, lo svuotamento del contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul suo godimento, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero da diminuirne in modo significativo il valore di scambio” (T.A.R. Firenze, Toscana, sez. I, 27/06/2023, n. 656) (TAR Sicilia. 26 marzo 2024, n. 1072)
L'istituzione di zone speciali di conservazione non comporta l'apposizione di un vincolo espropriativo. L’istituzione di una zona speciale di conservazione non comporta l’apposizione di un vincolo espropriativo e conseguentemente non richiede la necessità di partecipazione al procedimento dei privati interessati (Cons. Stato, 28 giugno 2023, n. 6333)
Destinazione a verbe pubblico e natura conformativa del vincolo. Eccezioni. iIn tema di determinazione dell'indennità di espropriazione, la destinazione del piano regolatore generale a "verde pubblico", pur ordinariamente di carattere conformativo, può rivelarsi, in via eccezionale, come vincolo preordinato all'esproprio - restando quindi irrilevante ai fini della determinazione della citata indennità - al concorrere di tutti i seguenti presupposti: a) che si traduca in un'imposizione a titolo particolare incidente su beni determinati al precipuo fine della precisa e puntuale localizzazione di un intervento edilizio che, per natura e scopo, sia d'esclusiva appropriazione e fruizione collettiva; b) che la relativa realizzazione risulti incompatibile con la proprietà privata e, perciò, presupponga ineluttabilmente, per il suo compimento, l'espropriazione del bene; c) che l'imposizione determini l'inedificabilità del bene colpito e, dunque, lo svuotamento del contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul suo godimento, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero da diminuirne in modo significativo il valore di scambio (Corte Cass, 8 novembre 2024, n. 28808)
Edificabilità di fatto
Criterio dell'edificabilità di fatto. In materia di espropriazione, rientra tra le aree cd. bianche, prive di regolamentazione urbanistica, l'area ricompresa in una zona destinata a verde pubblico "con caratteristiche speciali", in relazione alla quale, per la definizione delle opere compatibili con il contesto e per l'entità della relativa edificabilità, sia rimandato ad uno specifico accordo di programma ex art. 34 d.P.R. n. 267 del 2000, mai adottato, con la conseguenza che indennità di esproprio ad essa riferita va determinata sulla base del criterio dell'edificabilità di fatto, tenuto conto delle misure di salvaguardia previste per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali. (In applicazione del principio enunciato, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello che, dando applicazione al menzionato criterio, aveva escluso l'edificabilità del terreno, perché ad esso era contigua una fascia di rispetto stradale all'interno della quale era vietata ogni tipo di edificazione ad eccezione di piste ciclabili, passaggi pedonali, fermate dei mezzi pubblici o soste di emergenza finalizzate al miglioramento della sicurezza stradale) (Cassazione civ., 7 aprile 2022, n. 11360)
Cessione volontaria
Stipula dell’atto di cessione volontaria. In tema di espropriazione per pubblica utilità, all’affittuario coltivatore diretto del fondo espropriato spetta ex art. 42 D.P.R. n. 327 del 2001 un’indennità aggiuntiva, autonoma rispetto a quella di espropriazione, sul presupposto che sia stato firmato un atto di cessione volontaria produttivo dell’effetto di determinare l’abbandono del terreno coltivato in esecuzione di una delle tipologie contrattuali indicate dalla menzionata norma. (Nell’affermare il principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, a fronte di un atto di cessione volontaria stipulato tra le parti, aveva retrodatato la spettanza dell’indennità aggiuntiva alla data della delibera della giunta comunale che aveva deciso di sottoscrivere l’accordo di cessione). (Cassazione civ., 18 marzo 2021, n. 7688)
Illecito spossessamento
