Bonifiche
Rassegna di giurisprudenza in merito alla avvocatura

Il prinicpio "chi inquina paga"
Il responsabile della contaminazione. Il D. Lgs. n. 152 del 2006 riconosce alla P.A. il potere di ordinare al privato di eseguire la bonifica attraverso l’emanazione dell’ordinanza ex art. 244, comma 2, che, tuttavia, può essere emanata solo nei confronti del responsabile della contaminazione. Le disposizioni in tema di responsabilità da inquinamento sono infatti correlate al principio comunitario, espressamente richiamato dall’art. 239 del D. Lgs. n. 152 del 2006, secondo cui “chi inquina paga” (v. anche art. 3 ter D. Lgs. n. 152/2006, art. 174, comma 2, Trattato UE, considerando n. 18 Direttiva UE 2004/35/CE) (TAR Puglia, 12 febbraio 2024, n. 204).
Responsabilità per dolo o colpa secondo il paradigma dell'art. 2043 c.c.. Ai sensi dell'art. 242 D. Lgs. n. 152 del 2006, gravano sul solo responsabile dell'inquinamento gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della constatazione di uno stato di contaminazione, non essendo configurabile una responsabilità in via automatica, in maniera oggettiva, per posizione o per fatto altrui, e, quindi, l'obbligo di bonificare per il solo fatto di rivestire una data qualità, ove non si dimostri l'apporto causale colpevole del soggetto al danno ambientale riscontrato (TAR Brescia, 29 aprile 2024 n. 354). Sul punto vanno richiamati i principi giurisprudenziali secondo cui la responsabilità per i danni all’ambiente rientra nel paradigma della responsabilità extracontrattuale soggettiva (c.d. responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.), con esclusione di una qualsivoglia forma di responsabilità oggettiva (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 marzo 2022, n.1630).
Per le "attività pericolose" imputazione oggettiva della responsabilità. Per L’operatore che abbia causato un danno ambientale nello svolgimento delle attività pericolose di cui all’allegato 5 alla parte sesta del d.lgs. n. 152 del 2006, ai sensi del combinato disposto delle norme di cui agli articoli 242, 244, 298 bis, della parte sesta comma 1, lett. a), e 311, comma 2, primo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, è obbligato a eseguire la bonifica delle matrici ambientali inquinate, secondo un criterio di imputazione di tipo oggettivo, in base al quale l’amministrazione è tenuta a provare l’evento della contaminazione e, secondo il principio del “più probabile che non”, l’esistenza di un nesso causale tra la condotta attiva o omissiva dell’operatore e l’inquinamento riscontrato, senza essere tenuta a dimostrare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa. In questi casi, con un’inversione dell’onere della prova, l’operatore può far valere all’amministrazione, fornendone la dimostrazione rigorosa nel corso del procedimento amministrativo, l’eventuale sussistenza delle cause di esonero di responsabilità previste dall’art. 308, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 152 del 2006 che corrispondono a quelle previste dall’art. 8, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2004/35/CE, e può altresì impugnare in sede giurisdizionale l’eventuale ordine di bonifica deducendo che è stato adottato senza tener adeguatamente conto delle circostanze dedotte. Invece nel caso di attività non pericolose non comprese tra quelle contemplate dall’allegato 5 alla parte sesta del d.lgs. n. 152 del 2006, l’amministrazione, nell’individuare il responsabile dell’inquinamento destinatario dell’ordine di bonifica, ai sensi del combinato disposto delle norme di cui agli articoli 242, 244, 298 bis della parte sesta, comma 1, lett. b), e 311, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, deve provare non solo in termini oggettivi l’evento della contaminazione e, secondo il principio del “più probabile che non”, l’esistenza di un nesso causale tra la condotta attiva o omissiva dell’operatore e l’inquinamento riscontrato, ma anche l’elemento soggettivo del dolo o della colpa (TAR Veneto, 17 gennaio 2025, n. 67; cfr anche TAR Veneto, 457/24 e 458/24))
La ricerca del responsabile della contaminazione anche nei casi di intervento volontario del proprietario non colpevole. L’assunzione volontaria dell’obbligo di caratterizzazione o di bonifica da parte del proprietario interessato impone allo stesso di portare a termine tale incombenza, senza potervisi sottrarre, ma gli consente tuttavia di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute (cfr. Consiglio di Stato, IV, 26 luglio 2021, n. 5542), e “non esclude né il potere/dovere dell’Amministrazione di individuare il responsabile dell’inquinamento, né, a fortiori, elide il dovere di quest’ultimo di porre rimedio all’inquinamento stesso” (Consiglio di Stato, VI, 4 agosto 2021, n. 5742; IV, 1° aprile 2020, n. 2195). Quindi, nella specie, la società ricorrente è tenuta a concludere la procedura di caratterizzazione, assunta volontariamente, secondo le prescrizioni stabilite dalle Autorità competenti, potendo successivamente agire in regresso nei confronti del responsabile dell’inquinamento (che deve essere individuato in tempi congrui da parte delle predette Autorità) (TAR Lombardia, Milano, 24 gennaio 2022, n. 156)
La colpa omissiva del proprietario del terreno. In tema di inquinamento, il proprietario del terreno risponde della bonifica effettuata sul suolo di sua proprietà - nel senso che anch’egli è tenuto ad effettuarla - solidalmente con colui che ha concretamente determinato il danno, pur se affittuario, a titolo di dolo, qualora abbia celato i rifiuti, o di colpa, nell’ipotesi in cui non abbia approntato l’adozione delle cautele volte a custodire adeguatamente la proprietà, ovvero non denunciando, dopo esserne venuto a conoscenza, il fatto alle autorità. In definitiva, per la posizione di garanzia rivestita dal proprietario, è configurabile, anche a titolo di concorso, un illecito omissivo per violazione del dovere di impedire fatti idonei a ledere il bene protetto (Consiglio di Stato Sez. IV n. 5384 del 28 giugno 2022, n. 5384)
Parziarietà degli obblighi di bonifica. La parziarietà degli obblighi di bonifica potrebbe comportare l’onere, per i vari responsabili dell'inquinamento, di implementare distinte azioni solo nel caso in cui si riscontrasse che le varie condotte causative di danno hanno in concreto determinato danni-conseguenza ontologicamente distinti e distinguibili e tali da poter essere rimossi con distinte azioni di bonifica: solo in tal caso si potrebbe affermare il principio secondo il quale ciascuno dei responsabili “paga per quanto ha inquinato”, essendo tenuto a porre in essere solo le azioni di bonifica necessarie e sufficienti a rimuovere i singoli danni conseguenti alle rispettive azioni causative di danno. Quando, viceversa, per qualsiasi ragione, non sia possibile stabilire o riconoscere gli effetti conseguenti alle singole condotte causative di danno ambientale, allora risulta di fatto impossibile identificare singole azioni di bonifica da porre a carico di distinti responsabili. L’azione di bonifica, in tal caso, non potrà che tradursi in una unica azione di bonifica, che dal punto di vista esecutivo non potrà che gravare in modo solidale tra tutti i responsabili, fermo restando il principio per cui dal punto di vista economico la relativa spesa dovrà essere suddivisa, nei rapporti interni, secondo le rispettive percentuali di responsabilità (TAR Lombardia, Sez. III, 10 giugno 2022, n. 1352)
Il criterio del “più probabile che non ”
