Caccia e pesca
Rassegna di giurisprudenza in merito alla caccia e pesca

Esercizio venatorio
Nozione di esercizio venatorio. Nella nozione di esercizio venatorio non rientrano esclusivamente la cattura e l'uccisione della selvaggina, ma anche l'attività preliminare e la predisposizione dei mezzi ed ogni altro atto diretto alla cattura e all'abbattimento in tal senso qualificabile dal complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui esso viene posto in essere (Corte Cassazione, 15 febbraio 2024, n. 6840)
Disturbo venatorio. La Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la legge regionale del Veneto n. 1 del 17 gennaio 2017 che prevedeva multe nei confronti di chi disturba l’attività dei cacciatori e dei pescatori (Corte Costituzionale, 11 luglio 2018 n.148)
Calendario venatorio
Impugnazione del calendario venatorio. Come è stato osservato da recentissima giurisprudenza in caso analogo attinente il prelievo della pavoncella, il piano a cui si richiama la Regione, denominato “International Multi-species Action Plan for the Conservation of Breeding Waders in Wet Grassland Habitats in Europe 2018-2028” non può essere qualificato come un piano di gestione della specie idoneo a consentire la caccia di questa specie, perché ha ad oggetto le problematiche inerenti le popolazioni nidificanti, ossia gli individui che materialmente si riproducono nel territorio di riferimento, mentre l'attività venatoria nel caso di specie ha ad oggetto per la grande maggioranza popolazioni migratrici (T.A.R. Veneto, Sez. I, 10.2.2022, n. 260; sulla stessa lunghezza d’onda anche T.A.R. Basilicata, Sez. I, n. 685 del 25.10.2021). Ne consegue che detto Piano di gestione multispecie non costituisce uno strumento pianificatorio di gestione idoneo a consentire il prelievo della Pavoncella, ragion per cui, in assenza delle necessarie previe azioni in via amministrativa, quali la predisposizione di un valido piano di gestione idoneo a salvaguardare la pavoncella, risulta censurabile l’avvenuto inserimento della stessa tra le specie cacciabili.
(TAR Calabria, Catanzaro, 8 marzo 2022, n. 396)
Piani di abbattimento
Il contenimento dei cinghiali non va perseguito con l'attività venatoria. L’obiettivo della riduzione dei danni arrecati dalla fauna va perseguito con gli interventi di contenimento numerico previsti dall’articolo 19 della Legge 157/1992 e dall’articolo 37 della L. R. Toscana 3/1994 e non già attraverso l’attività venatoria (TAR Toscana, 16 maggio 2012, n. 935)
L'abbattimento delle nutrie è giustificato ove venga comprovata una situazione di potenziale pericolo per cose o persone. Il Tar annulla le ordinanze per l’abbattimento: non sarebbe stato evidenziato "alcun elemento comprovante il fatto che la presenza di nutrie nel territorio comunale possa determinare situazioni di potenziale pericolo per cose o persone" (TAR Veneto, 26 febbraio 2016, n.214)
ATC e Valichi alpini
Valichi alpini. La questione relativa all’art. 43, comma 3 della legge reg. Lombardia n. 26 del 1993 è fondata. La norma censurata circoscrive il divieto di caccia sui valichi montani attraversati dall’avifauna ai soli valichi che si trovano nel comparto di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi. Il comparto corrisponde ad una suddivisione del territorio regionale alpino ai sensi dell’art. 27, comma 2-bis, della stessa legge reg. Lombardia n. 26 del 1993, che prevede l’istituzione «all’interno dei comprensori alpini di caccia [di] due distinti comparti venatori, denominati l’uno zona di maggior tutela e l’altro zona di minor tutela, con l’esercizio della caccia differenziato in relazione alla peculiarità degli ambienti e delle specie di fauna selvatica ivi esistenti e meritevoli di particolare tutela». L’art. 21, comma 3, della legge n. 157 del 1992, individuato quale norma interposta della questione di legittimità costituzionale, invece, non fa distinzione alcuna tra i valichi, ponendo un divieto di caccia nel raggio di mille metri per tutti quelli attraversati dalla fauna migratoria. La disposizione statale è ricondotta dalla Regione alla materia della caccia sotto il profilo della tutela della pubblica incolumità. Essa attiene, invece, all’ambiente ed integra uno standard minimo di protezione prescritto dal legislatore nazionale nell’esercizio della competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che funge da limite al potere legislativo delle regioni e delle provincie autonome nel senso che esse, nell’esercizio delle proprie competenze che concorrono con quella dell’ambiente, possono dettare prescrizioni solo nel senso dell’innalzamento della tutela (sentenze n. 158 del 2021 e n. 66 del 2018). In tal senso depone la stessa formulazione letterale dell’art. 21 citato, che qualifica il valico tutelabile in relazione alla presenza di fauna da proteggere. D’altronde, lo specifico interesse alla tutela degli uccelli migratori si rinviene anche nell’art. 1, comma 5, della stessa legge n. 157 del 1992 che affida alle regioni e alle province autonome, in attuazione delle direttive concernenti la conservazione degli uccelli selvatici, all’epoca succedutesi (n. 