Rifiuti
Rassegna di giurisprudenza in merito all'ambiente

Il responsabile dell'abbandono
Abbandono e qualifica soggettiva dell'autore della condotta. Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, è necessaria e sufficiente la qualifica soggettiva dell'autore della condotta, non essendo altresì richiesto che i rifiuti abbandonati derivino dalla specifica attività di impresa, posto che il reato in esame può essere commesso dai titolari di impresa o responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato non solo i rifiuti di propria produzione, ma anche quelli di diversa provenienza e ciò in quanto il collegamento tra le fattispecie previste dal primo e dal secondo comma dell'art. 256, comma 2, riguarda il solo trattamento sanzionatorio e non anche la parte precettiva (Cass, sez. penale, 7 maggio 2024, n. 18046)
Ordine di rimozione dei rifiuti diretto al legale rappresentate di una società in fallimento. Si è precisato in giurisprudenza che, in tema di smaltimento di rifiuti, l'obbligo di rimozione sorge sia in capo al responsabile dell'abbandono, quale conseguenza della sua condotta, sia nei confronti degli obbligati in solido, quando sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa, sia nei confronti dei destinatari dell'ordinanza sindacale di rimozione che sono obbligati in quanto tali e che, in caso di inottemperanza, ne subiscono, per ciò solo, le conseguenze se non hanno provveduto ad impugnare il provvedimento per ottenerne l'annullamento o non hanno fornito al giudice penale elementi significativi per l'eventuale disapplicazione (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 39430 del 12/06/2018, Pavan, Rv. 273841-01). Si deve aggiungere, inoltre, che i destinatari dell'ordinanza di rimozione dei rifiuti non possono addurre, a giustificazione, di non avere la diretta disponibilità dell'area su cui intervenire. In particolare, e ad esempio, come più volte affermato dalla giurisprudenza, in tema di rifiuti, il fatto che questi ultimi si trovino in stato di abbandono all'interno di un'area sottoposta a sequestro giudiziario non può avere alcuna efficacia scriminante del reato di cui all'art. 255, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 per inesigibilità della condotta, poiché, in tal caso, il destinatario dell'ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, emessa ai sensi dell'art. 192, comma 3, del medesimo d.lgs., deve richiedere al giudice l'autorizzazione ad accedere ai luoghi per provvedere alla rimozione (così Sez. 3, n. 33585 del 08/04/2015, Rosano, Rv. 264440-01, e Sez. 3, n. 14747 del 11/03/2008, Clementi, Rv. 239974-01). Né questa conclusione è in contrasto con la giurisprudenza del giudice amministrativo: l'Adunanza plenaria 3 del Consiglio di Stato, infatti, ha precisato che il curatore del fallimento non è responsabile dell'abbandono incontrollato dei rifiuti e non subentra nella proprietà dell'area interessata dall'illecito accumulo, perché la società dichiarata fallita conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio, sebbene la gestione di questo passi al curatore (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 3 del 2021). Ciò posto, nella specie, la sentenza impugnata rappresenta, innanzitutto, che l'ordinanza di rimozione dei rifiuti è stata emessa e notificata nei confronti dell'attuale ricorrente, quale legale rappresentante della "Ires Costruzioni s.r.l.". Osserva, poi, che la precisata società è da ritenersi responsabile dell'inquinamento in quanto soggetto produttore dei rifiuti e proprietario del suolo di illecito stoccaggio degli stessi, e che l'attuale ricorrente era il legale rappresentante di tale impresa nel momento della produzione e della raccolta dei predetti scarti. Aggiunge, inoltre, che l'attuale ricorrente, dopo la notifica dell'ordinanza, è rimasto del tutto inerte e non si è attivato né presso il curatore fallimentare per poter adempiere, né in sede giurisdizionale, per essere autorizzato ad accedere all'area da bonificare, o per contestare la legittimità dell'ordine ( Cass, pen., 6 marzo 2024, n. 9461).