Nesso causale. Criterio del "più probabile che non". Ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area e inquinamento della stessa, occorre utilizzare il canone civilistico del "più probabile che non", con la conseguenza che l'individuazione del responsabile può basarsi anche su presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.; ne consegue che, qualora l'Amministrazione fornisca elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l'ascrivibilità dell'inquinamento a un soggetto, spetta a quest'ultimo l'onere di fornire una prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un'incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell'inquinamento (TAR Brescia, 28 marzo 2023, n. 276). Il principio "chi inquina paga"” - di matrice comunitaria - impone che l’amministrazione compia adeguate indagini per accertare l’autore delle condotte che hanno determinato la contaminazione, senza evidentemente poterle fare gravare su di un soggetto in ragione della sola disponibilità in passato del bene. Ai fini dell'individuazione del soggetto responsabile dell'inquinamento ambientale trova applicazione, ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area ed inquinamento dell'area medesima, il canone civilistico del “più probabile che non”, secondo una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell'inquinamento. Ne deriva come, conformemente a tale principio (che consiste, dunque, nell'addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre fare fronte per prevenire, ridurre o eliminare l'inquinamento prodotto) l'amministrazione non possa imporre ai privati lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento se non in ragione dell’imputabilità di una relativa condotta dolosa o colposa, da accertarsi previo contraddittorio (TAR Lazio n. 981 del 19 gennaio 2023). In materia ambientale il responsabile dell’inquinamento di un sito non deve essere individuato con la regola probatoria del processo penale della “certezza al di là di ogni ragionevole dubbio”, ma si basa sul criterio causale del “più probabile che non”, ai sensi del quale risulta sufficiente l’accertamento del nesso eziologico, quando, anche mediante le presunzioni, è più probabile della sua negazione (TAR Basilicata, 18 luglio 2022, n. 538) La giurisprudenza amministrativa, sulla scorta delle indicazioni derivanti dalla Corte di Giustizia UE, esclude l’applicabilità di una impostazione “penalistica” (incentrata sul “superamento del ragionevole dubbio”), trovando invece applicazione, ai fini della sussistenza del nesso di causalità tra attività svolta sull’area ed inquinamento dell’area medesima, il canone civilistico del “più probabile che non”; pertanto, “l’individuazione del responsabile può basarsi anche su elementi indiziari, giacché la prova può essere data anche in via indiretta o indiretta, potendo in tal caso l’amministrazione avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c.” (cfr. Consiglio di Stato 18.12.2018 n. 7121 e Consiglio di Stato 04.12.2017 n. 5668) (TAR Puglia, 12 febbraio 2024, n. 204). La nozione di “causa” rilevante ai fini della concreta attuazione del principio secondo cui “chi inquina paga” rileva in termini di aumento del rischio, nel senso di contribuzione al rischio di verificarsi dell’inquinamento (C.G.U.E. in causa C-188/07) (TAR Veneto, 17 gennaio 2025, n. 67)
Il responsabile dell'inquinamento può essere individuato anche attraverso presunzioni semplici (indizi). Qualora l'Amministrazione fornisca elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l'ascrivibilità dell'inquinamento a un soggetto, spetta a quest'ultimo l'onere di fornire una prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un'incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell'inquinamento (TAR Brescia, 28 marzo 2023, n. 276). Nel corso del procedimento di individuazione del soggetto responsabile - e in particolare nell’accertamento del nesso di causalità - il criterio del “più probabile che non” consente l’amministrazione di avvalersi delle presunzioni semplici ai sensi dell’art. 2727 C.C. (di recente, cfr. T.A.R. Brescia, sez. I, 14 giugno 2023, n.522). Vale a dire che la prova della contaminazione può essere data anche in via indiretta. Al riguardo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che “l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all’art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35, un’ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d'applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione” (C.G.U.E., 4 marzo 2015, in causa C- 534/13) (TAR Veneto, 17 gennaio 2025, n. 67)
Ricerca del responsabile dell'inquinamento e indizi plausibili. La Provincia è perciò tenuta ad attivarsi, sentiti anche gli altri enti ed organismi interessati, per svolgere una approfondita istruttoria e un adeguato accertamento in merito, in primo luogo, all’origine naturale o antropica del superamento delle soglie CSC e al possibile nesso eziologico fra condotte imputabili alla società ricorrente ed evento riscontrato. Ai fini di tale individuazione “la giurisprudenza amministrativa, sulla scorta delle indicazioni derivanti dalla Corte di Giustizia UE, esclude l'applicabilità di una impostazione "penalistica" (incentrata sul superamento della soglia del "ragionevole dubbio"), trovando invece applicazione, ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area ed inquinamento dell'area medesima, il canone civilistico del "più probabile che non". La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nell'interpretare il principio "chi inquina paga" (che consiste nell'addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l'inquinamento prodotto), ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell'inquinamento. Per poter presumere l'esistenza di un siffatto nesso di causalità l'autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso rilevato”. (Cons. Stato, Sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121) (Cons. Stato, 12 febbraio 2025, n. 1172)
CSC - Concentrazione soglie di contaminazione
Il superamento della CSC porta all'ordinanza della Provincia. L’art. 244 comma 1 d.lgs. 152/06 sancisce che “le pubbliche amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti” e che “la provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo“. È chiaro dal tenore letterale della norma, alla luce del principio di prevenzione che governa la materia ambientale, che basta il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione per l’adozione dell’ordinanza e ciò del resto è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sez. IV, 1°aprile 2020, n. 2195, secondo il quale “il superamento delle C.S.C. è motivo sufficiente per l’attivazione del potere provinciale, a tenore del disposto dell’art. 244, comma 1, del codice“ (TAR Milano, 31 maggio 2024, n. 488)
Messa in sicurezza d'emergenza
Compete alla Provincia l'ordine di messa in sicurezza d'emergeza (art. 244, comma 2, legge 152/06). La messa in sicurezza d’emergenza presuppone esigenze di celerità che giustificano l’ordinanza di cui all’art. 244 TUA (fattispecie relativa ad ordinanza emessa dalla Provincia, recante diffida ai sensi dell’art. 244, comma 2, d.lgs. 152/2006, a seguito del riscontrato supero dei valori di cromo esavalente nella falda sottostante a una vasta area, situata a valle della proprietà, ove insiste uno stabilimento in cui una società gestiva un’attività di cromatura) (Cons. Stato, 16 gennaio 2023, n. 528)
Valutazioni tecnico-scientifiche
