Avvocatura
Rassegna di giurisprudenza in merito alla avvocatura

Procedura per la scelta dell’avvocato esterno. La P.A. non è tenuta a seguire, quando conferisce incarichi di patrocinio legale ad avvocati, le procedure di evidenza pubblica previste dalle norme eurounitarie e nazionali per il contratto di appalto di servizi, atteso che le relative prestazioni professionali sono connotate dall'"intuitu personae" e da rapporti, fra il difensore ed il cliente, caratterizzati dalla massima riservatezza e, quindi, incompatibili con le menzionate procedure. (Cassazione civ.,17 dicembre 2021, n. 40572)
Autorizzazione a stare in giudizio. L’autorizzazione è un requisito per la regolare costituzione in giudizio e per il regolare compimento degli atti del processo. Il suo difetto rende inefficaci gli atti compiuti dalla parte non debitamente autorizzata, ma la giurisprudenza consente la sanatoria del difetto di autorizzazione rilasciata tardivamente in qualunque momento, anche nel corso del processo, finché il giudice non abbia emesso un provvedimento che abbia accertato il difetto di autorizzazione. Una volta concessa, l’autorizzazione integra retroattivamente la condizione di efficacia degli atti della parte, rendendo efficaci ex post gli atti compiuti prima del suo rilascio, operando come una sorta di ratifica. Il Consiglio di Stato ha infatti affermato che “Il ricorso in appello proposto dal comune entro i termini di legge è ammissibile, ancorché l’autorizzazione a stare in giudizio sia stata deliberata dalla giunta comunale dopo la scadenza di tali termini” (Cons. Stato, sez. IV, n. 1190/1996) (Consiglio di Stato, 30 gennaio 2023 n. 1024)
Autorizzazione a stare in giudizio e ius postulandi. La procura ale liti non reca alcuna menzione dell'autorizzazione a resistere, necessaria ai sensi dell'art. 44 Statuto Regione, secondo cui alla Giunta Regionale spetta di deliberare "in materia di liti attive e passive", con dizione analoga a quella prevista in altre regioni e stabilmente intesa dalla Corte nel senso che la Regione può "promuovere le liti o resistervi soltanto previa autorizzazione della Giunta" (così Cass., Sez. Un., 8/05/2007, n. 10371; Cass. 11/01/ 2008, n. 480); rispetto a vizi di rappresentanza ed autorizzazione, la Corte ritiene normalmente che, per gli enti pubblici, la mancanza della deliberazione autorizzativa a stare in giudizio incide in via generale sulla legittimazione processuale ed è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio (Cass. 19/01/2000, n. 560) e che, nel caso di specie, a fronte di eccezione sollevata nella memoria depositata ai sensi dell'art. 380 bis 1 cod. proc. civ. (nella quale si è dato atto che non risulta richiamata nel ricorso né mai prodotta la delibera di G.R. di autorizzazione alla lite), nulla ha opposto la ricorrente, la quale, neppure, ai sensi dell’art. 372, 2° comma, cod. proc. civ. (applicabile nel testo novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, in ragione della data di fissazione della trattazione del presente ricorso), ha provveduto, fino alla data di svolgimento dell’odierna adunanza, a produrre i documenti relativi all'ammissibilità del ricorso, onde sanare il difetto rilevato (cfr. Cass. 14/06/2022, n. 19185; Cass. 17/06/2020, n. 11699); alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per carenza dello ius postulandi (Corte Cass. 4 luglio 2023, n. 18850)
Chi conferisce la procura alla lite
Il potere di conferire la procura alle liti spetta al Sindaco, salvo diversa previsione statutaria. Nel vigente sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, invero, in difetto di una specifica previsione statutaria o regolamentare, la rappresentanza processuale del Comune spetta, in via esclusiva, al Sindaco (Cass. SU n. 12868 del 2005; Cass. n. 4556 del 2012; Cass. n. 7402 del 2014) cui compete il potere, altrettanto esclusivo, di conferire la procura alle liti al difensore designato (Cass. n. 34599 del 2019; Cass. n. 4583 del 2019; Cass. n. 16459 del 2018; Cass. n. 5802 del 2016; Cass. n. 13968 del 2010). (Cassazione civ, 3 marzo 2022, n. 6977)