Competenza
L'ordinanza di rimozione dei rifiuti è di competenza del Sindaco. A seguito dell’entrata in vigore del Codice dell’ambiente la previsione, contenuta nell’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006 (che ha riprodotto l’art. 14 del decreto “Ronchi”) di una espressa competenza del Sindaco è stata infatti univocamente interpretata, sulla base del criterio cronologico e di specialità, come una chiara volontà del legislatore di riservare all’Organo politico la competenza all’adozione dei provvedimenti in materia, con espressa sottrazione degli stessi alla competenza generale del Dirigente (Consiglio di Stato, 17 febbraio 2013, n. 1663) Con riguardo al rapporto tra l’art. 192, d. lgs. n. 152 del 2006 e l’art. 107, d. lgs. n. 267 del 2000, e dunque il riparto di poteri tra sindaco e dirigente amministrativo in materia, la Corte di Cassazione ha precisato che la giurisprudenza amministrativa smentisce la tesi che attribuirebbe la competenza esclusiva in materia al funzionario. Da ultimo con la sentenza n. 9722 del 13/11/2023, il Consiglio di Stato ha ribadito che il dirigente comunale non può considerarsi competente all’adozione di un’ordinanza adottata ai sensi dell’art. 192 citato, e ciò in base al consolidato orientamento secondo cui l’ordinanza di rimozione dei rifiuti abbandonati può essere adottata esclusivamente dal Sindaco e non dal dirigente, poiché l’articolo 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006 è una disposizione sopravvenuta, speciale e derogatoria rispetto all’articolo 107, comma 2 del decreto legislativo n. 267 del 2000 – il quale attribuisce in via generale ai dirigenti l’adozione di atti di natura gestionale e a rilevanza esterna (Corte Cass., Pen., 6 marzo 2024, n. 9472)
L'ordinanza ex art. 192 del d.lgs 152/06
Il Sindaco non può ordinare la rimozione dei rifiuti ex art. 50 del d.lgs 267/00. Il Comune ha emanato un’ordinanza contingibile ed urgente in considerazione dei rifiuti che sono stati ritrovati sul fondo di proprietà del ricorrente. Come chiarito dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 01.07.2020 n. 4183) l’art. 192 del D.L.vo n. 152/2006, prevedendo un ordinario potere d’intervento attribuito all’Autorità amministrativa in caso di accertato abbandono o deposito incontrollato di rifiuti e rappresentando, quindi, una specifica norma di settore, esclude a priori la possibilità per l’ente di far uso, per garantire la rimozione dei rifiuti, del potere extra ordinem, proprio delle ordinanze contingibili ed urgenti. Infatti le ordinanze di rimozione dei rifiuti abbandonati, emesse ai sensi dell’art. 192 del D.L.vo n. 152/2006 non hanno la natura contingibile e urgente propria delle ordinanze sindacali emesse ai sensi degli artt. 50 o 54 del Testo Unico degli enti locali (Tuel), il cui potere ha contenuto atipico e residuale e può pertanto essere esercitato solo quando specifiche norme di settore non conferiscano il potere di emanare atti tipici per risolvere la situazione emergenziale. Ne consegue che l’ordine di rimozione di rifiuti da un fondo può impartirsi al relativo proprietario solo quando è dimostrata almeno la corresponsabilità con chi ha scaricato, dovendosi escludere la configurazione normativa di un’ipotesi di responsabilità oggettiva. Sono perciò illegittimi gli ordini di smaltimento dei rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua mera qualità ed in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell’Amministrazione procedente dell’imputabilità soggettiva della condotta (TAR Napoli, 31 ottobre 2024, n. 5837)
contra Il Sindaco può ordinare la rimozione dei rifiuti ex art. 50 del d.lgs 267/00. La circostanza che l'ordinamento abbia previsto per la rimozione dei rifiuti il rimedio tipico dell'art. 192 Codice dell'Ambiente non esclude, nella sussistenza dei relativi presupposti, la possibilità del ricorso allo strumento extra ordinem, costituente una misura di chiusura del sistema a tutela dell'incolumità pubblica. In tale ipotesi, le misure di messa in sicurezza d'emergenza e i relativi poteri della P.A. possono essere esercitati, anche prescindendo dall'accertamento della responsabilità dell'inquinamento, verifica i cui tempi sarebbero in molti casi incompatibili con l'urgenza di garantire la sicurezza del sito” (cfr. T.A.R. Campania – Napoli, sez. V, n. 840/2023). Non può dunque affermarsi l’illegittimità del provvedimento, in considerazione del relativo contenuto sostanziale, in parte sovrapponibile all’esercizio del potere tipico, ex art. 192 T.U.A., in quanto ciò che giustifica l’adozione di un’ordinanza extra ordinem concerne esclusivamente i suoi presupposti, ben individuati dal provvedimento gravato nella sussistenza di pubblico interesse alla salvaguardia della salute pubblica e privata e della salubrità ambientale. S’osserva che T.A.R. Abruzzo – Pescara, Sez. I, 22/04/2011, n. 264, precisa, infatti, che: “Le ordinanze contingibili ed urgenti a tutela della salute pubblica ex art. 50 t.u.e.l. possono essere adottate non solo per porre rimedio ai danni già verificatisi in materia di sanità ed igiene, ma anche per prevenire tali danni, come del resto espressamente previsto dall'art. 38 t.u.e.l., che consente l'adozione di tali provvedimenti "al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini"; inoltre, le ordinanze stesse possono essere assunte anche quando l'incolumità dei cittadini sia minacciata da fenomeni di inquinamento ambientale provocati da rifiuti, emissioni inquinanti nell'aria e da scarichi inquinanti” (TAR Campania, 23 settembre 2024, n. 5065)