Le valutazioni tecncio-scientifiche sono caratterizzate da un'ampia discrezionalità e sono censurabili solo se abnormi o evidentememte illogiche o contraddittorie. Nelle materie tecnico scientifiche – quale è indubbiamente quella relativa alla tutela dell’ambiente dall’inquinamento – si applica il principio per cui le valutazioni delle autorità preposte sono ampiamente discrezionali, e quindi possono essere sindacate in sede di giurisdizione di legittimità nei soli casi di risultati abnormi o evidentemente illogici e contraddittori; non è invece consentito chiedere al giudice di sostituirvi risultati diversi, fondati ad esempio su una c.t.u. a lui sollecitata, ovvero sulle diverse valutazioni proposte dalle parti, in particolare con il richiamo a studi predisposti da propri esperti>> (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3424) (TAR Milano, 31 maggio 2024, n. 488). Va ricordato che l’autorità amministrativa, nel condurre procedimenti riguardanti casi di inquinamento ambientale e dovendo quindi risolvere questioni tecniche di particolare complessità dispone di una discrezionalità tecnica molto ampia, sindacabile in sede giurisdizionale solo nel caso di risultati abnormi, o comunque manifestamente illogici (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. IV, 31 ottobre 2023 n. 1531, che richiama Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3424; Consiglio di Stato, Sez. II, 7 settembre 2020 n. 5379; Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2014 n. 36) (TAR Veneto, 17 gennaio 2025, n. 67)
Misure di prevenzione
Al proprietario non colpevole si possono imporre solo misure di prevenzione (I). Alla stregua del principio "chi inquina paga", l'Amministrazione non può imporre al proprietario di un'area inquinata, che non sia anche l'autore dell'inquinamento, l'obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e bonifica, di cui all'art. 240, comma 1, lett. m) e p), d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall'art. 253, stesso d.lgs. n. 152 del 2006, in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare. Le disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV, del d.lgs. n. 152 del 2006 (artt. da 239 a 253) operano, infatti, una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell'inquinamento e quella del proprietario del sito, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione" (Cons. Stato, Ad. Plen., 13 novembre 2013, n. 25). A tal riguardo, il Collegio ricorda che l’impossibilità di imporre le opere di bonifica al proprietario di un terreno inquinato non responsabile del relativo inquinamento è stata affermata a partire dalla nota sentenza Corte di giustizia UE, sez. III, 4 marzo 2015 C 534-13 (su ordinanza di rinvio pregiudiziale dell’Adunanza plenaria 13 novembre 2013 n.25). La sentenza della Corte di giustizia, in particolare, ha chiarito che “La direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione” (Cons. Stato, 2 febbraio 2024, n. 1110)
Al proprietario non colpevole si possono imporre solo misure di prevenzione (II). Le Sezioni Unite della Cassazione, in tema di responsabilità ambientale, hanno affermato che a carico del proprietario/gestore del sito inquinato che non abbia direttamente causato l’inquinamento, non può essere imposto l’obbligo di eseguire le misure di messa in sicurezza di emergenza (c.d. “m.i.s.e.”) e di bonifica, in quanto gli effetti in capo al proprietario incolpevole sono limitati a quanto previsto dall’art. 253 c. amb. in tema di oneri reali e privilegi speciali immobiliari, possedendo le misure anzidette una connotazione ripristinatoria di un danno già prodottosi che le rende non assimilabili alle misure di prevenzione che, viceversa, il proprietario del sito è obbligato ad assumere in quanto idonee a contrastare un evento recante una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile; al proprietario che non abbia causato l’inquinamento sono, altresì, inapplicabili i criteri di imputazione della responsabilità di cui agli artt. 2050 e 2051 c.c., dal momento che la disciplina definita nella parte quarta del c. amb. per la bonifica dei siti contaminati ha carattere di specialità rispetto alle norme del codice civile, contemplando, a tale proposito, la specifica posizione del proprietario/gestore incolpevole e trovando applicazione nei confronti del responsabile dell’inquinamento (in base al principio “chi inquina paga” di cui alla Direttiva 2004/35/CE), a titolo di dolo o colpa; ne consegue che l'obbligo di adottare le misure utili a fronteggiare la situazione di inquinamento rimane unicamente a carico di colui che di tale situazione sia stato responsabile per avervi dato colposamente o dolosamente causa, non potendosi addossare al proprietario incolpevole dell’inquinamento alcun obbligo né di bonifica, né di messa in sicurezza (Cass. Sez. Un. Civili, 1 febbraio 2023, n. 3077).
Misure di prevenzione. Sulla base di quanto previsto dall’art. 245, comma 2, del d. lgs. n. 152/2006, il proprietario o il gestore dell'area − pur se non responsabili dell'inquinamento – sono tenuti ad attuare le misure di prevenzione ovverosia ad adottare le iniziative volte a contrastare una minaccia, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi in un prossimo futuro un danno alla salute o all'ambiente. Si tratta di iniziative a carattere preventivo, utili ad impedire o attenuare i probabili effetti di una minaccia potenziale di danno alla salute o all'ambiente, che vanno ad aggiungersi all’onere reale e al privilegio speciale sull’immobile previsti dall’art. 253 del d. lgs. n. 152/2006 (c.d. “passività ambientali” che possono ricondursi alla presenza nel sito di rifiuti accumulatisi durante la gestione anteriore al trasferimento, senza che tale accumulo abbia comportato il superamento dei limiti legali di contaminazione che fanno scattare gli obblighi di bonifica, ovvero all’ipotesi in cui un qualsiasi fatto di inquinamento abbia comportato la contaminazione del sito) (Consiglio di Stato, 6 dicembre 2022, n. 10663)
Misure di messa in sicurezza di emergenza (art. 245, comma 2, legge 152/06)
Al proprietario incolpevole non si può imporre di eseguire le misure di messa in sicurezza d'emergenza in quanto misure aventi connotati ripristinatori. Le Sezioni Unite della Cassazione, in tema di responsabilità ambientale, hanno affermato che a carico del proprietario/gestore del sito inquinato che non abbia direttamente causato l’inquinamento, non può essere imposto l’obbligo di eseguire le misure di messa in sicurezza di emergenza (c.d. “m.i.s.e.”) e di bonifica, in quanto gli effetti in capo al proprietario incolpevole sono limitati a quanto previsto dall’art. 253 c. amb. in tema di oneri reali e privilegi speciali immobiliari, possedendo le misure anzidette una connotazione ripristinatoria di un danno già prodottosi che le rende non assimilabili alle misure di prevenzione che, viceversa, il proprietario del sito è obbligato ad assumere in quanto idonee a contrastare un evento recante una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile; al proprietario che non abbia causato l’inquinamento sono, altresì, inapplicabili i criteri di imputazione della responsabilità di cui agli artt. 2050 e 2051 c.c., dal momento che la disciplina definita nella parte quarta del c. amb. per la bonifica dei siti contaminati ha carattere di specialità rispetto alle norme del codice civile, contemplando, a tale proposito, la specifica posizione del proprietario/gestore incolpevole e trovando applicazione nei confronti del responsabile dell’inquinamento (in base al principio “chi inquina paga” di cui alla Direttiva 2004/35/CE), a titolo di dolo o colpa; ne consegue che l'obbligo di adottare le misure utili a fronteggiare la situazione di inquinamento rimane unicamente a carico di colui che di tale situazione sia stato responsabile per avervi dato colposamente o dolosamente causa, non potendosi addossare al proprietario incolpevole dell’inquinamento alcun obbligo né di bonifica, né di messa in sicurezza (Cass. Sez. Un. Civili, 01 febbraio 2023, n. 3077).