La procura rilasciata dal vice sindaco è valida anche se non riporta le ragioni dell'impedimento o dell'assenza del Sindaco. In tema di rappresentanza processuale del Comune, la causa di impedimento del sindaco a firmare direttamente la procura alle liti si presume esistente in virtù della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, restando a carico dell'interessato l'onere di dedurre e di provare l'insussistenza dei presupposti per l'esercizio dei poteri sostitutivi, sicché è valida la procura conferita dal vice sindaco ancorché sia stata omessa l'indicazione delle ragioni di assenza o impedimento del sindaco (Cassazione civ., 7 marzo 2022, n. 7348)
Pluralità di difensori e notifica della sentenza a uno soltanto di questi. La nomina di una pluralità di procuratori, ancorché non espressamente prevista nel processo civile, è certamente consentita, non ostandovi alcuna disposizione di legge e fermo restando il carattere unitario della difesa; tuttavia, detta rappresentanza tecnica, indipendentemente dal fatto che sia congiuntiva o disgiuntiva, esplica nel lato passivo i suoi pieni effetti rispetto a ciascuno dei nominati procuratori, mentre l'eventuale carattere congiuntivo del mandato professionale opera soltanto nei rapporti tra la parte ed il singolo procuratore, onerato verso la prima dell'obbligo di informare l'altro o gli altri procuratori. Ne consegue che, ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione di cui all'art. 325 c.p.c., è sufficiente la notifica via PEC della sentenza ad uno solo dei procuratori costituiti (Cass. Sez. Unite, 21 novembre 2022, n. 34260)
La procura speciale è tale riporta ogni elemento utile alla individuazione della controversia. L’art. 40, comma 1, lett. g), del c.p.a. richiede che i ricorsi presentati con l’assistenza di un difensore siano corredati da “procura speciale”. La procura, per poter essere qualificata “speciale”, deve indicare l’oggetto del ricorso, le parti contendenti, l’autorità davanti alla quale il ricorso deve essere proposto e ogni altro elemento utile alla individuazione della controversia. E’ pertanto, invalida, in quanto generica – con conseguente inammissibilità del ricorso giurisdizionale – una procura che contenga la sola delega al difensore per la proposizione di “RICORSO TAR”, senza specificazione degli elementi identificativi della controversia (Cons. Stato, 7 febbraio 2023 n. 1346)
Procura in calce o a margine
Procura speciale apposita a margine o in calce. La procura al difensore apposta a margine o in calce al ricorso per cassazione o anche su un foglio separato ma congiunto materialmente al ricorso, è, per sua natura, speciale e non richiede alcuno specifico riferimento al processo in corso, sicché é irrilevante la mancanza di un espresso richiamo al giudizio di legittimità ovvero che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili al procedimento di merito. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto validamente rilasciata la procura, apposta su foglio separato unito al ricorso, il cui contenuto, seppur formulato genericamente, non si presentava incompatibile con la volontà della parte di conferire mandato ai fini della proposizione del ricorso per cassazione, atteso il richiamo all'art. 373 c.p.c.) (Cassazione civ., 28 marzo 2022, n. 9935)
Contenuto della procura
Discordanza tra atto e procura. Nel caso in cui nell'intestazione di un atto giudiziario sia indicata una determinata persona quale rappresentante legale della società cui l'atto è riferibile e la procura alle liti rilasciata a margine o in calce all'atto stesso risulti invece sottoscritta da un soggetto diverso, la discordanza configura un mero errore materiale che non incide sulla validità dell'atto, qualora si accerti che la procura è stata rilasciata da colui che riveste la qualità di legale rappresentante della società (Cassazione Sezioni Unite, 19 aprile 2022, n. 12445)