Illecito spossessamento del privato dalla PA. L’espropriazione deve sempre avvenire in buona e debita forma. Tanto comporta che l’illecito spossessamento del privato da parte della PA e l’irreversibile trasformazione del suo fondo per la costruzione di un’opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all’acquisto dell’area da parte dell’Amministrazione, sicché il privato ha sempre il diritto di chiederne la restituzione, salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno per equivalente. Deriva da quanto precede, pertanto, che l’occupazione o la manipolazione del bene immobile, allorché il decreto di esproprio non sia stato emesso (o sia stato annullato), integra (sempre) un illecito di natura permanente, che in linea di principio dà luogo a una pretesa risarcitoria avente per oggetto i danni per il periodo non coperto dall’eventuale occupazione legittima, durante il quale il privato ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene sino al momento della restituzione, ovvero sino al momento della domanda di risarcimento per equivalente che egli può esperire, in alternativa, abdicando alla proprietà del bene stesso. Ciò sta a significare che la perdita della proprietà non avviene, in simili casi, per accessione invertita sebbene per abdicazione, associata alla proposizione della domanda di risarcimento del danno per equivalente, la quale domanda peraltro è caratterizzata da ciò: che nel giudizio relativo al risarcimento del danno per occupazione illegittima la perdita del diritto di proprietà, determinata dalla realizzazione dell’opera pubblica non seguita dall’emissione del decreto di espropriazione. costituisce una condizione dell’azione, e come tale, secondo i consueti principi di diritto processuale, può sopravvenire in corso di causa. (Cassazione civ.,19 marzo 2020, n. 7466)
Acquisizione sanante
Acquisizione sanante ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001 e condanna in sede civile alla restituzione. E’ legittimo il provvedimento con il quale un Comune ha disposto, ex art. 42 bis, d.p.r. n. 327 del 2001, l’acquisizione coattiva al patrimonio comunale di un fondo privato, illegittimamente occupato per scopi di interesse pubblico (nella specie, precipuamente per il miglioramento della viabilità), che sia stato adottato in forza della sussistenza di tutte le condizioni previste dalla suddetta disposizione normativa, a nulla rilevando che il G.O., adìto dai proprietari del fondo, abbia pronunciato sentenza di condanna alla restituzione del bene immobile ed al risarcimento del danno. La circostanza della emanazione, da parte del G.O., della sentenza con cui il Comune è stato condannato alla restituzione del bene immobile, non costituisce di per sé fattore ostativo all’esercizio del potere di acquisizione di cui all’art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001, tanto più che lo stesso articolo espressamente prevede, al comma 2, che il medesimo provvedimento può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio (TAR Umbria, 1 febbraio 2023, n. 50)
Acquisizione sanante ex art. 42 bis del T.U. espropriazione. Competenza. E' ben vero che il concessionario del tratto autostradale è possessore dell’area (con la possibilità di esercitare le azioni previste dal codice civile, nonché i poteri previsti dalle leggi amministrative), ma, ai fini della applicazione dell’art. 42 bis della testo unico sugli espropri, quando il tratto autostradale è stato dapprima occupato sine titulo da ente che ha poi rilasciato ad altri la relativa concessione, come ‘Autorità che utilizza’ il bene stesso va considerato l’ente concedente. Le aree interessate, seppure incontestabilmente trasformate in via definitiva, avrebbero potuto quindi essere oggetto del particolare procedimento di cui al citato art. 42 bis solo ad opera dell’Anas, società dotata dei relativi poteri autoritativi come ente proprietario” (Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 1252/2020). L’Anas s.p.a. deve quindi adottare una determinazione con cui decida se procedere alla acquisizione, ai sensi dell’art. 42 bis, d.P.R. n. 327/2001 dei terreni di proprietà della ricorrente illegittimamente occupati ovvero alla restituzione degli stessi, previa riduzione in pristino, ferma restando la possibilità per le parti di addivenire ad una cessione volontaria. (TAR Milano, 2 gennaio 2024, n. 10)
Indennizzo ex art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001. Valore venale del bene. In tema di indennizzo ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, il valore venale del bene oggetto del provvedimento di c.d. "acquisizione sanante" va determinato alla data di adozione del provvedimento acquisitivo, essendo questo volto a ripristinare, ma solo con effetto ex nunc, la legalità amministrativa violata (Cass. Civ. 26 marzo 2024, n. 8163)
Espropriazione per pubblica utilità e indennità aggiuntiva. In caso di espropriazione per pubblica utilità conclusasi tramite l’adozione del decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001, deve riconoscersi in favore del proprietario coltivatore diretto dell’area l’indennità aggiuntiva di cui all’art. 17 della l. n. 865 del 1971, possedendo quest’ultima una funzione compensativa del pregiudizio provocato all’attività lavorativa, ulteriore ed autonoma sia rispetto al valore della proprietà perduta, sia rispetto alla componente non patrimoniale, forfettariamente liquidata dall’art. 42 bis nella misura del dieci per cento del valore venale del bene. (Cassazione civ., 22 marzo 2021, n. 7975)
