Paesaggio
Rassegna di giurisprudenza in merito al territorio

Paesaggio
Il paesaggio: frutto dell'interazione tra uomo e ambiente. In tema di tutela del paesaggio, la nozione accolta dalla Convenzione europea del paesaggio, stipulata dagli Stati membri del Consiglio d’Europa a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con la l. 9 gennaio 2006, n. 14, introduce un concetto certamente ampio di “paesaggio”, non più riconducibile al solo ambiente naturale statico, ma concepibile quale frutto dell’interazione tra uomo e ambiente, valorizzando anche gli aspetti identitari e culturali, di modo che è pertanto la sintesi dell’azione di fattori naturali, umani e delle loro interrelazioni a contribuire a delineare la nozione, complessa e plurivoca, di “paesaggio” (Consiglio di Stato, 28 gennaio 2022, n. 624)
Impossibilità della sanatoria in zona vincolata. Quando si è in presenza di un vincolo paesaggistico (o culturale), l’istituto dell’accertamento di conformità può essere solo l’eccezione, considerando rigorosamente le restrizioni previste dal legislatore, in base alla particolare rilevanza costituzionale attribuita da esso ai beni ambientali e paesaggistici, in quanto la garanzia degli stessi non è solo fine a sé stessa, ma anche strumentale alla preservazione di beni fondamentali come la salute e la vita. Nel confronto tra l’interesse pubblico all’utilizzazione controllata del territorio e l’interesse del privato alla sanatoria prevale l’interesse pubblico al ripristino della legalità. Si può quindi affermare che il paesaggio, come bene oggetto di tutela, non è suscettibile né di reintegrazioni, né di incrementi, e ciò giustifica una disciplina particolarmente rigorosa e rispettosa del disposto dell’art. 9 della Costituzione (Consiglio di Stato, 26 aprile 2023, n. 4181)
Competenze
Tutela del paesaggio e competenza statale. Con la sentenza n. 251 del 2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima una disposizione della legge della Regione Lombardia n. 23 del 2021, che, in assenza di un piano paesaggistico elaborato congiuntamente dallo Stato e dalla Regione, consentiva l’ampliamento della superficie dei fabbricati da destinare ad attività agrituristica. Anche in questo caso, il rischio di pregiudicare scelte di tutela del paesaggio che devono essere necessariamente condivise comporta la violazione della competenza statale stabilita art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (Corte Costituzionale, 19 dicembre 2022, n. 251)
Valutazioni paesaggistiche
Le valutazioni tecniche dell'amministrazione. Qualora nella particolare materia della tutela del paesaggio, si fronteggino opinioni divergenti, tutte parimenti plausibili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisioni collettive, rispetto alla prospettazione individuale dell’interessato. In quest’ultimo caso, non si tratta di garantire all’Amministrazione un privilegio di insindacabilità (che sarebbe contrastante con il principio del giusto processo), ma di dare seguito, sul piano del processo, alla scelta legislativa di non disciplinare il conflitto di interessi ma di apprestare solo i modi e i procedimenti per la sua risoluzione. Invero, a differenza delle scelte politico-amministrative (c.d. «discrezionalità amministrativa»), nel caso di valutazioni dei fatti complessi richiedenti particolari competenze (c.d. «discrezionalità tecnica»), difettando parametri normativi a priori che possano fungere da premessa del ragionamento sillogistico, il giudice non ‘deduce’ ma ‘valuta’ se la decisione pubblica rientri o meno nella (ristretta) gamma delle risposte maggiormente plausibili e convincenti alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto. Pertanto, ove l’interessato non ottemperi all’onere di mettere in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica della valutazione amministrativa e si fronteggino opinioni divergenti parimenti plausibili, il giudice deve far prevalere la posizione espressa dall’organo istituzionalmente competente ad adottare la decisione (Cons. Stato, 5 luglio 2023, n. 6578). La più recente affermazione giurisprudenziale secondo cui laddove, nella particolare materia della tutela del paesaggio, si fronteggino “opinioni divergenti, tutte parimenti plausibili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisioni collettive, rispetto alla prospettazione individuale dell’interessato. In quest’ultimo caso, non si tratta di garantire all’Amministrazione un privilegio di insindacabilità (che sarebbe contrastante con il principio del giusto processo), ma di dare seguito, sul piano del processo, alla scelta legislativa di non disciplinare il conflitto di interessi ma di apprestare solo i modi e i procedimenti per la sua risoluzione” (Cons. Stato, sez. VI, 23 settembre 2022, n. 8167). Invero, a differenza delle scelte politico-amministrative (c.d. «discrezionalità amministrativa»), nel caso di valutazioni dei fatti complessi richiedenti particolari competenze (c.d. «discrezionalità