La procura alle liti rilasciata per il giudizio di cognizione vale anche per l'esecuzione forzata. La procura rilasciata al difensore per il giudizio di cognizione deve essere intesa non solo come volta al conseguimento del provvedimento giurisdizionale favorevole, attributivo alla parte vittoriosa dal bene oggetto della controversia, ma anche all'attuazione concreta del comando giudiziale, cioè al conseguimento di quel bene attraverso l'esecuzione forzata, quando manchi la spontanea ottemperanza della controparte (Cassazione civile sez. VI, 28/10/2020, n.23753)
Data della procura
Procura conferita con data anteriore alla data del ricorso: La procura conferita in data anteriore alla redazione del ricorso per cassazione e in un luogo diverso da quello indicato nell'atto introduttivo è invalida, perché l'art. 83, comma 3, c.p.c. attribuisce al difensore il potere di certificare l'autografia della sottoscrizione della parte soltanto in relazione alla formazione di uno degli atti in cui si esplica l'attività difensiva, sicché l'autenticazione del procuratore deve essere contestuale all'atto a cui la procura si riferisce. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile un ricorso redatto a Palermo in data 19 maggio 2019, proposto in forza di una procura - comunque priva del requisito di specialità - sottoscritta ed autenticata dal difensore in Catania il 12 aprile 2019) (Cassazione civ., 6 aprile 2022, n. 11240) [Orientamento superato dalle Sezioni Unite: Cass. Civ. Sezioni Unite, 19 gennaio 2024, n. 2075)]
Procura alle liti per ricorso in Cassazione (I). Le Sezioni Unite Civili – pronunciando su questione di massima di particolare importanza e già decisa in senso difforme dalle Sezioni semplici – hanno affermato il seguente principio: «In tema di ricorso per cassazione, il requisito della specialità della procura, di cui agli artt. 83, comma 3, e 365 c.p.c., non richiede la contestualità del relativo conferimento rispetto alla redazione dell’atto cui accede, essendo a tal fine necessario soltanto che essa sia congiunta, materialmente o mediante strumenti informatici, al ricorso e che il conferimento non sia antecedente alla pubblicazione del provvedimento da impugnare e non sia successivo alla notificazione del ricorso stesso». In particolare, le Sezioni Unite – rilevando che «la certificazione da parte dell’avvocato della sottoscrizione del conferente la procura alle liti è intesa non come autenticazione in senso proprio, quale quella effettuata secondo le previsioni dell’art. 2703 c.c. dal notaio o da un altro pubblico ufficiale all’uopo autorizzato, ma come “autenticazione minore” (o “vera di firma”)» e che «ha soltanto una funzione di attestare l’appartenenza della sottoscrizione a una determinata persona, senza che il difensore assuma su di sé, all’atto della autenticazione della firma, l’obbligo di identificazione del soggetto che rilascia il negozio unilaterale di procura» – hanno statuito che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione (ex art. 365 c.p.c.), la procura alle liti, necessariamente conferita nella finestra tra la pubblicazione del provvedimento da impugnare e la notificazione del ricorso, «si considera apposta in calce» al ricorso (come vuole l’art. 83, comma 3, c.p.c.) in forza di una presunzione legale assoluta e anche se rilasciata su foglio separato ed afferente ad atto redatto in modalità analogica, qualora vi sia la «congiunzione materiale» tra la prima e il secondo, cioè «in ragione di una operazione materiale di incorporazione (la “collocazione topografica”) tra due atti che nascono tra loro separati sia temporalmente, che spazialmente e la cui relazione fisica, instaurata dall’avvocato, è requisito necessario, ma anche sufficiente per soddisfare la prescrizione che il difensore stesso sia “munito di procura speciale”» (Cass. Civ. Sezioni Unite, 19 gennaio 2024, n. 2075)