Il Consiglio di Stato si conforma alla interpretazione della Corte di Cassazione: al proprietario incolpevole non si può imporre di eseguire le misure di messa in sicurezza d'emergenza. Occorre dare continuità al recente mutamento giurisprudenziale in materia, che ha escluso la legittimità della imposizione delle m.i.s.e. in capo al proprietario non responsabile dell’inquinamento, potendo quest’ultimo essere obbligato solo all’adozione di misure di prevenzione, a cui non possono essere assimilate le m.i.s.e. (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17 luglio 2023, n. 6957; Cass. Civ., SS.UU., 1° febbraio 2023, n. 3077; ma già Cons. Stato, Ad. Plen., 25 settembre 2013, n. 21) (Cons. Stato, Sez. IV 22 novembre 2024, n. 9397, in senso opposto Cons. Stato, 2 febbraio 2024, n. 1110; TAR Milano, 18 novembre 2024, n. 3225)
Al proprietario non colpevole non si può imporre la caratterizzazione dell'area. Non è consentito imporre al proprietario del sito, qualora non responsabile della contaminazione, l'esecuzione delle diverse e distinte misure di riparazione, sicché lo stesso proprietario, in quanto tale, non è tenuto ad eseguire la caratterizzazione dell'area, essendo esclusivamente responsabile sul piano patrimoniale e, a tale titolo, tenuto, ove occorra, al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorità competente (cfr Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2015, n. 3544; Consiglio di Stato, sez. IV, 18/12/2018, n. 7121) (TAR Campania, Napoli, 3 febbraio 2022, n. 768)
Intervento della P.A. e oneri a carico del proprietario non responsabile. Qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda agli adempimenti dovuti, può adottare d'ufficio gli accorgimenti necessari e, se del caso, recuperare le spese sostenute attraverso un'azione di rivalsa verso il proprietario, il quale risponde nei soli limiti del valore di mercato del sito dopo l'esecuzione degli interventi medesimi (cfr., tra le altre, Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2018, n. 502, e id., Sez. V, 10 ottobre 2018, n. 5604). Ne discende che il proprietario non responsabile dell'inquinamento - nell'accezione prima chiarita - è tenuto, ai sensi dell’ art. 245, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 152 del 2006 (ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia") e le misure di messa in sicurezza d'emergenza [in senso negativo, cfr Cassazione e Adunana Plenaria, vedi supra), non anche la messa in sicurezza definitiva né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale (Cons. Stato, 2 febbraio 2024, n. 1110)
La caratterizzazione del sito
L'assunzione volonatria dell'obbligo di caratterizzazione del sito. L’assunzione volontaria dell’obbligo di caratterizzazione o di bonifica da parte del proprietario interessato [non colpevole] impone allo stesso di portare a termine tale incombenza, senza potervisi sottrarre, ma gli consente tuttavia di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute (cfr. Consiglio di Stato, IV, 26 luglio 2021, n. 5542), e “non esclude né il potere/dovere dell’Amministrazione di individuare il responsabile dell’inquinamento, né, a fortiori, elide il dovere di quest’ultimo di porre rimedio all’inquinamento stesso” (Consiglio di Stato, VI, 4 agosto 2021, n. 5742; IV, 1° aprile 2020, n. 2195). Quindi, nella specie, la società ricorrente è tenuta a concludere la procedura di caratterizzazione, assunta volontariamente, secondo le prescrizioni stabilite dalle Autorità competenti, potendo successivamente agire in regresso nei confronti del responsabile dell’inquinamento (che deve essere individuato in tempi congrui da parte delle predette Autorità) (TAR Lombardia, Milano, 24 gennaio 2022, n. 156)
Misure di sicurezza
Proprietario non colpevole che si attiva volontariamente per la messa in sicurezza del sito. La gestione di affari altrui. Nel caso in cui il proprietario, ancorché non responsabile, ha attivato volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, la fonte dell’obbligazione del proprietario incolpevole va rinvenuta, nell’istituto della gestione di affari non rappresentativa. Secondo l'art. 2028 c.c. colui che, scientemente e senza esservi tenuto, assume la gestione di un affare altrui ha l'obbligo di proseguirla fino a quando l'interessato possa provvedervi da sé stesso. I presupposti necessari perché si configuri una gestione di affari altrui sono tradizionalmente individuati da un costante orientamento giurisprudenziale: a) nella c.d. absentia domini, dedotta dall'art. 2028 c.c. allorché fa riferimento ad un dominus che non è in grado di provvedere ai suoi interessi; b) nell'altruità dell'affare, dato l'esplicito riferimento normativo alla gestione di un affare altrui; c) nella spontaneità dell'intervento del gestore che, infatti, ai sensi dell'art. 2028 c.c., deve agire "senza essere obbligato"; d) nella consapevolezza dell'alienità dell'affare, desumibile dall'avverbio "scientemente". Particolarmente discusso è, poi, il c.d. requisito dell'utiliter coeptum che, data la formulazione dell'art. 2031 c.c., è da una parte della dottrina considerato condicio iuris di efficacia di una fattispecie già strutturalmente perfetta e, da altra parte, ritenuto presupposto dei soli effetti a carico del dominus. Il requisito della c.d. absentia domini- secondo l'indirizzo prevalente- deve essere inteso in senso ampio, in modo da comprendervi il caso in cui l'interessato, pur presente fisicamente nei luoghi ove la gestione è eseguita, non sia comunque in grado di presidiare all'amministrazione dei propri interessi esistenziali . A tal riguardo, la giurisprudenza- con il sostegno di una parte autorevole della dottrina – ha chiarito che "Nella ricostruzione dell'istituto della negotiorum gestio, disciplinato dall'art. 2028 c.c. segg., la nozione che la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha accolto del requisito della absentia domini, secondo una direttrice condivisa dalla prevalente dottrina, è quella per cui, a tal fine, non rileva che vi sia una condizione di assoluto impedimento dell'interessato alla gestione dei propri affari ovvero che sussista una impossibilità materiale rispetto alla cura di questi, ritenendosi soddisfatto l'anzidetto requisito là dove il dominus non abbia manifestato, espressamente o tacitamente, il divieto a che altri si ingerisca nella cura dei propri affari"(Cass., SS.UU., 4 luglio 2012, n. 11135 e di Cass., SS.UU., 4 luglio 2012, n. 11136 ;Cass. 3 marzo 1954, n. 607; Cass. 13 maggio 1964, n. 550; Cass. 23 maggio 1984, n. 3143; Cass. 25 maggio 2007, n. 12280; Cass. 9 aprile 2008, n. 9269; Cass. 7 giugno 2011, n. 12304). Quanto agli effetti della gestione, un’impostazione largamente ricevuta distingue la fattispecie in cui il gestore ha agito nomine proprio da quella in cui spende il nome dell'interessato (art. 2031, comma 