tecnica»), difettando parametri normativi a priori che possano fungere da premessa del ragionamento sillogistico, il giudice non ‘deduce’ ma ‘valuta’ se la decisione pubblica rientri o meno nella (ristretta) gamma delle risposte maggiormente plausibili e convincenti alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto. Pertanto, ove l’interessato non ottemperi all’onere di mettere in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica della valutazione amministrativa e si fronteggino opinioni divergenti parimenti plausibili, il giudice deve far prevalere la posizione espressa dall’organo istituzionalmente competente ad adottare la decisione. In particolare, con la pronuncia da ultimo citata, è stato correttamente e condivisibilmente posto in luce che la necessità del bilanciamento diviene maggiore quando confligge l’interesse alla tutela dell’ambiente con quello alla tutela del paesaggio. Ebbene, stante l’assenza - in generale - di una primazia o prevalenza assoluta di un principio e diritto fondamentale rispetto agli altri, tale assunto valendo anche per i ‘diritti’ (sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2013) e per gli ‘interessi’ di rango costituzionale (vieppiù quando assegnati alla cura di corpi amministrativi diversi), si impone per essi una tutela di carattere “sistemico”, da perseguire in un rapporto di integrazione reciproco (Consiglio di Stato, 21 marzo 2023, n. 2836).
Poteri della soprindentenza paesaggistica
Annullamento del nulla osta paesaggistico comunale da parte della Soprintendenza. L’eventuale annullamento del nulla osta paesaggistico comunale da parte della Soprintendenza risulta riferibile a qualsiasi vizio di legittimità ivi compreso l'eccesso di potere in ogni sua figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta). L'unico limite che la Soprintendenza competente incontra in tema di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica è costituito dal divieto di effettuare un riesame complessivo delle valutazioni compiute dall'ente competente tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione (Consiglio di Stato Sez. VI n. 6390 del 30 giugno 2023)
Il parere della soprintendenza è un parere endoprocedimentale, che, se reso oltre il termine previsto dall'art. 146 del d.lgs 42/04, perde il suo carattere vincolante e deve essere autonomamente valutato dall'amministrazione procedente. Il tradizionale orientamento giurisprudenziale in materia di autorizzazione paesaggistica afferma, con riferimento alla casistica relativa al silenzio assenso, al parere tardivo, all’ambito delle valutazioni da parte della Soprintendenza (limitatamente agli aspetti paesaggistici e archeologici), ai rapporti coi titoli edilizi, alla tutela delle identità tradizionali e culturali delle popolazioni locali (Cons. Stato, sez. IV, n. 563 del 2022, n. 181 del 2022, n. 941 del 2021, n. 4765 del 2020, n. 3170 del 2020), che: a) il parere di compatibilità paesaggistica costituisce un atto endoprocedimentale emanato nell’ambito di quella sequenza di atti ed attività preordinata al rilascio del provvedimento di autorizzazione paesaggistica (o del suo diniego). Le valutazioni espresse sono finalizzate, dunque, all’apprezzamento dei profili di tutela paesaggistica che si consolideranno, all’esito del procedimento, nel provvedimento di autorizzazione o di diniego di autorizzazione paesaggistica; b) nonostante il decorso del termine per l’espressione del parere vincolante ai sensi dell’art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004 da parte della Soprintendenza, non può escludersi in radice la possibilità per l’organo statale di rendere comunque un parere in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’intervento, fermo restando che, nei casi in cui vi sia stato il superamento del termine, il parere perde il suo carattere di vincolatività e deve essere autonomamente e motivatamente valutato dall’amministrazione deputata all’adozione dell’atto autorizzatorio finale (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, n. 2136 del 27 aprile 2015; n. 4927 del 28 ottobre 2015; in termini da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2021, n. 941); c) nel procedimento in cui la Soprintendenza reca le proprie valutazioni di compatibilità paesaggistica, la stessa può formulare le valutazioni di merito, di cui deve tenere conto l’autorità competente ad emanare il provvedimento finale (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 17 marzo 2020, n. 1903; Sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4466; Sez. VI 15 maggio 2017, n. 2262; Sez. VI, 28 dicembre 2015, n. 5844; Sez. VI, 4 giugno 2015,n.2751). (Consiglio di Stato, 21 marzo 2023, n. 2836). Il procedimento per l’accertamento della compatibilità dei lavori eseguiti in difformità dall’autorizzazione paesaggistica si snoda in tre momenti fondamentali: l’istanza che deve essere presentata dall’interessato; il parere vincolante della Soprintendenza, da rendersi entro il termine perentorio di 90 giorni; il provvedimento conclusivo dell'autorità competente, che deve essere emesso nel termine perentorio di 180 giorni; aggiunge quindi che il superamento del termine di 90 giorni per il pronunciamento consultivo della Soprintendenza non rende illegittimo il parere tardivo, ma ne determina esclusivamente la dequotazione a parere non vincolante, con conseguente possibilità, per il Comune, di discostarsene. (TAR, Milano, 2 maggio 2024, n. 1319)