Procura alle liti per ricorso in Cassazione (II). Le Sezioni Unite Civili – pronunciando su questione di massima di particolare importanza attinente alla validità (o meno) di una procura speciale alle liti (art. 83 c.p.c.), rilasciata in modalità analogica, con sottoscrizione autografa della parte, e che presenti un contenuto affatto generico, la cui copia digitalizzata venga utilizzata ai fini della proposizione del ricorso per cassazione (art. 365 c.p.c.) redatto in formato nativo digitale, notificato a mezzo posta elettronica certificata (PEC) e depositato telematicamente – hanno richiamato il principio già espresso da Cass., Sez. U, Sentenza n. 36057 del 09/12/2022, Rv. 666374-01, secondo cui «In tema di procura alle liti, a seguito della riforma dell’art. 83 c.p.c. disposta dalla l. n. 141 del 1997, il requisito della specialità, richiesto dall’art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica, nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all’atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso; tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione, tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall’art. 1367 c.c. e dall’art. 159 c.p.c., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all’atto di produrre i suoi effetti.», e affermato che detto principio, enunciato per il caso di procura in formato analogico congiunta materialmente a ricorso per cassazione anch’esso in formato analogico, si deve «estendere anche alle ulteriori “diverse possibilità di conferimento della procura” contemplate dal terzo comma dell’art. 83 c.p.c. e, dunque, non solo all’ipotesi di procura ‘nativa digitale’ – cioè, redatta su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale -, ma anche al caso, che rileva propriamente in questa sede, di procura ‘digitalizzata’, ossia di procura conferita su supporto cartaceo e che il difensore trasmette in copia informatica autenticata con firma» (Corte Cass., Sezioni Unite, 19 gennaio 2024, n. 2077)
Domiciliatari e procuratori
Domiciliatario. La morte del domiciliatario produce l'inefficacia della dichiarazione di elezione di domicilio e la necessità che la notificazione dell'impugnazione sia eseguita, a norma dell'art. 330, comma 3, c.p.c., alla parte personalmente, salvo che l'elezione di domicilio sia stata fatta presso lo studio di un professionista e l'organizzazione di tale studio gli sopravviva, dovendosi in questo caso considerare tale studio alla stregua di un ufficio; non deve, pertanto, ritenersi inesistente, ma nulla, e quindi sanabile per effetto della costituzione del destinatario, la notifica del ricorso per cassazione effettuata presso l'indirizzo PEC del difensore domiciliatario deceduto, laddove la consegna dell'atto sia avvenuta presso lo stesso studio ove sia domiciliato anche l'altro difensore della parte, determinandosi l'inesistenza, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità (Cassazione civ., 15 aprile 2022, n. 12411)
Nomina nuovo procuratore. Domicilio PEC. Nel caso di nomina di nuovo procuratore con elezione di domicilio presso il suo studio, situato in luogo diverso rispetto a quello ove ha sede l'ufficio giudiziario dinanzi al quale si procede, la notificazione degli atti processuali deve essere effettuata presso l'indirizzo PEC da costui indicato al Consiglio dell'Ordine d'appartenenza, e risultante dal ReGIndE, in virtù di quanto disposto dall'art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. nella l. n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014, conv. con modif. nella l. n. 114 del 2014, restando, pertanto, inefficace la domiciliazione presso il precedente difensore, indipendentemente dal fatto che non sia stata espressamente revocata (Cassazione civ., 22 marzo 2022, n. 9232)