Comunicazione di avvio del procedimento
L'ordinanza sindacale per la rimozione dei rifiuti deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento. Secondo consolidati principi giurisprudenziali, l’ordinanza di rimozione dei rifiuti abbandonati, adottata ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, stante la rilevanza dell’eventuale apporto procedimentale che tali soggetti possono fornire, quanto meno in riferimento all’ineludibile accertamento delle effettive responsabilità per l’abusivo deposito di rifiuti (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 15 marzo 2021 n. 2171; sez. IV, 1 aprile 2016 n. 1301), salvo che non vi sia già stata una complessa e specifica interlocuzione con il Comune (sez. IV, 14 marzo 2022, n. 1763) (Cons. Stato, 20 giugno 2024, n. 5513; TAR Brescia, 17 febbraio 2025, n. 134)
Avvio del procedimento comunicato anche al curatore fallimentare. È illegittima, per violazione delle garanzie procedimentali, una ordinanza comunale con la quale è stato ingiunto al curatore fallimentare di bonificare un immobile dai rifiuti ivi presenti, ove l’ordinanza sia stata adottata senza la preventiva comunicazione all’interessato di avvio del procedimento amministrativo ex artt. 7 e segg., l. n. 241/1990. L’ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati ex art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 deve essere preceduta dalla suddetta comunicazione, stante la rilevanza dell’eventuale apporto procedimentale che tali soggetti possono fornire, quanto meno in riferimento all’accertamento delle effettive responsabilità per l’abusivo deposito dei rifiuti ed alla risalenza nel tempo della situazione di degrado ambientale (TAR Milano, 27 febbraio 2023 n. 496 - Comune di Fagnano Olona)
Istruttoria
E' illegittima l'ordinanza adottata in mancanza di un'istrittoria completa per individuare il responsabile dell'abbandono. La disciplina contenuta nell' art. 192 del D.Lgs. 152/2006 è improntata ad una rigorosa tipicità dell'illecito ambientale richiedendo il preventivo esperimento delle indagini necessarie a ricostruire la dinamica dell'evento con obbligo dell’amministrazione di svolgere un’adeguata istruttoria finalizzata ad acquisire gli elementi utili per il riconoscimento della responsabilità, di procedere all’accertamento dei fatti in contraddittorio con il destinatario della misura sanzionatoria a cui l’evento deve essere imputabile almeno a titolo di colpa, nonché di fornire un’esauriente motivazione dell’imputabilità soggettiva della condotta. Per costante giurisprudenza deve ritenersi illegittima l’ordinanza di rimozione e smaltimento di rifiuti adottata in mancanza di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione - quanto meno fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza - dell'imputabilità soggettiva della condotta, ed in assenza degli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo (ex multis, T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sentenza n. 29/11/2021, n. 528; T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 11/09/2019, n. 1554). La normativa sopra richiamata subordina infatti l’adozione della misura sanzionatoria del ripristino al preventivo esperimento delle indagini necessarie a ricostruire la dinamica dell'evento con obbligo dell’Amministrazione di svolgere un’adeguata istruttoria finalizzata ad acquisire gli elementi utili per il riconoscimento della responsabilità, nonché di procedere all’accertamento dei fatti in contraddittorio con il destinatario della misura sanzionatoria a cui l’evento deve essere imputabile almeno a titolo di colpa (TAR Abruzzo, 8 febbraio 2023, n. 69)
Inottemperanza
L'inottemperanza all'ordinanza di rimozione dei rifiuti configura un reato permenente (art. 255, comma 3, d.lgs 152/06) . Il reato di mancata ottemperanza all’ordinanza del sindaco di rimozione dei rifiuti, di cui all’art. 255 comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ha natura di reato permanente, nel quale la scadenza del termine stabilito per l’adempimento non indica il momento di esaurimento della fattispecie, bensì l'inizio della fase di consumazione che si protrae sino all’ottemperanza all’ordine ricevuto. Sulla base di questa disciplina, si è precisato che, in tema di smaltimento di rifiuti, l’obbligo di rimozione sorge sia in capo al responsabile dell’abbandono, quale conseguenza della sua condotta, sia nei confronti degli obbligati in solido, quando sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa, sia nei confronti dei destinatari dell’ordinanza sindacale di rimozione che sono obbligati in quanto tali e che, in caso di inottemperanza, ne subiscono, per ciò solo, le conseguenze se non hanno provveduto ad impugnare il provvedimento per ottenerne l’annullamento o non hanno fornito al giudice penale elementi significativi per l’eventuale disapplicazione (Corte Cass. Pen. 6 marzo 2024, n. 9461)
La colpa del proprietario del terreno