1, c.c.). Nel primo caso (c.d. gestione rappresentativa fondata sulla legge e condizionata dal presupposto dell'utiliter coeptum), gli effetti della gestione sono proiettati recta via nella sfera giuridico-patrimoniale dell'interessato, il quale deve pertanto adempiere le obbligazioni assunte in suo nome. Nel secondo caso valgono le regole in tema di mandato senza procura, di guisa che l'interessato dovrà tenere indenne il gestore delle obbligazioni assunte in nome proprio e rimborsargli le spese necessarie o utili con gli interessi dal giorno in cui sono state fatte. Il gestore è tenuto a continuare la gestione e a completarla finché l'interessato non sia in grado di provvedervi autonomamente (art. 2028, comma 1, c.c.). Alla luce delle delineate coordinate ermeneutiche, coglie nel segno quella parte della giurisprudenza che, sulle orme di un’autorevole dottrina, ravvisa nella negotiorum gestio i tratti distintivi dell'obbligazione - che nasce per effetto della libera determinazione del gerente – senza obbligo primario di prestazione, da cui discende la eventuale responsabilità ex art. 1218 c.c., quale conseguenza della c.d. mala gestio.(in questo senso, Cons. Stato, sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3426;Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2020, n.567, 5054/2012). Applicando tali principi al caso di specie, il Collegio osserva che la socità Alfa, seppur non obbligata, per le ragioni in precedenza esposte, alla effettuazione delle opere di bonifica, ha assunto spontaneamente l'impegno di eseguire un complessivo intervento di bonifica, presumibilmente motivata dalla necessità di evitare, nel caso di realizzazione delle operazioni di bonifica da parte dell’amministrazione, il rimborso a quest’ultima del costo delle spese affrontate, sia pure nei limiti del valore di mercato del sito ( c.d. onere reale). Ne discende che, ai sensi dell’art. 2028 c.c., l’attività utilmente iniziata deve essere portata a compimento, o comunque proseguita finché l'amministrazione non sia in grado di far subentrare l'autore dell'inquinamento. Lo schema della gestione di affari, come sopra sintetizzato, richiede, infatti, che, al pari di quanto verificatosi nella fattispecie in esame, vi sia la consapevolezza dello stato di contaminazione dell'area e della necessità di eseguire la bonifica secondo le direttive stabilite dall'amministrazione. Poiché, nel caso in disamina, la bonifica è attuata in sostituzione dell'autore dell'inquinamento, resta fermo che il proprietario avrà diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute (pur se si tratta del dante causa), "a condizione che sia stata rispettata la procedura amministrativa prevista dalla legge ed indipendentemente dall'identificazione del responsabile dell'inquinamento da parte della competente autorità amministrativa, senza che, in presenza di altri responsabili, trovi applicazione il principio della solidarietà" (Cass. civ., Sez. III, ord., 22 gennaio 2019, n. 1573) (Cons. Stato, 2 febbraio 2024, n. 1110)
La fonte dell'obbligo di proseguire nell'attività di bonifica o di messa in sicurezza. L’onere della prova in ordine alla sussistenza di un titolo legale o negoziale quale fonte dell’obbligazione di proseguire le attività di bonifica o messa in sicurezza ricade in capo all’amministrazione, in applicazione degli ordinari criteri di riparto dell’onere probatorio (art. 2697, co. 1, c.c.), mentre spetta alla società l’onere di dimostrare la presenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi della suddetta obbligazione (art. 2697, co. 2, c.c.). [...] Con specifico riferimento alla spontaneità dell’intervento, la stessa giurisprudenza amministrativa ha escluso l’applicabilità dell’istituto della gestione di affari altrui nei casi in cui sia ravvisabile una fonte negoziale degli obblighi di messa in sicurezza e di bonifica (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3426, punto 29.3), con particolare riguardo allo strumento dell’accordo di programma espressamente previsto dall’art. 246 d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto ciò comporta la mancanza del requisito della spontaneità dell’intervento, essendo necessario a tal fine che il soggetto abbia agito “senza esservi obbligato” (art. 2028 c.c.) (Cons. Stato, 22 novembre 2024, n. 9397)
Bonifica
l proprietario non responsabile può assumere volontariamente gli obblighi di bonifica. Le misure preliminari di messa in sicurezza non hanno finalità sanzionatoria o ripristinatoria e dunque possono non presupporre l’individuazione del responsabile dell’inquinamento. Il proprietario, non obbligato, assume spontaneamente l’impegno di eseguire un complessivo intervento di bonifica, motivato dalla necessità di evitare responsabilità penali o risarcitorie ovvero, come la stessa appellante ha sottolineato, “per mero spirito di responsabilità sociale e di collaborazione con gli Enti competenti” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 luglio 2021, n. 5542). D’altra parte, nell’attuare la bonifica spontanea di un sito inquinato, il proprietario avrà diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute, “a condizione che sia stata rispettata la procedura amministrativa prevista dalla legge ed indipendentemente dall'identificazione del responsabile dell'inquinamento da parte della competente autorità amministrativa, senza che, in presenza di altri responsabili, trovi applicazione il principio della solidarietà” (cfr. Cass. civ., sez. III, ordinanza 22 gennaio 2019, n. 1573). Alla luce delle sopra esposte considerazioni, il provvedimento impugnato, reso con riferimento alla volontaria predisposizione di progetti di bonifica da parte dell’appellante, non sembra suscettibile di censura. Rispetto, pertanto, a tale specifico profilo, appare congruo il rigetto del mezzo di impugnazione di primo grado; resta assodato che, in linea generale, la responsabilità per la compromissione ambientale segue un criterio di imputazione a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati dagli organi preposti al controllo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 marzo 2017 n. 1260). Ciò non esclude però che la preliminare messa in sicurezza del sito inquinato costituisca una misura idonea ad evitare ulteriori danni e la diffusione di fenomeni di inquinamento ambientale, rientrando, pertanto, nel genus delle misure precauzionali. Queste ultime, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, ma sostanzialmente urgente, possono non presupporre, con adeguata motivazione, l’individuazione dell’eventuale responsabile (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2016, n. 1509) (Cons. Stato, 14 giugno 2022, n. 4826)