Il silenzio della soprintendenza equivale ad assenso ex art. 17 bis legge 241/90. Il decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 (in Suppl. ordinario n. 28 alla Gazz. Uff., 24 febbraio, n. 45). - Codice dei beni culturali e del paesaggio, all’art. 167, comma 5, disciplina le modalità per la remissione in pristino o per il versamento della indennità pecuniaria […]. La legge generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241 (in Gazz. Uff., 18 agosto, n. 192) ha previsto all’art. 17-bis (come inserito dall'art. 3 della legge 7 agosto 2015, n. 124 e modificato dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120) la disciplina degli effetti del silenzio e dell'inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici.[…]. L’esegesi che ne ha dato il Consiglio di Stato, sia nell’esercizio della funzione consultiva (Adunanza della Commissione speciale del 23 giugno 2016, parere n. 1640), sia in quella giurisdizionale [Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 2 ottobre 2023, n. 8610, a valere anche come precedente specifico e conforme ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a.], è univoca nel senso di affermare che “l’art. 17-bis riveste nei rapporti tra amministrazioni pubbliche una portata generale analoga a quella del nuovo articolo 21-nonies nei rapporti tra amministrazioni e privati, e che “il Consiglio di Stato ritiene si possa parlare di un ‘nuovo paradigma’: in tutti i casi in cui il procedimento amministrativo è destinato a concludersi con una decisione ‘pluristrutturata’ (nel senso che la decisione finale da parte dell’Amministrazione procedente richiede per legge l’assenso vincolante di un’altra Amministrazione), il silenzio dell’Amministrazione interpellata, che rimanga inerte non esternando alcuna volontà, non ha più l’effetto di precludere l’adozione del provvedimento finale ma è, al contrario, equiparato ope legis a un atto di assenso e consente all’Amministrazione procedente l’adozione del provvedimento conclusivo. La portata generale di tale nuovo paradigma fornisce una importante indicazione sul piano applicativo dell’art. 17-bis, poiché ne consente una interpretazione estensiva, quale che sia l’amministrazione coinvolta e quale che sia la natura del procedimento pluristrutturato (cfr. infra, i punti successivi). (così il citato parere n. 1640/2016). Ed inoltre che “Nell’ambito della disciplina del procedimento di autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146, D.Lgs. n. 42/2004, va esteso anche al parere, da rendersi da parte della Soprintendenza, il meccanismo del silenzio assenso previsto dall’art. 17-bis della L. n. 241/90, applicabile anche in seno a una conferenza di servizi. Tutti i pareri vincolanti partecipano alla formazione di un provvedimento finale pluri-strutturato, in quanto la decisione dell’amministrazione procedente richiede per legge l’assenso vincolante di un’altra amministrazione. Si evidenzia, infatti, al riguardo che il parere della Soprintendenza è “espressione di una cogestione attiva del vincolo paesaggistico. A tali pareri si applicherebbe pertanto l’art. 17-bis della legge n. 241/1990, diversamente che ai pareri consultivi (non vincolanti), che restano assoggettati alla disciplina di cui agli artt. 16 e 17. Dunque, alla stregua di tale ricostruzione, la formulazione testuale del comma 3 dell’art. 17-bis consente di estendere il meccanismo del silenzio assenso anche ai procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresi i beni culturali di modo che, scaduto il termine fissato dalla normativa di settore, vale la regola generale del silenzio assenso. Di conseguenza il parere della Soprintendenza per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica reso tardivamente nell’ambito di una conferenza di servizi è da considerarsi tamquam non esset” (così la citata sentenza n. 8610/2023) (Cons. Stato, 2 febbraio 2024, n. 1093)