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, n. 85/411/CEE della Commissione, del 25 luglio 1985, e n. 91/244/CEE della Commissione, del 6 marzo 1991), il compito di istituire lungo le rotte di migrazione dell’avifauna zone di protezione per le soste durante il transito. È evidente, dunque, l’attenzione del legislatore a proteggere le specie in questione nel delicato momento della migrazione, assicurando delle zone adeguate per le soste come prescritto dall’art. 1, comma 5, della stessa legge n. 157 del 1992 e inibendo la caccia sui valichi che vengono attraversati dalle rotte migratorie, con conseguente attrazione dell’art. 21, comma 3, della legge n. 157 del 1992, che prevede tale divieto di caccia, nel novero delle disposizioni che prescrivono standard minimi di tutela ambientale che il legislatore regionale non può derogare in peius (Corte Costituzionale, 20 dicembre 2022, n. 254)
ATC e Corte dei Conti. L’ATC è un organo che, indipendentemente dalla veste formale ad esso attribuita, partecipa in maniera diretta alla realizzazione del fine pubblico ossia alla disciplina dell’attività venatoria e del più ampio assetto faunistico, che è tutelato nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale, quale patrimonio indisponibile dello Stato, La funzionalizzazione dell’attività svolta dal soggetto al perseguimento di finalità pubblicistiche non è neutralizzata dalla presenza di contribuzioni private, che dunque non può essere considerata motivo di giustificazione dell’esclusione della giurisdizione contabile. E ciò anche in considerazione della circostanza che la dotazione finanziaria degli ATC Umbri ha natura mista, essendo composta da risorse pubbliche, oltre che da quelle private. E comunque tutte le risorse sono indirizzate al raggiungimento delle predette finalità pubbliche. In via conclusiva, [...], il Collegio ribadisce il principio nomofilattico espresso dalla Sezione delle Autonomie in merito al riparto dei proventi da sanzioni per violazione dei limiti massimi di velocità ai sensi dell’art. 142, comma 12 bis, C. d. s. da devolvere, nella quota parte del 50% ciascuno, all’ente proprietario della strada e all’ente da cui dipende l’organo accertatore, in virtù della doppia titolarità di attribuzione dei proventi medesimi. L’indirizzo espresso dalla Sezione delle Autonomie nella deliberazione più volte richiamata (n.1 del 2019), non può ritenersi in distonia con il sopravvenuto decreto MIT del 30 dicembre 2019, recante, peraltro, mere disposizioni attuative di dettaglio concernenti la compilazione della relazione da trasmettere annualmente al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e al Ministero dell’Interno, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di rendicontazione informatica previsto dalla legge n. 120/2010. D’altra parte, il suddetto decreto ministeriale, nel rispetto del principio della gerarchia delle fonti, non avrebbe potuto, in alcun modo, obliterare la statuizione di cui all’art. 142, comma 12 bis del D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285.(Corte Conti, sez. giur. appello, 27 marzo 2023, n. 158)
ISPRA
ISPRA e deroghe. L’art. 19 bis assegna poi all’ISPRA anche una competenza di amministrazione attiva, quella di determinare, per tutto il territorio nazionale, la “piccola quantità” cacciabile degli uccelli per cui si vuole disporre la deroga. Si tratta di una competenza di amministrazione attiva, perché se essa non viene esercitata viene di fatto paralizzato il potere di disporre le deroghe spettante alle Regioni, le quali, quindi, diversamente che nel caso di parere negativo, hanno interesse ad impugnare un eventuale diniego in proposito. Nel caso presente, come risulta dalla lettura della sopra richiamata istanza 20 aprile 2017 di (§ 6), la Regione ha indirizzato all’ISPRA due distinte richieste, nel senso che l’Istituto esercitasse entrambe le competenze di cui sopra, ed ha ottenuto in entrambi i casi un riscontro negativo. Ciò posto, è corretto quanto deduce la Regione appellante, ovvero che effettivamente il Giudice di I grado ha omesso di pronunciare sulla domanda da essa presentata, domanda che aveva per oggetto non il parere negativo, ma il provvedimento di amministrazione attiva, ovvero il diniego di determinazione della piccola quantità, unico atto rispetto al quale l’interesse all’impugnazione sussiste. Così esattamente identificato l’oggetto della domanda di merito la stessa è poi fondata e va accolta. Il potere esercitato dall’ISPRA nel caso di specie deve ritenersi espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal Giudice amministrativo di legittimità nei