Risponde il proprietario del terreno che si disinteressi del proprio fondo e resti del tutto inerte di fronte all'abbandono di rifiuti sull'area. In tema di abbandono di rifiuti la negligenza (vale a dire la mancata diligenza) consiste nella trascuratezza, nell'incuria nella gestione di un proprio bene, e cioè nell'assenza della cura, della vigilanza, della custodia e della buona amministrazione del bene; segnatamente essa si verifica quando il proprietario si disinteressi del proprio bene per una qualsiasi ragione e resti inerte, senza affrontare concretamente la situazione, ovvero la affronti con misure palesemente inadeguate, risultando invece esimente la diligenza del proprietario, che abbia fatto quanto risulti concretamente esigibile, sicché è imposto invece all'amministrazione di disporre le misure ivi previste nei confronti del proprietario che - per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche - nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare che vi sia in concreto l'abbandono dei rifiuti. La condotta illecita del terzo - ovvero la proliferazione delle condotte illecite dei terzi - dunque non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l'evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né frattura il nesso di causalità tra la sua condotta colposa (id est, caratterizzata dalla trascuratezza e dalla incuria), quando costituisce un fatto prevedibile e prevenibile. Questa conclusione sia pienamente in linea con la concezione della proprietà-funzione recepita dalla nostra Costituzione, per la quale la proprietà pone anche degli obblighi di rendersi attivo al suo titolare (TAR Piamonte, 14 giugno 2023, n. 612)
Risponde il proprietario che abbia omessa la dovuta vigilanza sul proprio fondo e non abbia denunciato la presenza di rifiuti all'autorità. In caso di deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi (nella specie cumulo di pneumatici fuori uso, la maggior parte dei quali combusti) seppure non sia provato che il proprietario ne fosse a conoscenza, è tuttavia configurabile una colpa in termini di omissione della dovuta vigilanza, stante l’entità del cumulo di rifiuti presenti nel suo terreno e la mancata denuncia all’Autorità della loro presenza. È pur vero che la recinzione del terreno è mera facoltà e non obbligo in capo al proprietario dello stesso, ma è ancor più vero che se questi avesse prestato la normale diligenza avrebbe quanto meno denunciato la presenza dei rifiuti sul suo terreno e il loro accumulo progressivo, allertando di conseguenza le Autorità competenti. Tra l’altro, risultando l’area interclusa, esiste un ancor più forte indizio di responsabilità per colpa omissiva (TAR Campania n. 267 del 3 febbraio 2023)
Risponde il proprietario che non mantenga nel tempo misure di protezione e prevenzione finalizzate a contrastare l'abbandono di rifiuti. Pur non sussistendo l’obbligo da parte del proprietario del terreno, oggetto di abbandono di rifiuti, di attivare un servizio di vigilanza a protezione del fondo per impedire l’accesso di ignoti sullo stesso, il proprietario medesimo deve impedire, o comunque, rendere difficoltoso l’accesso sull’area, attraverso recinzioni, cancelli e cartelli che prevengano e vietino l’accesso stesso, nonché deve mantenere efficienti, nel tempo, le misure di protezione e prevenzione, Occorre quindi interpretare il disposto dell’art. 192 del D. Lgs. n. 152/2006, alla luce del suo tenore letterale, della sua collocazione sistematica e della ratio legis di tutela dell’interesse pubblico generale alla preservazione dell’ambiente, nel senso che, quando emergano induttivamente elementi di responsabilità del proprietario per la mancata attivazione di misure atte a contrastare l’abbandono dei rifiuti rinvenuti, lo stesso è tenuto a rimuoverli (Cons. Stato, 28 novembre 2022n. 10433)
Sul proprietario incombono obblighi di vigilanza e controllo. Incombono sul proprietario quanto meno gli obblighi di vigilanza e di controllo sul proprio bene affinché non si determini, anche ad opera dei possessori o detentori del bene a qualsiasi titolo, una situazione di inquinamento da rifiuti dannosa per l’interesse pubblico alla tutela della salute e dell’ambiente. Infatti, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza amministrativa, “anche in recepimento dei principi di diritto elaborati dal diritto europeo in materia ambientale e di gestione dei rifiuti, il proprietario che volontariamente tiene una condotta incompatibile con i doveri di vigilanza, controllo e verifica dello stato in cui versano i propri beni, non può esimersi da responsabilità. In altre parole, il requisito della colpa postulato dall’art. 192, del d.lgs. n. 152/2006, consiste oltre che nella commissione di condotte positivamente orientate all’abbandono dei rifiuti, anche nell’omissione di quei doverosi controlli che – soli – potrebbero distogliere o impedire terzi soggetti dal compiere le condotte sanzionate dalla norma, tra cui quelle di deposito incontrollato e di abbandono per le quali è causa.” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 2399 del 2021). Nel caso in esame, l’appellante, con le misure sopra indicate, è intervenuta in modo non idoneo e soprattutto in modo intempestivo poiché era al corrente sin dal 20 agosto 2003 della situazione di abbandono incontrollato dei rifiuti sull’area di sua proprietà per essere stata, della detta circostanza, resa edotta dal Dipartimento Prevenzione Igiene e Sanità dell’ASL, che le aveva formalmente intimato di smaltire i materiali pericolosi esistenti nell’area e di bonificare i luoghi, a seguito del verbale di ispezione dei Carabinieri del NOE. In particolare, il procedimento di sfratto attivato ha una finalità diversa rispetto a quella di esimente della proprietà dal dovere di controllo e di vigilanza sul bene e ad esso non può essere conferito alcun rilievo nell’escludere un comportamento quanto meno colposo dell’appellante. Pertanto, l’appellante si è sottratta agli obblighi di vigilanza e custodia del bene di proprietà; ciò nondimeno avrà diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute (Cons. Stato, 21 marzo 2024, n. 2746)