Autorizzazione paesaggistica semplificata: comunicazione dei “motivi ostativi” entro venti giorni dalla proposta di provvedimento. Sul piano dei principi, la possibilità stessa che si formi il silenzio assenso deve ritenersi esclusa laddove l’Amministrazione non sia rimasta del tutto silente, ma abbia già manifestato il proprio avviso contrario mediante una comunicazione di motivi ostativi. In questo senso la giurisprudenza si è espressa con riferimento al rilascio del permesso di costruire, rimarcando che appare in contrasto con i principi di collaborazione e di buona fede invocare la formazione del silenzio assenso in ipotesi in cui siano stati evidenziati profili di criticità, atteso che in questi casi non ricorre alcuna inerzia amministrativa che giustifichi il meccanismo di semplificazione in esame (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 25 settembre 2024, n. 7768). A maggior ragione queste conclusioni devono essere tenute ferme laddove lo schema del silenzio assenso sia previsto in relazione a procedimenti nei quali sono implicati profili concernenti la cura di interessi di rilievo costituzionale primario, quale è quello relativo alla tutela del paesaggio, ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione. Con specifico riferimento al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica semplificata, la soluzione interpretativa ora esposta trova riscontro anche nell’interpretazione letterale e sistematica delle previsioni dell’articolo 11 del d.P.R. n. 31 del 2017, come rilevato dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, richiamata dalla parte ricorrente (Cons. Stato n. 4098 del 2022, cit.; Id., Sez. VI, 20 febbraio 2023, n. 1710). Il predetto articolo 11 contempla, infatti, al comma 5 l’eventualità in cui, a seguito della trasmissione da parte dell’Amministrazione procedente alla Soprintendenza di una “motivata proposta di accoglimento” dell’istanza, anche la valutazione del Soprintendente sia “positiva”. In questo caso, il Soprintendente “entro il termine tassativo di venti giorni dal ricevimento della proposta, esprime il proprio parere vincolante, per via telematica, all’amministrazione procedente, la quale adotta il provvedimento nei dieci giorni successivi”. Il successivo comma 9 stabilisce, poi, che “In caso di mancata espressione del parere vincolante del Soprintendente nei tempi previsti dal comma 5, si forma il silenzio assenso ai sensi dell’articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e l’amministrazione procedente provvede al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica”. Al riguardo, è stato rilevato che il comma 9, nel prefigurare la formazione del silenzio assenso, richiama specificamente solo i termini di cui al comma 5, e non anche quelli di cui al comma 7, ove si contempla la variante procedimentale innescata dal rilievo di criticità da parte della Soprintendenza mediante la comunicazione di motivi ostativi. Come rimarcato dal Consiglio di Stato, “(…) l’indicata formulazione della norma indica la volontà di consentire la formazione del silenzio assenso “endoprocedimentale” solo nel caso in cui la Soprintendenza, ricevuta la proposta dalla “amministrazione procedente”, rimanga assolutamente silente, omettendo di esprimersi in qualsiasi modo: tale contegno silenzioso, potendo essere letto come una valutazione positiva, per assenza di elementi ostativi, crea il presupposto logico perché la “amministrazione procedente” sia legittimata a dare corso al rilascio dell’autorizzazione. Viceversa, nel caso in cui la Soprintendenza comunichi dei motivi ostativi all’accoglimento, è evidente che non vi sono le condizioni perché possa innestarsi la presunzione che essa abbia valutato positivamente la proposta della “amministrazione procedente”, neppure a seguito delle eventuali controdeduzioni della parte interessata. (…) La suddetta interpretazione, ad avviso del Collegio, si impone anche in considerazione del fatto che, venendo in considerazione un istituto di natura speciale e derogatoria, la norma che lo prevede è soggetta a stretta interpretazione. Si tratta, inoltre, della interpretazione che meglio coniuga la tutela degli interessi privatistici, alla sollecita definizione dei procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, con l’interesse, di natura primaria, alla tutela del paesaggio, il quale richiederebbe sempre un cauto e meditato esercizio della discrezionalità, da parte della autorità tutoria” (Cons. Stato, n. 4098 del 2022, cit.). Queste considerazioni, che il Collegio ritiene di condividere e fare proprie, confermano ulteriormente che la comunicazione di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza da parte della Soprintendenza entro il termine di venti giorni dalla ricezione della proposta di provvedimento favorevole dell’Amministrazione procedente esclude in radice la possibilità della formazione del silenzio assenso (TAR Umbria, 15 febbraio 2025, n. 145)
Il parere sfavorevole, ma tardivo, si considera inutiliter dato. Il definitivo parere sfavorevole è stato emanato a distanza di quasi un anno dalla richiesta, e dunque ben oltre il prescritto termine di 90 giorni, così risultando inutiliter dato. (Cons. Stato, 2 febbraio 2024, n. 1093)
Motivazione. Il TAR Brescia (in un caso di diniego di una istanza di compatibilità ambientale ai sensi dell’art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42/2004 per opere eseguite in difformità dell’autorizzazione paesaggistica in precedenza rilasciata) ha ricordato che il diniego di autorizzazione paesaggistica anche in sanatoria non può limitarsi a contenere valutazioni apodittiche e stereotipate, ma deve specificare le ragioni del rigetto dell'istanza ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell'area interessata dall'apposizione del vincolo (TAR Brescia, 15 aprile 2024, n. 314)