Notifica al procuratore trasferito. La notifica presso il domicilio dichiarato nel giudizio "a quo", che abbia avuto esito negativo perché il procuratore si sia successivamente trasferito altrove, non ha alcun effetto giuridico, dovendo essere effettuata al domicilio reale del procuratore (quale risulta dall'albo, ovvero dagli atti processuali) anche se non vi sia stata rituale comunicazione del trasferimento alla controparte, poiché il dato di riferimento personale prevale su quello topografico, e non sussiste alcun onere del procuratore di provvedere alla comunicazione del cambio di indirizzo, tale onere essendo previsto, infatti, per il domicilio eletto autonomamente, mentre l'elezione operata dalla parte presso lo studio del procuratore ha solo la funzione di indicare la sede dello studio del procuratore, sicché costituisce onere del notificante l'effettuazione di apposite ricerche atte ad individuare il luogo di notificazione (Cassazione civ., 4 marzo 2022, n. 7180)
Notifiche mezzo PECV. Firma dell'atto notificato. Le Sezioni Unite Civili – pronunciando su una questione di massima di particolare importanza – hanno affermato (in continuità con le statuizioni di Sez. U, Sentenza n. 22438 del 24/09/2018, Rv. 650462-03) che, alla luce del principio di effettività della tutela giurisdizionale (a cui si raccorda quello di strumentalità delle forme processuali), il ricorso per cassazione, predisposto in originale in forma di documento informatico e notificato in via telematica, dev’essere ritualmente sottoscritto con firma digitale a pena di nullità dell’atto stesso, a meno che, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, non sia comunque possibile desumere aliunde, da elementi qualificanti, la sua certa paternità (nella specie, sono stati considerati elementi univoci, idonei ad ascrivere la paternità certa dell’atto processuale, la notificazione del ricorso nativo digitale dalla casella p.e.c., censita nel REGINDE, dell’Avvocatura generale dello Stato e il deposito di una sua copia in modalità analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall’avvocato dello Stato) (Cass. sez. Unite, 12 marzo 2024, n. 6477)
Notifica mezzo PEC. Casella piena. Il TAR Milano, appurato che la notifica del ricorso è stata effettuata a casella p.e.c. riportata nel registro INIPEC, ma non è andata a buon fine in quanto è stato generato l'avviso di mancata consegna per esaurimento dello spazio della casella di posta del ricevente, considera la notifica irrituale. Ritiene, quindi, che valorizzando sia le preminenti esigenze di tutela del diritto di difesa connesse all’effettiva conoscibilità degli atti, sia la sussistenza di uno specifico obbligo di diligenza in capo al mittente/notificante (che, con la ricezione della comunicazione di “casella piena”, ben potrebbe, e anzi dovrebbe, attivarsi per provvedere a notificare l’atto con le “modalità ordinarie”), sussista, ai sensi dell’art. 44, comma 4, c.p.a. come rimodulato dalla sent. C. cost. n. 148/21, il dovere del Giudice di fissare al ricorrente un termine perentorio per la rinnovazione della notifica con salvezza di ogni decadenza. Assegna, di conseguenza, un termine al ricorrente per l’esecuzione della rinnovazione della notifica (che potrà essere effettuata nuovamente via p.e.c. qualora vada a buon fine e dovrà, invece, essere rinnovata nelle modalità ordinarie, qualora si generi ancora l'avviso di mancata consegna per esaurimento dello spazio della casella di posta) (TAR Milano, 11 marzo 2024, n. 691)
Parte processuale
Spese di lite a carico delle parti necessarie del giudizio. ll carico delle spese di lite non può essere addossato ad un soggetto nei cui confronti il ricorso sia stato notificato a titolo di mera litis denuntiatio, non assumendo la veste di parte e dunque non configurandosi nei suoi confronti una situazione di soccombenza. È irrilevante la questione di legittimità costituzionale sollevata da una parte che non ha la disponibilità del rapporto processuale in quanto il suo appello deve essere dichiarato inammissibile. (Consiglio di Stato, 11 marzo 2022, n. 1743)