Danni
Occupazione senza titolo. Risarcimento del danno. Nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta. Nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato. Nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato. (Franco Benassi) (riproduzione riservata) (Cass. Sez. Un. Civili, 15 novembre 2022, n. 33659)
Danno. In tema di espropriazione per pubblica utilità, l'indennizzo dovuto per la reiterazione dei vincoli espropriativi prima dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001 si prescrive nel termine ordinario decennale, decorrente dalla reiterazione di ciascun vincolo, che costituisce la prima manifestazione del danno, non rilevando che l'azione non fosse esercitabile prima della sentenza della Corte costituzionale 20 maggio 1999, n. 179, trattandosi di mero ostacolo di fatto alla proposizione della domanda, privo di effetti interruttivi o sospensivi della durata della prescrizione (Cass. Civile, 28 aprile 2022, n. 13390)
Occupazione acquisitiva o accessione invertita. Risarcimento del danno. In tema di espropriazione per pubblica utilità, la cd. occupazione acquisitiva od accessione invertita, che si verifica quando alla dichiarazione di pubblica utilità non segue il decreto di esproprio, è illegittima al pari della cd. occupazione usurpativa, in cui invece manca del tutto detta dichiarazione, ravvisandosi in entrambi i casi un illecito a carattere permanente (inidoneo a comportare l’acquisizione autoritativa alla mano pubblica del bene occupato), che cessa in caso di rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente, il quale va ristorato con riferimento al valore del bene al momento della domanda – che segna appunto la perdita della proprietà – e la somma risultante, trattandosi di debito di valore, sarà sottoposta a rivalutazione monetaria fino alla data della sentenza, con possibilità di riconoscere sulla medesima somma rivalutata, quale lucro cessante, gli interessi decorrenti dalla data del fatto illecito, computati con riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, per effetto dei prescelti indici di valutazione (Cass. Civ., 10 gennaio 2024, n. 952)
Usi civici
Uso civico: non può essere espropriato. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione - componendo un contrasto di interpretazione e risolvendo una questione di massima rilevanza, il che determina la manifesta infondatezza, ai fini della causa, del dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 12 l. n. 1766/1927, come sollevato nella memoria ex art. 380 bis c.p.c. - hanno affermato che i diritti di uso civico gravanti su beni collettivi non possono essere posti nel nulla (ovvero considerati implicitamente estinti) per effetto di un decreto di espropriazione per pubblica utilità, poiché la loro natura giuridica assimilabile a quella demaniale lo impedisce, essendo, perciò, necessario, per l'attuazione di una siffatta forma di espropriazione, un formale provvedimento di sdemanializzazione, la cui mancanza rende invalido il citato decreto espropriativo che implichi l'estinzione di eventuali usi civici di questo tipo ed il correlato trasferimento dei relativi diritti sull'indennità di espropriazione (Sez. U., n. 12570 del 10 maggio 2023) (Corte Cass, 29 marzo 2024, n. 8573)
Usi civici. Esproprio. I diritti di uso civico gravanti su beni collettivi non possono essere posti nel nulla (ovvero considerati implicitamente estinti) per effetto di un decreto di espropriazione per pubblica utilità, poiché la loro natura giuridica assimilabile a quella demaniale lo impedisce, essendo, perciò, necessario, per l’attuazione di una siffatta forma di espropriazione, un formale provvedimento di sdemanializzazione, la cui mancanza rende invalido il citato decreto espropriativo che implichi l’estinzione di eventuali usi civici di questo tipo ed il correlato trasferimento dei relativi diritti sull’indennità di espropriazione (Corte Cassazione, Sezioni Unite, 10 maggio 2023 n. 12570)
Presunzioni di consegna in buono stato della cosa locata. La presunzione di cui all'art. 1590, comma 2, c.c., secondo la quale, in mancanza di descrizione delle condizioni dell'immobile alla data della consegna, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato locativo, può essere vinta solo attraverso una prova rigorosa. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva rigettato la domanda di risoluzione per inadempimento di un contratto di affitto di fondo rustico, sul presupposto che non potesse essere attribuita con certezza all'affittuario la responsabilità per il danneggiamento dei muretti e per la sottrazione del pietrisco e degli alberelli, non essendo dato conoscere lo stato dei luoghi al momento della stipula del contratto) (Cassazione civ., 15 aprile 2022, n. 12384)