Superifici utili (art. 167 d.lgs 42/04)
La nozione di superficie utile va individuata con riguardo all'impatto dell'intervento sull'originario assetto paesaggistica. Con riferimento ai casi eccezionali di rilascio postumo di autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’art. 181 comma 1 ter del Dlgs. 42/04, la nozione di superficie utile va individuata, in mancanza di specifica definizione, con riferimento alla finalità della disposizione che la contempla e, per quanto riguarda la disciplina paesaggistica, considerando l'impatto dell'intervento sull'originario assetto paesaggistico del territorio tale da determinare una compromissione ambientale. Né occorre, peraltro, accertare che la "superficie utile" realizzata, per essere qualificabile come tale, debba inferire un concreto pregiudizio all'assetto territoriale in cui viene inserita, poiché il concetto deve essere rapportato alla natura del reato di cui circoscrive la sanatoria postuma, e il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, è un reato di pericolo (Cass. Sez. III n. 5750 del 10 febbraio 2023)
Una tettoria di "modesta entità "non rientra nel novero delle superfici utili. Una tettoia di modesta entità e di natura accessoria non rientra nel novero delle superfici utili, e dunque non è di per sé ostativa al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, non rientrando nell’ambito di applicazione dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004 (TAR Salerno, 22 marzo 2023, n. 654)
Volumi (art. 167 d.lgs 42/04)
Non sussite distinzione tra "volumi" e "volumi tecnici". L'art. 146, comma 4, del d.lgs. n. 142/2004 dispone che "l'autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria, successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi", "fatta eccezione per i casi previsti dall'art. 167, co. 4 e 5". Queste ultime disposizioni prevedono, in via del tutto eccezionale, la possibilità di un accertamento successivo della compatibilità paesaggistica per gli abusi c.d. "minori", cui consegue l'obbligo del pagamento di una somma equivalente al maggior importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione e ciò in deroga all'obbligo di "rimessione in pristino a proprie spese" previsto dall'art. 167, comma 1, per il "caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza", del Codice medesimo. I casi in cui l'autorità amministrativa competente può accertare la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5 dell'art. 167, sono quelli specificamente indicati al comma 4 del medesimo articolo, e segnatamente: "a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380". In presenza di incrementi di superficie o cubatura la norma impedisce, dunque, il rilascio della sanatoria paesaggistica, per cui la reiezione della relativa istanza assume carattere vincolato (cfr., fra le tante, T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 05/01/2021, n.123; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 02/08/2021, n.5388; Consiglio di Stato sez. VI, 19/10/2020, n.6300). Per giurisprudenza costante – che questo Collegio condivide - la disposizione, nel vietare ogni nuovo intervento edilizio che dia luogo a volumi, non consente di operare distinzioni tra un volume c.d. tecnico e un altro tipo di volume (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato sez. VI, 1.9.2022, n.7625). Nel caso di specie legittimamente è stato negato il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria poiché lo spostamento del vano ascensore – in difformità da quanto previsto dal titolo edilizio - ha determinato la creazione di un volume: il vano, come si evince dalla documentazione agli atti del giudizio, e come ammesso dalla stessa ricorrente, fuoriesce dalla sagoma dell’immobile per un’altezza di tre metri. Non assume alcun rilievo la visibilità o meno dell’opera dalla via pubblica, tant’è vero che la preclusione al rilascio di autorizzazioni in sanatoria postume prevista all’art. 167 trova applicazione ogni qual volta siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura, anche laddove essi siano interrati, a nulla rilevando il fatto che non rappresentino un ostacolo o una limitazione per le visuali panoramiche (cfr., fra le tante, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 15/02/2022, n.359). Non palesa una illegittimità del provvedimento impugnato neppure quanto affermato dalla ricorrente circa la riduzione della volumetria complessivamente realizzata rispetto a quella assentita con l’autorizzazione paesaggistica. In disparte l’ammissibilità di compensazioni volumetriche, l’attenzione posta dalla ricorrente sull’intero edificio e sulla volumetria complessiva tralascia, comunque, di considerare le superfici utili complessive: quanto sostenuto nel provvedimento dal Comune di Como, secondo cui la traslazione dell’ascensore all’esterno del corpo di fabbrica ha portato ad un incremento delle stesse – poiché la superficie originariamente destinata a vano ascensore e a vano scala è stata destinata oltre che a locale tecnico ad unità abitativa - è stato contestato solo genericamente e senza il supporto di alcun concreto elemento di prova. Il provvedimento impugnato è adeguatamente motivato con il richiamo al contrasto delle opere realizzate con la previsione di cui all'articolo 167, comma 4, lettera a), d.lgs. n. 42/200 (TAR, Milano, 21 maggio 2024, n. 1571)