Comunicazione al proprietario incolpevole
Proprietario incolpevole e costi per lo smaltimento. Il proprietario incolpevole deve essere informato dell’intenzione dell’amministrazione di provvedere d’ufficio quando non venga individuato il responsabile dell’abbandono di rifiuti; questo affinché il proprietario possa valutare se trovi più conveniente accollarsi gli oneri della rimozione e dello smaltimento dei rifiuti oppure lasciare che provveda l’amministrazione. In questo secondo caso la giurisprudenza amministrativa ha osservato che l’amministrazione può richiedere, al proprietario del suolo, il rimborso delle spese sostenute per effettuare la bonifica limitatamente al valore del sito dopo l'esecuzione degli interventi (cfr. Corte di giustizia UE, Sez. III, del 4/3/2015, causa C-534/13; Cons. Stato, Ad. plen., ordinanza, 25/9/2013 n. 21; id. Sez. V, 7/3/2022 n. 1630; Sez. VI, 7/9/2016 n. 4647; TAR Campania, Napoli, Sez. V, 13/3/2023 n. 1644; TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 22/2/2017, n. 325), anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 13/6/2017 n. 1326) (TAR Marche, 26 marzo 2024, n. 313)
Il terreno concesso in locazione a terzi
Risponde il proprietario del fondo quando per incuria o trascuratezza non denunci la condotta illecita del conduttore del fondo. Per ciò che concerne in particolare la posizione del proprietario di un bene immobile concesso in locazione a terzi, la giurisprudenza, valorizzando la funzione sociale della proprietà al fine di contrastare il fenomeno dell'abbandono incontrollato dei rifiuti, ha ampliato il contenuto del dovere di diligenza esigibile dal proprietario stesso, arrivando a configurare una responsabilità di tipo colposo omissivo quando vi sia trascuratezza o incuria nella gestione del bene, e ciò anche con specifico riguardo alla condotta di abbandono materialmente eseguita dal conduttore (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 27 settembre 2016, n. 1074; Tar Piemonte, Sez. I, 15 luglio 2016, n. 994; Consiglio di Stato, Sez. V, 11 gennaio 2016, n. 58; Tar Campania, Napoli, Sez. V, 23 marzo 2015, n. 1692). Tuttavia, costituisce requisito indefettibile per poter configurare una tale responsabilità la dimostrazione, anche mediante elementi logici meramente presuntivi, purché precisi e concordanti, della consapevolezza del proprietario dello svolgimento dell'attività di illecito abbandono dei rifiuti da parte del conduttore o perlomeno la sussistenza di un suo comportamento negligente di disinteresse riguardo al proprio bene (TAR Milano, 3 febbraio 2023, n. 302)
Risponde il proprietario del fondo che non intraprende ogni opportuna iniziativa per dissociarsi dall'attività illecita compiuta dal conduttore del fondo (per esempio denunicano il fatto e sollecitando l'intervento della forze di polizia) . La condotta negligente del proprietario è consistita, oltre che nel consegnare le chiavi del capannone al - OMISSIS D- senza prima aver stipulato alcun contratto, nel non aver adottato alcuna condotta dissociativa rispetto all’abbandono incontrollato dei rifiuti posto in essere dal promissario conduttore, dopo averne appreso l’esistenza [...], intraprendendo a tal fine ogni opportuna iniziativa a propria tutela, quanto meno per denunciare l’accaduto alle forze di polizia e sollecitarne l’intervento; [...] Il provvedimento è stato legittimamente adottato in ragione della presenza incontestata di un deposito incontrollato di rifiuti nel capannone di proprietà dei ricorrenti, addebitato a corresponsabilità colposa della proprietà; e tanto era sufficiente a giustificare l’adozione dell’ordine di rimozione e smaltimento, posto che l’art. 192 TUA non richiede indagini ulteriori circa la particolare tipologia di rifiuti e la loro pericolosità, che attengono alle fasi successive concernenti l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 242 e ss. d. lgs. 151/2006 preordinati alla caratterizzazione del sito ai fini della verifica dello stato di eventuale contaminazione e della sua eventuale bonifica, peraltro di competenza di altra Autorità (TAR Brescia, 15 maggio 2023, n. 428)