Ordine di rimuovere i rifiuti. Secondo consolidata giurisprudenza, nell'ottica del diritto europeo - che non pone alcuna norma esimente per i curatori fallimentari - i rifiuti devono comunque essere rimossi, pur quando cessa l'attività, o dallo stesso imprenditore che non sia fallito, o in alternativa da chi amministra il patrimonio fallimentare dopo la dichiarazione del fallimento. Al riguardo l'art. 3,1 punto 6, della direttiva n. 2008/98/CE definisce il detentore, in contrapposizione al produttore, come la persona fisica o giuridica che è in possesso dei rifiuti (rectius: dei beni immobili sui quali i rifiuti insistono). Non sono pertanto in materia rilevanti le nozioni dell’ordinamento nazionale sulla distinzione tra il possesso e la detenzione: ciò che conta è la disponibilità materiale dei beni, la titolarità di un titolo giuridico che consenta (o imponga) l'amministrazione di un patrimonio nel quale sono compresi i beni immobili inquinati (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., Sent., 26/1/2021, n. 3). Il rapporto quindi si radica in capo al curatore in base alla gestione e ciò quindi esclude che il medesimo sia assimilabile al proprietario incolpevole nei cui confronti gli effetti restano limitati a quanto espressamente previsto in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare (cfr. art 253 d.lgs.152/2006), sulla scorta della netta distinzione tra la figura del responsabile dell'inquinamento e quella del proprietario del sito, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione (Cons. Stato, 27 dicembre 2023, n. 11208)
La bonifica è a carico della curatela. Quanto poi all’aspetto soggettivo occorre rammentare, come ha chiarito la sentenza dell’ Adunanza plenaria 3/2021 che sulla scorta di altra giurisprudenza della medesima Adunanza Plenaria ( sentenza n. 10-2019) in tema di prevenzione il principio "chi inquina paga" non richiede, nella sua accezione comunitaria, anche la prova dell'elemento soggettivo, né l'intervenuta successione in considerazione del fatto che la direttiva n. 2004/35/CE configura la responsabilità ambientale come responsabilità (non di posizione), ma, comunque, oggettiva. Da ciò se ne fa conseguire che nella bonifica emerge la funzione di reintegrazione del bene giuridico leso propria della responsabilità civile, in coerenza con la giurisprudenza comunitaria (sentenza della Corte di giustizia UE, sez. II, 13 luglio 2017, C-129/16, Ungheria c. Commissione europea) secondo cui: "Le disposizioni della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, lette alla luce degli articoli 191 e 193 TFUE devono essere interpretate nel senso che, sempre che la controversia di cui al procedimento principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, esse non ostano a una normativa nazionale che identifica, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l' inquinamento illecito, un'altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l'esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato, a condizione che tale normativa sia conforme ai principi generali di diritto dell'Unione, nonché ad ogni disposizione pertinente dei Trattati UE e FUE e degli atti di diritto derivato dell'Unione"(cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., Sent. 26/1/2021, n. 3). Ciò consente alla citata giurisprudenza (Ad. Plen. 3/2021) di concludere che la responsabilità della curatela fallimentare - nell'eseguire la bonifica dei terreni di cui acquisisce la detenzione per effetto dell'inventario fallimentare dei beni, ex artt. 87 e ss. L.F. - può analogamente prescindere dall'accertamento dell'esistenza di un nesso di causalità tra la condotta e il danno constatato […] La questione quindi va valutata in una prospettiva più ampia di sistema, in quanto il rilievo centrale che, nel diritto comunitario, assume la pregressa detenzione dei rifiuti, a garanzia del principio "chi inquina paga", è, coerente con l’onere economico della messa in sicurezza e dello smaltimento da parte dell'attivo fallimentare dell'impresa che li ha prodotti; invero si tratta di 'diseconomie esterne' generate dall'attività di impresa (cd. "esternalità negative di produzione"), per cui è giustificato e coerente con tale impostazione ritenere che i costi derivanti da tali esternalità di impresa ricadano sulla massa dei creditori dell'imprenditore stesso che, per contro, beneficiano degli effetti dell'ufficio fallimentare della curatela in termini di ripartizione degli eventuali utili del fallimento (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., Sent. 26/1/2021, n. 3). In sostanza se dalla mancata cura dell’ambiente l’impresa ha avuto un utile e quindi ne ha beneficiato, è conseguente che gli oneri conseguenti al ripristino ambientale siano sopportati dal patrimonio dell’impresa stessa, di cui la curatela ha la gestione, e non ricadano sulla collettività. Come già evidenziato dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 3/2021) l'unica lettura del d.lgs. n. 152/2006 compatibile con il diritto europeo, ispirata ai principi di prevenzione e di responsabilità, è quella che consente all'Amministrazione di disporre misure appropriate nei confronti dei curatori che gestiscono i beni immobili su cui i rifiuti prodotti dall' impresa cessata sono collocati e necessitano di smaltimento sulla base di una responsabilità pubblica che non può trovare zone franche a seguito della rinunzia ex art. 104, comma 8, l. fall. Né vi sono motivi per escludere la rinunzia ex art 104, comma 8 l. fall.; essa ha una natura privatistica che si innesta in un fenomeno pubblicistico relativo agli oneri della bonifica teso al recupero materiale del bene analogamente a quanto avviene per la curatela come già la giurisprudenza ha chiarito (in tal senso anche Consiglio di stato, sez. IV, sent. 1763 del 14 marzo 2022). In sostanza i fatti successivi, la rinunzia come la cessazione dell’attività, non elidono la responsabilità pubblica per cui la Curatela non può ritenersi liberata dalle responsabilità connesse agli oneri della bonifica per il solo fatto di avere rinunciato a liquidare il bene potenzialmente contaminato; si tratta di una responsabilità pubblica che ricade sul patrimonio del fallito in relazione alle eventuali attività che rimangono all’esito della liquidazione del patrimonio (Cons. Stato, 27 dicembre 2023, n. 11208)
Competenze