Compatibilità paesaggistica: non esistono volumi tecnici sanabili. La sanatoria paesaggistica- costituendo un’eccezione alla regola generale della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali - è consentita per i soli abusi minori contemplati dall’art. 167 comma 4 d.lgs. n. 42/2004, accomunati dall’assenza di offensività per i valori ambientali e paesaggistici tutelati con l’apposizione del vincolo. Sono, in particolare, suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica esclusivamente: i) gli interventi realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato la creazione di superfici utili o di volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati; ii) l’impiego di materiali diversi da quelli prescritti dall’autorizzazione paesaggistica; iii) i lavori configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi della disciplina edilizia (art. 167, comma 4). L’intenzione legislativa è chiara nel senso di precludere qualsiasi forma di legittimazione del “fatto compiuto”, in quanto l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell'intervento. Per pacifica giurisprudenza, il rilascio della compatibilità paesaggistica non è consentito in presenza di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o di volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente realizzati, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno (Cons. Stato, sez. II, n. 9263 e 5304 del 2024; sez. VI, n. 8848 del 2022 e sez. IV, n. 8097del 2023; nei medesimi termini, cfr. anche, sez. VI n. 4114 del 2013 e sez. IV n. 1879 del 2011). La regola che in materia urbanistica porta ad escludere i volumi tecnici, tombati o interrati dal calcolo della volumetria edificabile- che trova fondamento nel bilanciamento tra i vari e confliggenti interessi connessi all’uso del territorio- non può essere invocata al fine di ampliare le fattispecie tassative (e perciò di stretta interpretazione) di sanatoria paesaggistica (Cons. Stato, sez. VI, n. 40 del 2021), volta alla salvaguardia della percezione visiva dei volumi e della conservazione del contesto paesaggistico. La conclusione, del resto, è avvalorata dalla stessa lettera dell’articolo 167, comma 4, d.lgs. 42/2004, che, nel consentire l’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, si riferisce esclusivamente ai “lavori, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, senza ulteriore specificazione e distinzione, sicché non è consentito ampliare in via interpretativa l’ambito di applicazione di un istituto eccezionale, quale quello in esame (Cons. Stato, 17 febbraio 2025, n. 1260)
Casi
Recinzioni. Le “recinzioni”, in quanto tali, non sono riconducibili nel novero delle attività non soggette ad autorizzazione paesaggistica ex art. 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. n. 42/04) (Cons. Stato, 21 giugno 2023 n. 6094)
La natura dell'illecito
Natura permanente dell’illecito amministrativo. Gli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, che si protraggono nel tempo e vengono meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni; segue da ciò che, per quanto riguarda la decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, trova applicazione il principio relativo al reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (art. 158, comma 1, c.p.); pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica, urbanistica ed edilizia la prescrizione quinquennale di cui all'art. 28, l. 22 ottobre 1981 n. 689 inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza che, vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo repressivo, come la determinazione di applicare la sanzione pecuniaria, può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere; più in particolare, per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva (sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla sua ultimazione), per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall'omissione dell'obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare "secundum ius" lo stato dei luoghi, con l'ulteriore conclusione che l'Autorità, se emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto "a distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente "contra jus", ancora sussistente (TAR Campania, 22 maggio 2023, n. 3102)
Sospetta incostituzionalità dell'art. 83 della RL 12/05.