Responsabilità del trasportatore non autorizzato. Va anzitutto richiamato il principio delle “responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti” secondo il quale la responsabilità per la corretta gestione dei rifiuti grava su tutti i soggetti coinvolti nella loro produzione, detenzione, trasporto e smaltimento, essendo detti soggetti investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi. I principi generali di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo afferente alla gestione dei rifiuti, ai sensi del combinato disposto di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, artt. 178 e 188, sono collegati al principio di derivazione eurounitaria “chi inquina paga” (richiamato anche dalla direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti), e alla necessità di assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, esigenza su cui si fonda, appunto, l’estensione della posizione di garanzia in capo ai soggetti in questione. In particolare, la dottrina ha osservato che i principi di correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente e del “chi inquina paga” cristallizzano regole di imputazione, con riferimento alla produzione di danni all’ambiente, ponendo canoni di diligenza in capo agli operatori nell’esplicazione delle loro attività, configurandone la responsabilità patrimoniale e personale in caso di violazione, e ponendo altresì oneri di attivazione immediata in capo ai soggetti che hanno prodotto il danno (Cass. pen., sez. III, 11 dicembre 2019, n.5912; cfr. anche Cass. pen., Sez. III, n. 20734 del 27 maggio 2022; Sez. III, n. 5912 del 11 dicembre 2019). Alla luce dei principi vigenti in materia, non può pertanto condividersi la tesi di parte ricorrente circa l’esclusione di ogni forma di responsabilità per il fatto di non essere abilitata al trasporto dei rifiuti. Al contrario, semmai, era proprio tale circostanza ad esigere uno specifico obbligo di diligenza, poiché, diversamente opinando, verrebbe a determinarsi una evidente lacuna nel sistema di gestione dei rifiuti, basato come detto sui principi di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti, a qualsiasi titolo, nella filiera dei rifiuti. In ordine al contenuto della “posizione di garanzia” gravante sul trasportatore, il Collegio reputa che – in analogia a quanto stabilito all’art. 193, comma 17, del codice dell’ambiente per i trasportatori autorizzati al trasporto di rifiuti - il trasportatore non abilitato sia tenuto a verificare la correttezza ed esaustività dei documenti di trasporto nonché a rilevare, quantomeno, le difformità e/o anomalie agevolmente percepibili (Consiglio di Stato, 22 gennaio 2025, n. 456)
La detenzione qualificata
L'obbligo di rimozione dei rifiuti grava sul detentore qualificato del bene inquinato. L’obbligo di rimozione dei rifiuti, ai sensi dell’art. 192, comma 3 del Codice dell’Ambiente, sussiste nei confronti del curatore fallimentare in quanto, dopo la dichiarazione di fallimento, esso diviene detentore dei beni oggetto del fallimento sin dal momento di predisposizione dell’inventario degli stessi, ai sensi degli artt. 87 e ss della Legge Fallimentare. Nello specifico la responsabilità alla rimozione è connessa alla qualifica di detentore acquisita dal curatore fallimentare non in riferimento ai rifiuti (che sotto il profilo economico a seconda dei casi talvolta si possono considerare “beni negativi”), ma in virtù della detenzione del bene immobile inquinato (normalmente un fondo già di proprietà dell’imprenditore) su cui i rifiuti insistono e che, per esigenze di tutela ambientale e di rispetto della normativa nazionale e comunitaria, devono essere smaltiti). Proprio in considerazione dei principi di prevenzione e di responsabilità, affermati dalla normativa eurounitaria nonché dall’art. 178, la disposizione codicistica deve essere interpretata nel senso di attribuire all’Amministrazione la facoltà di adottare provvedimenti affinché i curatori fallimentari adottino adeguate misure per la rimozione dei rifiuti. Infatti, secondo il diritto eurounitario, i rifiuti devono essere in ogni caso rimossi, anche qualora l’attività dell’impresa cessi: il soggetto responsabile potrà essere individuato nello stesso imprenditore non fallito, oppure in colui che amministra il patrimonio fallimentare. In quest’ultima ipotesi non viene richiesta un’analisi del titolo sottostante al soggetto responsabile degli obblighi di rimozione, in quanto i costi della gestione dei rifiuti vanno imputati sia al loro produttore inziale, che ai detentori del momento ed ai detentori precedenti. L’esimente prevista all’art. 192, comma 3 del d. lgs. n. 152/2006 può essere riconosciuta unicamente a favore di chi non sia detentore dei rifiuti, pertanto ad esempio nei confronti del proprietario incolpevole del terreno. Dunque il costo della rimozione potrà ricadere sull’attivo fallimentare, quale conseguenza della funzione di garanzia che assume il detentore dei siti in cui sono abbandonati i rifiuti, in precedenza sede dell'impresa fallita, in conformità del principio di “chi inquina paga” (Cons. Stato, 20 novembre 2023, n. 9928)
La detenzione qualificata del bene inquinato. Se è vero che il curatore del fallimento non può essere qualificato come avente causa del fallito nel trattamento dei rifiuti, in quanto il fallimento non dà vita ad alcun fenomeno successorio sul piano giuridico, nondimeno si deve ritenere che “la presenza dei rifiuti in un sito industriale e la posizione di detentore degli stessi, acquisita dal curatore dal momento della dichiarazione del fallimento dell’impresa, tramite l’inventario dei beni dell’impresa medesima ex artt. 87 e ss. L.F., comportino la sua legittimazione passiva all’ordine di rimozione”. Ciò, perché in tale situazione “la responsabilità alla rimozione è connessa alla qualifica di detentore acquisita dal curatore fallimentare non in riferimento ai rifiuti (che sotto il profilo economico a seconda dei casi talvolta si possono considerare 'beni negativi'), ma in virtù della detenzione del bene immobile inquinato (normalmente un fondo già di