Incostituzionale l’art. 5 della legge di Regione Lombardia n. 30 del 2006. Come già rimarcato da questa Corte, la potestà legislativa esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. esprime ineludibili esigenze di protezione di un bene, quale l’ambiente, unitario e di valore primario (sentenza n. 189 del 2021 e, ivi richiamate, sentenze n. 246 del 2017 e n. 641 del 1987), che sarebbero vanificate ove si attribuisse alla regione «la facoltà di rimetterne indiscriminatamente la cura a un ente territoriale di dimensioni minori, in deroga alla valutazione di adeguatezza compiuta dal legislatore statale con l’individuazione del livello regionale» (ancora sentenza n. 189 del 2021). Ad una siffatta iniziativa si accompagnerebbe una modifica, attraverso un atto legislativo regionale, dell’assetto di competenze inderogabilmente stabilito dalla legge nazionale all’esito di una ragionevole valutazione di congruità del livello regionale come il più adeguato alla cura della materia. I medesimi principi non possono non trovare applicazione nella specifica materia oggetto della presente questione: nel disegno del legislatore statale contenuto nel codice dell’ambiente si riserva alla regione la funzione amministrativa nella materia della bonifica dei siti inquinati (artt. 198 e 242 del d.lgs. n. 152 del 2006), materia per costante, risalente giurisprudenza costituzionale ricompresa in quella dell’ambiente e quindi riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (tra le molte sentenze n. 251 e n. 86 del 2021; in tema di messa in sicurezza, più recentemente, sentenza n. 50 del 2023). A conferma delle conclusioni fin qui raggiunte, si rileva che l’art. 198, comma 4, cod. ambiente attribuisce ai comuni il potere di «esprimere il proprio parere in ordine all’approvazione dei progetti di bonifica dei siti inquinati rilasciata dalle regioni» definendo in chiave ancillare la competenza propria di detti enti, di cui resta escluso ogni concorrente potere di esercizio sulla funzione amministrativa, secondo previsione di legge. [...] La volontà del legislatore regionale di modificare nei termini sopra precisati l’assetto delle competenze voluto dalla Costituzione emerge, del resto, dagli stessi lavori preparatori della legge n. 30 del 2006. Si legge nella relazione illustrativa che «[l]’attuale normativa (titolo V del d.lgs. 152/2006) assegnando alla regione le funzioni amministrative in materia di bonifica di siti contaminati, oltre ad aver interrotto il “passaggio” di competenze all’ente locale promosso dalle leggi Bassanini e poi garantito a livello costituzionale, ha di fatto annullato l’ormai consolidato svolgimento delle funzioni amministrative a livello di governo locale e l’attuazione degli obiettivi programmatici individuati e condivisi dalle politiche del governo regionale. Il presente articolo ha lo scopo di “riconsegnare” all’ente locale (il comune), le funzioni amministrative in materia di bonifica di siti contaminati, ad essi già attribuite dalla normativa previgente al d.lgs. 152/2006 (d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 e d.m. 25 ottobre 1999, n. 471». Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Lombardia n. 30 del 2006. (Corte costituzionale, 24 luglio 2023, n. 160 - vedi però DL 10 agosto 2023, n. 104)
Recupero spese di bonifica
Iscrizione a ruolo per recupero spese interventi di bonifica. Con riguardo alle attività di messa in sicurezza e di bonifica ambientale di siti inquinati poste in essere dagli enti locali in surroga del responsabile dell'inquinamento, ai sensi dell'art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 e del d.m. n. 471 del 1999, applicabili "ratione temporis", nonché delle eventuali leggi regionali di disciplina della materia, la possibilità per l'ente locale di procedere al recupero delle relative spese direttamente in via esecutiva nei confronti del responsabile, mediante iscrizione a ruolo delle corrispondenti somme, sussiste solo laddove sia stata posta in essere la procedura amministrativa prevista dal complesso normativo richiamato (che richiede la preventiva individuazione del responsabile dell'inquinamento e degli interventi necessari, una diffida ad adempiere entro 48 ore al predetto responsabile e, solo in caso di inerzia di quest'ultimo, l'esecuzione degli interventi in surroga), i cui atti sono impugnabili davanti al giudice amministrativo, con riserva della giurisdizione del giudice ordinario per le questioni patrimoniali; ove, invece, vengano invece effettuati dall'ente locale, a causa dell'urgenza, interventi di bonifica o messa in sicurezza di siti inquinati senza previa individuazione del responsabile dell'inquinamento e delle opere da eseguire e senza previa diffida ad adempiere, la pretesa al rimborso dà luogo ad un controversia esclusivamente patrimoniale, avente ad oggetto l'individuazione del responsabile dell'inquinamento e l'accertamento dell'urgenza di provvedere, nonché della congruità dei relativi esborsi, devoluta integralmente alla giurisdizione del giudice ordinario, senza possibilità di iscrivere a ruolo la pretesa di rimborso da parte dell'ente, il quale deve munirsi di idoneo titolo esecutivo. (Cassazione civ., 23 dicembre 2021, n. 41436)
Onere reale. L’iscrizione dell’onere reale sui siti inquinati, già prevista dalla l. 22/1997, e ora riproposta dal d.lgs. n. 152/2006 art. 253 rappresenta un atto dovuto a garanzia delle spese che l’amministrazione può dover sostenere proprio per intervenire in sostituzione del responsabile inerte; ora, posto che nel caso di specie è indubbio che il sito sia inquinato, che il ricorrente ne sia proprietario e sia anche stato individuato come responsabile dell’inquinamento e che sia inerte da anni, i presupposti dell’iscrizione dell’onere reale sono evidentemente tutti integrati (TAR Piemonte, 27 febbraio 2022, n. 151)
Contaminazioni storiche (I). In ipotesi di condotte lesive del bene ambiente antecedenti all’entrata in vigore del c.d. codice dell’ambiente, d.lgs. n. 152/2006, trovano comunque applicazione le norme in materia di obblighi di bonifica, di cui alla Parte IV del codice medesimo e, in particolare, gli artt. 244 e 242, che, peraltro, menziona espressamente i casi di «contaminazioni storiche»: ciò, in quanto tali norme non sanzionano ora per allora la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono un attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è del tutto indifferente. Ex multis cfr. Cons. Stato, Sez. IV 1° aprile 2020, n. 2195.(T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I 2 agosto 2022, n. 776) Circa l’applicazione del D. Lgs. n. 152 del 2006 a fattispecie di inquinamento risalenti nel tempo (ipotesi alla quale si riferisce l’art. 242, comma 11, cod. amb.), è consolidato l’orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui “Anche in ipotesi di condotte lesive del bene ambiente antecedenti all'entrata in vigore del c.d. Codice dell'Ambiente, d.lgs. n. 152/2006, trovano comunque applicazione le norme in materia di obblighi di bonifica, di cui alla Parte IV del Codice medesimo e, in particolare, gli artt. 244 e 242 che, peraltro, menziona espressamente i casi di « contaminazioni storiche »; ciò, in quanto tali norme non sanzionano ora per allora la risalente condotta di inquinamento, ma pongono un attuale rimedio alla perdurante condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l'epoca di verificazione della contaminazione è del tutto indifferente. Ne consegue che il lasso di tempo tra la contaminazione e l'avvio del procedimento non inficia la validità dei provvedimenti de quibus, potendo, al massimo, incidere sull'intensità dell'onere motivazionale posto in capo all'Amministrazione procedente.” (T.A.R. Brescia, sez. I, 2 agosto 2022, n.776) (TAR Veneto, 17 gennaio 2025, n. 67)