Incostituzionale l'art 83 della LR 12/05. Per costante giurisprudenza di questa Corte, «la competenza a prevedere sanzioni amministrative non costituisce materia a sé stante, ma “accede alle materie sostanziali” […] alle quali le sanzioni si riferiscono, spettando dunque la loro previsione all’ente “nella cui sfera di competenza rientra la disciplina la cui inosservanza costituisce l’atto sanzionabile […]» (sentenza n. 121 del 2023; nello stesso senso, sentenze n. 201 del 2021, n. 84 del 2019, n. 148 e n. 121 del 2018, n. 90 del 2013 e n. 271 del 2012). Si tratta quindi di verificare quale sia la materia a cui si riferisce la sanzione e se in tale materia la competenza legislativa spetti allo Stato o alle regioni. Sulla base del quadro normativo ricostruito in precedenza, la sanzione consegue alla realizzazione di lavori rientranti nei casi tassativi indicati al comma 4 dell’art. 167 cod. beni culturali, per i quali sia intervenuto l’accertamento “postumo” di compatibilità paesaggistica di cui al successivo comma 5. L’atto sanzionabile è costituito, dunque, dall’inosservanza della disciplina relativa alla tutela del vincolo paesaggistico-ambientale, e segnatamente dall’inosservanza delle norme che regolano l’autorizzazione paesaggistica, la quale, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, deve essere annoverata tra gli istituti di protezione ambientale uniformi, validi in tutto il territorio nazionale (tra le molte, sentenze n. 201 del 2021, n. 246 del 2017, n. 238 del 2013 e n. 101 del 2010). In ragione di ciò, la disciplina sostanziale cui si riferisce la sanzione pecuniaria in esame deve necessariamente ascriversi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., stante l’esistenza di un evidente interesse unitario alla tutela del paesaggio e a un eguale trattamento in tutto il territorio nazionale della tipologia di abusi paesaggistici suscettibili di accertamento di compatibilità. Si è già chiarito che la quantificazione della sanzione, in caso di assenza di danno ambientale, nella misura non inferiore all’ottanta per cento del costo teorico di costruzione «delle opere e/o lavori abusivi», con il minimo inderogabile di cinquecento euro, non è prevista dalla disciplina adottata dallo Stato nell’esercizio della sua competenza legislativa esclusiva; in particolare, non è prevista dall’art. 167 cod. beni culturali. Le ineludibili esigenze di uniformità di trattamento appena evidenziate impediscono al legislatore regionale di intervenire con norme difformi dalle previsioni statali di tutela paesaggistica in senso stretto (sentenza n. 201 del 2021), come quelle che disciplinano l’inosservanza del regime autorizzatorio. [...] Quanto al dedotto completamento «[del]l’apparato di tutela di cui al D. Lgs. n. 42/2004», è sufficiente osservare che anche la potestà di colmare per via legislativa asserite lacune di norme sanzionatorie spetta al soggetto dotato di competenza nell’ambito materiale cui le sanzioni stesse si riferiscono (quindi, nella specie, allo Stato). Né si può ritenere – aderendo a un assunto che traspare dalle difese della Regione – che la norma sanzionatoria in oggetto non vìoli la competenza legislativa esclusiva dello Stato perché avrebbe elevato la tutela dell’ambiente, com’è consentito fare alle regioni, a certe condizioni, nell’esercizio di competenze interferenti con quella ambientale (ampiamente sul punto, sentenza n. 16 del 2024; in precedenza, sentenze n. 163 del 2023, n. 66 del 2018, n. 212 del 2017, n. 210 del 2016, n. 171 del 2012 e n. 407 del 2002). La Regione non può interferire con la disciplina dettata dal codice dei beni culturali e del paesaggio. In ogni caso, non è corretto affermare che, sempre al fine di elevare la tutela ambientale, l’intervento legislativo regionale abbia effettivamente colmato una lacuna dell’art. 167, comma 5, cod. beni culturali, completandone il dettato per l’ipotesi di assenza sia di danno ambientale sia di profitto. La norma statale, infatti, ben può essere interpretata nel senso che in tale ipotesi non sia irrogabile alcuna sanzione, non senza considerare che la sfera di efficacia della norma censurata è più ampia di quella prospettata dalla Regione, poiché introduce «comunque» la sanzione pari all’ottanta per cento del costo teorico di realizzazione, anche nel caso in cui un profitto esista, ma sia quantificabile in misura inferiore. [...] la tutela dell’ambiente e del paesaggio prescinde dalla sussistenza di un danno ambientale. Essa si sostanzia nel predisporre strumenti di protezione di tali beni comuni, come i piani paesaggistici, o le autorizzazioni, o i divieti, strumenti questi tutti previsti dal codice dei beni culturali e del paesaggio. Nella