proprietà dell’imprenditore) su cui i rifiuti insistono e che, per esigenze di tutela ambientale e di rispetto della normativa nazionale e comunitaria, devono essere smaltiti”. Per conseguenza – conclude l’Adunanza Plenaria – “l’unica lettura del decreto legislativo n. 152 del 2006 compatibile con il diritto europeo, ispirati entrambi ai principi di prevenzione e di responsabilità, è quella che consente all’Amministrazione di disporre misure appropriate nei confronti dei curatori che gestiscono i beni immobili su cui i rifiuti prodotti dall’impresa cessata sono collocati e necessitano di smaltimento”. Non colgono nel segno le obiezioni della Curatela di non aver ottenuto l’esercizio provvisorio e di non essere subentrata nelle autorizzazioni rilasciate alla So.Rie.Co.: come ricordato dalla Plenaria, infatti, “nell’ottica del diritto europeo (che non pone alcuna norma esimente per i curatori), i rifiuti devono comunque essere rimossi, pur quando cessa l’attività, o dallo stesso imprenditore che non sia fallito, o in alternativa da chi amministra il patrimonio fallimentare dopo la dichiarazione del fallimento”: infatti, secondo la direttiva n. 2008/98/CE il detentore è la persona fisica o giuridica che è in possesso dei rifiuti, cioè dei beni immobili su cui i rifiuti insistono e tale nozione si contrappone a quella di produttore. Non rilevano le nozioni del diritto interno sulla distinzione tra il possesso e la detenzione: “ciò che conta è la disponibilità materiale dei beni, la titolarità di un titolo giuridico che consenta (o imponga) l’amministrazione di un patrimonio nel quale sono compresi i beni immobili inquinati”. Del resto “neppure rileva un approfondimento della nozione della detenzione, se si ritiene sufficiente la sussistenza di un rapporto gestorio, inteso come 'amministrazione del patrimonio altrui', ciò che certamente caratterizza l’attività del curatore fallimentare con riferimento ai beni oggetto della procedura”. Nella sua qualità di detentore dei rifiuti, secondo il diritto sia interno, sia comunitario, quale gestore dei beni immobili inquinati, “il curatore fallimentare è perciò senz’altro obbligato a metterli in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero”. Si tratta, osserva l’Adunanza Plenaria, di un’applicazione del principio “chi inquina paga”, che nella sua accezione comunitaria non richiede anche la prova dell’elemento soggettivo, né l’avvenuta successione, configurando la direttiva n. 2004/35/CE la responsabilità ambientale nei termini di una responsabilità oggettiva. La responsabilità della curatela fallimentare nell’eseguire la bonifica dei terreni di cui abbia acquisito la detenzione per effetto dell’inventario fallimentare dei beni ex artt. 87 e segg. L. Fall. può dunque “prescindere dall’accertamento dell’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta e il danno constatato” (Cons. Stato, 2 aprile 2024, n. 2997)
La responsabilità oggettiva del fallimento
L'ordine di rimozione dei rifuti può essere ingiunto alla curatela indipendentemente dalla requisito della colpa. L'unica condizione è la detenzione qualificata del bene inquinato. Rammentate le indicazioni espresse in questa materia dalla sentenza n. 3 del 2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale, in merito alla responsabilità della curatela fallimentare, ha chiarito al paragrafo ottavo che, poiché “in tema di prevenzione il principio “chi inquina paga” non richiede, nella sua accezione comunitaria, anche la prova dell’elemento soggettivo, né l’intervenuta successione” (cfr. Consiglio di Stato, Ad.Pl., sentenza n. 10 del 2019), in analogia a quanto si verifica nel caso della responsabilità del proprietario -benché incolpevole- dei suoli inquinati, può essere ordinata la bonifica delle aree anche alla curatela fallimentare, purché la stessa ne abbia acquisito l’effettiva detenzione “per effetto dell’inventario fallimentare dei beni (come è già stato messo in luce), ex artt. 87 e ss. L.F.” (cfr. paragrafo 8, ultima parte, della sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 2021); la lettura del principio di diritto enunciato dalla decisione n. 3 del 2021 dell’Adunanza Plenaria al paragrafo nono della sentenza – secondo il quale “ricade sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152-2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare” -, (interpretato il suo paragrafo nono alla luce del precedente paragrafo ottavo) conduce alla conclusione che a una curatela fallimentare possa ordinarsi la bonifica ai sensi dell’art. 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006 solo allorquando essa abbia effettivamente acquisito la detenzione dei suoli inquinati, a seguito del loro inserimento formale nell’inventario fallimentare dei beni ex artt. 87 e ss. della Legge Fallimentare (TAR Molise, 25 marzo 2024, n. 84)