Rilascio dell’immobile. In tema di locazioni, l'art. 56 della l. n. 392 del 1978, nel fissare alla data del provvedimento che dispone il rilascio dell'immobile il "dies a quo" del termine (di sei o, in casi eccezionali, di dodici mesi) per l'adempimento dell'obbligo di restituzione da parte del conduttore, presuppone che esso sia emesso successivamente alla scadenza del contratto, atteso che, diversamente opinando, la restituzione verrebbe a sconfinare nel periodo di godimento dell'immobile, così alterando l'equilibrio del sinallagma contrattuale, in quanto il conduttore non potrebbe godere dell'immobile per un certo tempo finale rientrante nella durata del contratto, da destinare al compimento delle attività necessarie alla restituzione, pur continuando a pagare il medesimo canone. (Cassazione civ., 22 dicembre 2021, n. 41237)
Rifiuto di ricevere la restituzione del bene. In tema di locazione, allorché il conduttore abbia arrecato gravi danni all'immobile locato, o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l'esecuzione delle opere di ripristino l'esborso di somme di notevole entità, in base all'economia del contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché dette somme non siano state corrisposte dal conduttore il quale, versando in mora, agli effetti dell'art. 1220 c.c., rimane obbligato, altresì, al pagamento del canone ex art. 1591 c.c., quand'anche abbia smesso di servirsi dell'immobile per l'uso (Cassazione civ., 9 dicembre 2021, n. 39179)
Riconsegna della cosa locata. Il locatore è tenuto a consegnare e mantenere la cosa in buono stato locativo al fine di servire all'uso convenuto, in base alle pattuizioni in concreto intercorse tra le parti, conseguentemente rispondendo solo ove la cosa al momento della consegna o successivamente risulti affetta da vizi occulti, tali da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la pattuita destinazione contrattuale (Cassazione civ., 2 dicembre 2021, n. 38084)
Danni per ritardata consegna. La responsabilità del locatario per il ritardo nella restituzione dell'immobile - disciplinata dall'art. 1591 c.c., norma applicabile anche se il ritardo dipenda dal protrarsi della controversia - ha natura contrattuale perché deriva dalla violazione dell'obbligo del conduttore di restituire la cosa locata alla cessazione del contratto. Ne deriva che il diritto al risarcimento dei danni derivati dall'inadempimento a tale obbligo, ancorché in parte normativamente determinato con riferimento al corrispettivo convenuto, non si prescrive nel termine breve di cui all'art. 2948 n. 3 c.c., bensì nell'ordinario termine decennale. Le due obbligazioni previste dall'art. 1591 c.c., inoltre, sono autonome e di duplice natura: di valuta quella avente ad oggetto il canone, su cui maturano gli interessi dalla domanda; di valore invece quella avente ad oggetto il maggior danno (Cassazione civ., 6 dicembre 2021 n. 38588)
Prelazione su immobile locato. Il conduttore di un immobile ad uso non abitativo, se decaduto dal diritto di esercitare il riscatto di cui all'art. 39 della legge n. 392 del 1978, può domandare sia al venditore che al compratore il risarcimento del danno patito, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per effetto della decadenza, a condizione che ne dimostri la rispettiva malafede, consistita nell'intento di tenerlo all'oscuro dell'avvenuto trasferimento; l'accertamento di detto intento fraudolento spetta al giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità con riguardo alla ricognizione degli elementi di fatto che costituiscono il presupposto della dedotta responsabilità risarcitoria (salvo il limite ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.), mentre è suscettibile di sindacato la sussunzione del fatto accertato nella fattispecie astratta della responsabilità risarcitoria del locatore. (Nella specie, la S.C., rigettando il ricorso, ha statuito che i fatti accertati - l'inadempimento del locatore all'obbligo legale della "denuntiatio" e, poi l'inerzia, il silenzio o in genere la mancata cooperazione ai fini del succedaneo esercizio del diritto di riscatto - non possano, di regola, considerarsi fonte di alcun obbligo risarcitorio nei confronti del conduttore il cui eventuale interesse all'acquisto, con diritto di prelazione, dell'immobile locato rimanga inattuato) (Cassazione civ., 29 marzo 2022, n. 10136)