soli casi di esiti illogici o contrastanti con la realtà di fatto accertata e, più in generale, con il principio di ragionevolezza tecnica. Nel caso di specie, poi, l’illogicità va apprezzata non soltanto in base alle regole generali del comune buon senso, ma anche con riferimento alle regole specifiche fissate dalla Guida di cui si è detto e alla quale lo stesso provvedimento impugnato dichiara di volersi attenere. Tanto premesso, ad avviso del Collegio, l’illogicità sussiste. Così come si è detto sopra, l’ISPRA ha motivato il diniego di determinazione della piccola quantità con due argomenti: in primo luogo, ha sostenuto che ciò sarebbe impossibile per la gran parte delle specie di Passeriformi, in particolare per quelle migratrici cui si riferisce la richiesta di deroga; in secondo luogo, ha richiamato la procedura di infrazione numero 2006/2131 a carico dello Stato italiano. 18.8 Nessuna di queste due argomentazioni, peraltro, deve ritenersi congrua. Sul primo punto, come si è detto, la Guida contiene un’affermazione contraria nel senso che, come si ricava dal § 3.5.41, di essa le specie migratrici non sono affatto escluse a priori dalla deroga. Non è dato quindi capire, e in ciò consiste l’illogicità, perché nel caso di specie l’ISPRA abbia ritenuto diversamente. Le affermazioni dell’ISPRA sul secondo punto sono poi a loro volta illogiche, dal momento che nemmeno è spiegato per quali ragioni la procedura di infrazione citata impedisca, o renda in qualche modo più gravoso, esercitare la competenza richiesta. Ciò che l’ISPRA avrebbe dovuto invece fare è dare effettiva applicazione ai criteri di cui alla Guida e determinare di conseguenza la piccola quantità, ovvero spiegare, sempre con riferimento a quei criteri, per qual motivo la determinazione non fosse in concreto possibile. In questi sensi e limiti l’appello va quindi accolto e di conseguenza, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di I grado, con accertamento ai soli fini dell’eventuale giudizio risarcitorio dell’illegittimità dell’atto impugnato nella parte in cui non ha determinato la “piccola quantità” di cui all’art. 19 bis, comma 3 ,seconda parte della l. 11 febbraio 1992 n.157 (Cons. Stato, 31 gennaio 2024, n. 982)
Richiami vivi
Richiami vivi. Deve essere esclusa la sussistenza del reato di cui all’art. 727 cod. pen. anziché di quello di cui all’art. 544 ter, comma 3, cod. pen. nel caso in caso cui alcuni esemplari di uccelli siano custoditi al buio, in gabbiette poggiate a terra e di dimensioni assai anguste, due di essi privi della coda o delle piume della coda, o comunque con un piumaggio che rendeva loro impossibile volare (a causa della provocata compromissione delle penne remiganti e di quelle timoniere), tutti dunque in condizioni tali da non poter volare e da compromettere la loro stessa sopravvivenza, sottoposti alla pratica denominata “chiusa” (ossia alla custodia al buio per lunghi mesi allo scopo di falsare il loro ciclo annuale in modo che una volta portati all’aria aperta, in autunno e in inverno, durante la stagione venatoria, convinti che fosse giunta la primavera, richiamassero i loro simili, per essere poi abbattuti dai cacciatori), così determinando uno stravolgimento completo della fisiologia ed etologia degli uccelli e realizzando comportamenti incompatibili con le caratteristiche etologiche della specie. È allora evidente come tale condotta configuri il delitto di cui all'art. 544 ter cod. pen., perché non solo "senza necessità" ma anche illecitamente (perché strumentalmente alla pratica proibita dell'uccellagione), il ricorrente ha sottoposto gli esemplari custoditi nelle gabbie a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche, provocando in alcuni di esse l’avulsione delle piume, tra l’altro allo scopo di utilizzarli come richiami vivi, pratica non consentita per la peppola e il fringuello (Cass. Pen. 13 aprile 2023, n. 15453)
Uccellagione
Reato di uccellagione. Il reato di uccellagione è integrato da qualsiasi atto diretto alla cattura di uccelli con mezzi diversi dalle armi da sparo, e dunque è configurato come un reato di pericolo a consumazione anticipata, per il cui perfezionamento non è richiesta l'effettiva cattura degli animali, essendo sufficiente la semplice predisposizione di mezzi, quali le trappole e le reti, idonei allo scopo; con tale previsione il legislatore si propone, infatti, di punire i sistemi di cattura con potenzialità offensiva indeterminata, tali anche da comportare il pericolo di un depauperamento della fauna, e ciò a prescindere dall'abbattimento o meno degli animali, con la conseguenza che il reato si perfeziona anche nel caso in cui la cattura non si sia in concreto verificata (Cass. Pen, 1 febbraio 2023, n. 4213)
Polizia faunistica