Ordine di rimozione ingiunto alla curatela fallimentare. Occorre richiamare la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2021, la quale ha chiarito che ricade sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152-2006, gravando sulla massa fallimentare i relativi costi. In questo senso, la presenza dei rifiuti in un sito industriale e la posizione di detentore degli stessi, che il curatore fallimentare acquisirebbe al momento della dichiarazione di fallimento, innestano la legittimazione passiva della stessa curatela agli obblighi di sgombero. Il principio “chi inquina paga” non vale ad esonerare la curatela fallimentare dagli obblighi anzidetti, avendo l’Adunanza Plenaria chiarito che “(…)La curatela fallimentare, che ha la custodia dei beni del fallito, tuttavia, anche quando non prosegue l'attività imprenditoriale, non può evidentemente avvantaggiarsi dell'esimente di cui all'art. 192, lasciando abbandonati i rifiuti risultanti dall'attività imprenditoriale dell'impresa cessata. Nella qualità di detentore dei rifiuti, sia secondo il diritto interno, ma anche secondo il diritto comunitario (quale gestore dei beni immobili inquinati), il curatore fallimentare è perciò senz'altro obbligato a metterli in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero.”. Quanto, infine, agli strumenti indicati dall’appellante, che il Sindaco avrebbe potuto attivare in via alternativa, il Collegio rileva che si tratta, in sostanza, di provvedimenti che dispongono l’inagibilità di immobili: tale misura, tuttavia, deve ritenersi di per sé insufficiente a prevenire la penetrazione di persone all’interno della struttura inagibile, per cui si deve ammettere che il Sindaco, con ordinanza contingibile e urgente, possa disporre l’adozione di ulteriori misure, quando la pericolosità di uno stabile e/o quanto in esso si trova, possa mettere in pericolo l’incolumità pubblica (Cons. Stato, 22 gennaio 2025, n. 483)
L'esclusione dal programma di liquidazione del bene inquinato
Il curatore risponde anche nel caso in cui il bene "inquinato" non sia stato incluso nel programma di liquidazione approvato dal Tribunale. La scelta di non procedere alla vendita del fondo nell’ambito della procedura fallimentare in ragione della dichiarata anti-economicità che implicherebbe la relativa attività di liquidazione non esonera la Curatela dalla responsabilità civile per i danni dipendenti dalla cosa o dalla sua omessa custodia a terzi sino a quando la procedura fallimentare sarà pendente, non rispondendo, infatti, il Curatore soltanto per i fatti successivi alla chiusura del fallimento. Pertanto, la Curatela risponde anche dei fatti successivi alla data di autorizzazione del Tribunale a non includere il bene nel programma di liquidazione. Il che è, peraltro, coerente con i principi di diritto affermati dal Consiglio di Stato (sez. IV, 14/03/2022, n.1763), secondo cui rispetto al Curatore fallimentare rilevano «gli obblighi e le responsabilità di diritto pubblico, con la conseguenza che eventuali atti di dismissione dei beni, anche se legittimamente adottati in base all'art. 104-ter della legge fallimentare, andranno considerati come atti privatistici, non dismissivi della responsabilità di diritto pubblico». In definitiva, «la Curatela non può ritenersi liberata dalle responsabilità connesse alla discarica per il solo fatto di avere rinunciato a liquidarla» (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2021, n. 4383) (Cons. Giustizia. Amm. Siciliana, 1 febbraio 2024, n. 77)
Deposito incontrollato
Il reato di deposito incontrollato può avere natura istantanea o permanente. Il reato di deposito incontrollato di rifiuti di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, può avere natura permanente, nel caso in cui l’attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento dei rifiuti, e si configura invece come reato di natura istantanea con effetti eventualmente permanenti, nel caso in cui l’anzidetta attività si connoti per una volontà esclusivamente dismissiva del rifiuto, che esaurisce l’intero disvalore della condotta. In sintesi, se il deposito incontrollato assume, fin dall’inizio la conformazione di un rilascio definitivo del rifiuto nell’ambiente, o comunque non è seguito entro un tempo ragionevole dalla rimozione di questo, mediante attività di smaltimento o recupero, la condotta che lo determina si esaurisce nel momento in cui è posta, e, quindi, dà luogo ad un reato istantaneo, con eventuali effetti permanenti. Se, invece, l’attività di deposito incontrollato è prodromica ad una successiva fase di smaltimento o di recupero, la relativa condotta si protrae nel tempo, perché implica una “custodia”, integrando così un reato permanente che si esaurisce quando inizia la gestione lecita del rifiuto, siccome correttamente svolta da un soggetto autorizzato, ovvero perdura fino al compimento della successiva fase di gestione del rifiuto, quando questa è effettuata da un soggetto non autorizzato o con modalità illegali, venendo assorbita in questa più generale fattispecie (Cass. Penale, 2 settembre 2022, n.32305; Cass. Pen. 7 febbraio 2024, n. 5478; Cass. Penale, 2 settembre 2022, n. 32305)
Regime semplificato
Attività di recupero in regime semplificato. Regolarità edilizia e urbanistica. La regolarità edilizia (ma anche la compatibilità urbanistica) costituisce sempre il presupposto per l’avvio dell’attività di recupero dei rifiuti e per la sua regolare continuazione in regime semplificato; attività che non deve comunque <recare pregiudizio all'ambiente> così come prescrive, tra l’altro, l’art. 214, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006, contrariamente a ciò che avviene nell’ambito della procedura ordinaria di cui al precedente art. 208, dove l’approvazione del progetto <sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico> (cfr. relativo comma 6) (TAR Marche Sez. I n. 417 del 14 luglio 2022)