prospettiva indicata, l’eventuale assenza di un danno ambientale non costituisce una ragione idonea a scindere il collegamento tra la sanzione e la disciplina di tutela paesaggistica. L’atto sanzionabile, come si è detto, è costituito dall’inosservanza delle norme che disciplinano uno dei fondamentali istituti di protezione ambientale, quale l’autorizzazione paesaggistica. La conseguente sanzione riparatoria, alternativa alla riduzione in pristino nei casi tassativi di abusi suscettibili di accertamento di compatibilità paesaggistica, partecipa della medesima natura di ricomposizione della legalità violata propria della misura di carattere reale, a prescindere dall’effettiva produzione di un danno ambientale. In ragione di ciò, il danno si configura come un mero criterio di commisurazione della sanzione e non ne condiziona l’applicabilità. Anche da questo angolo visuale, dunque, è indubbia la riconducibilità della norma censurata alla sfera degli interessi pubblici concernenti la tutela ambientale e paesaggistica, la cura dei quali spetta in via esclusiva allo Stato. 4.4.– Accertata la violazione del riparto di competenze tra Stato e regioni, si osserva che il rimettente non circoscrive il petitum alle parti dell’art. 83 aggiunte dalla legge reg. Lombardia n. 17 del 2018. Le sue censure si appuntano sull’introduzione della misura non inferiore all’ottanta per cento del costo teorico di costruzione e, implicitamente, anche sulla previsione della sanzione minima inderogabile di cinquecento euro (presente sia nel testo originario della norma che in quello novellato, con alcune variazioni lessicali), anch’essa difforme rispetto alla disciplina di cui all’art. 167, comma 5, cod. beni culturali. Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 83 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, limitatamente alle parole «e, comunque, in misura non inferiore all’ottanta per cento del costo teorico di realizzazione delle opere e/o lavori abusivi desumibile dal relativo computo metrico estimativo e dai prezzi unitari risultanti dai listini della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia, in ogni caso, con la sanzione minima di cinquecento euro» (Corte Costituzionale, 19 febbraio 2024, n. 19)
Determinazione sanzione pecuniaria. L'art. 167, comma 5 dlv 42\2004 non fornisce criteri specifici per calcolare il profitto conseguito mediante la trasgressione e dunque impone di fare riferimento alla nozione generale di profitto come grandezza volta a descrivere in senso dinamico la differenza fra flussi di ricavi e flussi di costi riferibili ad un determinato arco temporale. Tale definizione ha come riferimento una grandezza economica che esprime l’aumento effettivo del valore del patrimonio conseguito dall’autore dell’opera abusiva (Cons Stato, 2 dicembre 2022,n. 10598)
Demolizione
Abuso in zone vincolate e doverosità della sanzione demolitoria. Le opere abusive, anche qualora abbiano natura pertinenziale o precaria e, quindi, siano assentibili con mera d.i.a. o s.c.i.a., se realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, debbono considerarsi comunque eseguite in totale difformità dalla concessione, laddove non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesaggistica e, conseguentemente, deve essere applicata la sanzione demolitoria (Consiglio di Stato, 17 ottobre 2022, n. 8785)
Opera abusiva. Demolizione. E’ del tutto evidente che, così come la successiva, ancorché spontanea o comunque volontaria, demolizione di opere già abusivamente realizzate non vale ad elidere la rilevanza penale della condotta a suo tempo posta in essere (cfr.: Corte di cassazione, Sezione III penale, 5 marzo 2013, n. 10245; idem Sezione III penale, 7 maggio 2010, n. 17535), anche l’eventuale rilascio della sanatoria edilizia che abbia ad oggetto le sole opere residuate rispetto alla intervenuta demolizione di altre, non è idonea a determinare la estinzione dei reati urbanistici ai sensi dell’art. 36 del dPR n. 380 del 2001 (Cassazione civ., 8 febbraio 2022, n. 4338)
Pertinenze e ripristino. Le opere realizzate senza autorizzazione all’interno di un territorio protetto, anche se astrattamente riconducibili al concetto di pertinenza, ivi comprese le tettoie, debbono comunque sottostare a misure ripristinatorie e di reintegro ambientale di cui agli artt. 167 e 181 del D. Lgs. n. 42 del 2004: difatti, nel caso in cui gli illeciti edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l’alterazione dell’aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che, quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera DIA, l’applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica (TAR Milano, 30 aprile 2024, 1308)