Contaminazioni storiche (II). Per consolidato orientamento giurisprudenziale, anche prima dell'introduzione, con l'art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (c.d. decreto Ronchi), dell'istituto della bonifica, il danno all'ambiente costituiva un illecito civile, per cui può senz'altro opinarsi che, nell'ipotesi, non sussiste alcuna retroazione di istituti giuridici introdotti in epoca successiva alla commissione dell'illecito, bensì l'applicazione da parte della competente autorità amministrativa degli istituti a protezione dell'ambiente previsti dalla legge al momento in cui si accerta una situazione di pregiudizio in atto (ex multis Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 22 ottobre 2019, n. 10). Sulla base di tale esegesi, risulta del tutto irrilevante, essendo stato accertato un vulnus al bene ambiente, la prospettazione secondo cui la normativa vigente all'epoca dei fatti non avrebbe vietato le condotte de quibus. D'altra parte, accedere alla tesi secondo la quale le contaminazioni "storiche" non potrebbero mai porre in capo al loro autore un obbligo di bonifica, determinerebbe la paradossale conclusione che tali attività, essenziali per la tutela della salute e dell'ambiente, debbano essere poste a carico della collettività anziché del soggetto che, non solo le ha poste in essere, ma che ne ha addirittura beneficiato. Ciò posto, è, quindi, del tutto ragionevole porre l'obbligo di bonifica in capo al soggetto che tale contaminazione ebbe in passato a cagionare, avendo questi beneficiato, di converso, dei corrispondenti vantaggi economici (derivanti, in particolare, dall'omissione delle spese necessarie per impedire o, quanto meno, per mitigare l'immissione nell'ambiente di sostanze inquinanti). L'ambiente è, infatti, oggetto di protezione costituzionale diretta (art. 9) ed indiretta (art. 32), in virtù di norme non meramente programmatiche, ma precettive, che, come tali, impongono l'ascrizione all'area dell'illecito giuridico di ogni condotta lesiva del bene protetto, tanto più se posta in essere nello svolgimento di attività intrinsecamente pericolose e nell'ambito di un'iniziativa imprenditoriale, che, in quanto costituzionalmente conformata dal canone del rispetto della "utilità sociale" (art. 41), è inter alia vincolata alla salvaguardia della salubrità dell'ambiente, la cui compromissione è evidentemente contraria alla "utilità sociale" (ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 7 gennaio 2021, n. 172). Impostazione, questa, che si pone, altresì, in linea di continuità con la decisione di appello sulle analoghe ordinanze (Consiglio di Stato sent. n. 2195/2020) in cui, con un iter motivazionale del tutto analogo a quello enunciato, è stato sancito, tra l’altro, che «il rilascio nell’ambiente di sostanze inquinanti nell’esercizio di attività industriali configurava già all’epoca un illecito: il consapevole svolgimento di un’attività per sua natura pericolosa, quale la produzione su scala industriale di prodotti di tipo chimico (art. 2050 c.c.), rende, infatti, il relativo autore responsabile della lesione, compromissione, degradazione o, comunque, messa in pericolo del bene ambiente che ne sia conseguita, salva la prova liberatoria di aver, già all’epoca, posto in essere ogni esigibile accorgimento idoneo a prevenire in radice tale contaminazione» (TAR Brescia. 14 giugno 2023, n. 522)
Contaminazioni storiche (III). Se davvero il legislatore avesse inteso escludere, in radice, la possibilità di configurare obblighi di bonifica a carico dei responsabili di contaminazioni storiche, avrebbe fatto ricorso ad una previsione generale ed espressa in tal senso, come ha fatto, espressamente nel diverso caso dell’art.303 lett. g) d. lgs. 152 del 2006, che ha escluso la possibilità di procedere nei confronti di responsabili di danni ambientali causati da eventi risalenti ad oltre trent’anni prima dall’entrata in vigore del codice. Al contrario il comma 11 dell’art.242 svolge una mera funzione procedurale, specificamente rivolta ai proprietari di un sito interessati alla bonifica, evidentemente non idonea ad incidere sul principio europeo del “chi inquina paga”, in pluriforme accezioni da tempo presente nel nostro ordinamento e, per il tramite della sua applicazione, sugli obblighi di bonifica a carico del responsabile della contaminazione (Cons. Stato, 8 febbraio 2023, n. 1397)
Contaminazione storiche e continuità del patrimonio aziendale. E’ pacifico che, pur a fronte di modifiche formali nella denominazione e nella forma societaria, vi sia stata continuità del patrimonio aziendale (nella accezione chiarita dalla Adunanza plenaria), sempre riferibile al medesimo centro di interesse, con conseguente piena e diretta imputabilità alla Società delle condotte poste in essere nel tempo dai danti causa, in quanto riconducibili ad un unico gruppo societario ed ad una strategia aziendale unitaria, come peraltro accertato anche nei giudizi civili in materia di danno ambientale. Ne segue che lo schermo societario non può essere invocato per eludere le regole in materia di responsabilità per danno ambientale, dovendo darsi prevalenza agli indici sostanziali sulla continuità del patrimonio aziendale che, nel caso di specie, sono univoci; in altri termini prevale l’unità economica del gruppo rispetto alla pluralità soggettiva delle imprese controllate, con l’effetto che le imprese appartenenti al gruppo che derivano da pregresse operazioni di trasformazione societaria sono, in materia ambientale, direttamente responsabili delle condotte di inquinamento poste in essere dalle imprese da cui mutuano i rispettivi patrimoni. Quanto alla perdita della materiale detenzione del sito condotto in locazione, tale circostanza non rileva ai fini della individuazione del responsabile dell’inquinamento e non inficia la legittimità dell’ordine di messa in sicurezza e di bonifica che, laddove non adempiuti – anche a motivo della impossibilità giuridica ad intervenire sul sito per fatti sopravvenuti - determina che sia l’amministrazione a dover provvedere in via diretta, con diritto di rivalsa sul responsabile (Cons. Stato, 24 febbraio 2023, n. 1542)
Fusione per incorporazione. La bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell'inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando l'istituto della bonifica è stato introdotto nell'ordinamento giuridico, ove gli effetti dannosi dell'inquinamento permangano al momento dell'adozione del provvedimento (Cons. Stato, sez. IV, 8 febbraio 2023, n. 1397)