Polizia giudiziaria. Guardie zoofile ENPA. In tema di caccia, alle guardie zoofile dell'E.n.p.a., alla luce della L. n. 189 del 2004, art. 6 e a seguito della perdita della personalità di diritto pubblico, non può riconoscersi la veste di agenti di polizia giudiziaria, se non rispetto agli animali d'affezione, tra cui non può farsi rientrare la fauna selvatica. Tuttavia, le stesse, quali guardie giurate di un'associazione di protezione ambientale riconosciuta (ex lege), possono esercitare i poteri di vigilanza e di accertamento indicati nella L. n. 157 del 1992, art. 28, commi 1 e 5, ovvero possono chiedere a qualsiasi persona trovata in possesso di armi o arnesi atti alla caccia, in esercizio o in attitudine di caccia, l'esibizione della licenza di porto di fucile per uso di caccia, del tesserino di cui all'art. 12, comma 12, del contrassegno della polizza di assicurazione, nonché della fauna selvatica abbattuta o catturata, e inoltre possono accertare, anche a seguito di denuncia, violazioni delle disposizioni sull'attività venatoria, redigere verbali, conformi alla legislazione vigente, in cui devono essere specificate tutte le circostanze del fatto e le eventuali osservazioni del contravventore, dovendo trasmetterli all'Ente da cui dipendono e all'Autorità competente ai sensi delle disposizioni vigenti (Consiglio di Stato Sez. III n. 5202 del 24 giugno 2022)
Uccisione e maltrattamento di animali
Detenzione di animali in condizioni produttive di gravi sofferenze. Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 727 cod. pen., la detenzione di animali in condizioni produttive di gravi sofferenze consiste non solo in quella che può determinare un vero e proprio processo patologico nell'animale, ma anche in quella che produce meri patimenti, la cui nozione va ricavata attingendo al patrimonio di comune esperienza e conoscenza, per le specie più note, e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali. Assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell'animale, procurandogli dolore e afflizione (Cass. Pen.,12 maggio 2023, n. 20282).
Danni provocati dalla fauna selvatica
Danno provocato dalla fauna selvatica. La Corte di Cassazione ha, con indirizzo che può dirsi ormai adeguatamente consolidato, di recente più volte affermato (Cass. n. 31342/2023; n. 16550/2022, n. 3023/2021, n. 20997/2020, n. 16550/2020, n. 13848/2020, n. 12113/2020, 8385/2020, n. 8384/2020, n. 7969/2020) che, nel caso in cui si invoca il risarcimento dei danni cagionati dalla fauna selvatica, trova applicazione la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. Invero, detta norma è applicabile non soltanto nel caso di animali domestici, ma anche di specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157/1992 che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla Regione, quale ente competente a gestire la fauna selvatica in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema (art. 1, comma 3, legge n. 157 del 1992). Da tale orientamento consegue che, in via generale, quanto agli oneri probatori, in applicazione del criterio oggettivo di cui all'art. 2052 c.c., il danneggiato deve allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall'animale selvatico (e, quindi, dimostrare la dinamica del sinistro nonché il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre che l'appartenenza dell'animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti ai animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato) (Corte Cassazione, 25 maggio 2024, n. 14555)
Risarcimento danni e legittimazione passiva. I danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla PA a norma dell'art. 2052 c.c., giacchè, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull'utilizzazione dell'animale e, dall'altro, le specie selvatiche protette ai sensi della l. n. 157/1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema. Nell'azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell'art. cit., la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell'esercizio di funzioni proprio o delegate, l'adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno» (Cass. civ., 23 settembre 2022, n. 27931)
Diritti esclusivi di pesca
Giurisdizione. In tema di diritti esclusivi di pesca, ove l'ente pubblico titolare abbia affidato a privati concessionari, attraverso apposita convenzione, l'individuazione dei soggetti da autorizzare all'esercizio dell'attività di pesca, mantenendo tuttavia un potere di controllo "ex post" sull'osservanza dei criteri convenuti, mediante la previsione di un nulla-osta all'autorizzazione, la controversia relativa al mancato rilascio del nulla-osta rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, perché non ha ad oggetto la titolarità del diritto di pesca, ma la sola autorizzazione allo sfruttamento delle risorse ittiche, che è espressione del potere autoritativo finalizzato a garantire l'interesse pubblico della equa ripartizione delle stesse (Cassazione civ., Sezioni Unite, 21 marzo 2022, n. 9154)