Spese processuali. Difesa di più parti in identica posizione. Si palesa in violazione di legge la liquidazione di un doppio integrale compenso in caso di difesa di più parti aventi identica posizione processuale, e costituite con lo stesso avvocato, essendo dovuto un compenso unico secondo i criteri fissati dagli artt. 4 e 8 d.m. n. 55 del 2014, salva la possibilità di aumento nelle percentuali indicate da detto art. 4 al comma 2, che, nella versione vigente "ratione temporis", prevedeva l'aumento del venti per cento per la seconda parte difesa, senza che rilevi la circostanza che il comune difensore abbia presentato distinti atti difensivi, prefigurandosi per il giudice l'onere di motivare, sia nell'evenienza in cui ritenga di riconoscere l'aumento, sia nell'evenienza contraria (Cassazione civ.,19 gennaio 2022, n. 1650)
Spese di lite. Condanna al versamento degli oneri riflessi. Le spese devono essere regolate facendo applicazione del principio della soccombenza in favore della Provincia di Frosinone; essendo quest’ultima rappresentata e difesa in giudizio da un avvocato dipendente dell’ente vanno riconosciuti in favore dello stesso non solo i compensi professionali ma anche, in luogo di IVA e CPA, gli oneri riflessi, nella misura e sulle voci come per legge (in termini, TAR Latina sez. I, 9 ottobre 2023 n. 693; Cons. Stato, sez. VII, 12 giugno 2023 n. 5754, che sul punto rinvia a Cass. Sez. Unite civili – ordinanza 6 febbraio 2023 n. 3592) nonché l’IRAP; le stesse vengono invece compensate nei confronti del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, costituitosi con atto di mera forma, nonché nei confronti di-OMISSIS-, sussistendone giustificati motivi (TAR Lazio, 8 maggio 2024, n. 333)
Distrazione
Distrazione delle spese. In tema di spese del processo, la dichiarazione scritta di avvenuta anticipazione delle spese di lite, effettuata da entrambi i difensori della parte, è di per sé sufficiente per fondare il diritto alla distrazione delle spese ai sensi dell'art. 93 c.p.c. per tutti i dichiaranti, ciascuno per la propria quota (Cassazione civ. 30 marzo 2022, n. 10236)
Avvocato distrattario non può chiedere sempre l'iva al soccombente. L’Iva è detraibile dal creditore vittorioso e di conseguenza il suo professionista distrattario non può richiederla al debitore soccombente, il quale è tenuto a corrispondere solo l’importo dovuto a titolo di onorari e spese processuali. Il professionista distrattario può chiedere al debitore soccombente solo l’importo relativo agli onorari e alle spese processuali, e non anche quello relativo all’Iva che gli sarebbe dovuta, a titolo di rivalsa, dal proprio cliente abilitato a detrarla. Il creditore può detrarre l’Iva indicata nella fattura del professionista che lo ha assistito: perciò al debitore può essere richiesto solo l’importo dovuto a titolo di onorari e spese processuali, e non anche quello relativo all’Iva. In base ai principi fondamentali in materia fiscale, al debitore può essere addebitata una spesa solo se sussiste il costo corrispondente, e non anche qualora il costo venga recuperato, ad esempio mediante detrazione (Cassazione civ., 21 febbraio 2012, n. 2474)
Compensi
Avvocati pubblici. Diritto al compenso secondo il principio della soccombenza. La Corte Costituzionale ha chiarito che gli avvocati degli enti pubblici “sono da considerarsi nello stesso tempo sia professionisti, sia impiegati, nel senso che, nello svolgimento del loro lavoro professionale hanno garantita una posizione di indipendenza e sono sottoposti al controllo dei Consigli dell'Ordine professionale” (v. Corte Cost. sentenza n. 928/19088). Gli avvocati pubblici, infatti, sono iscritti all’Albo Speciale presso i rispettivi Consigli dell’Ordine e hanno dunque diritto al compenso secondo il principio della soccombenza, Essi, quindi, non perdono né la qualifica di professionisti né il diritto ai compensi, a prescindere dalla quota di retribuzione percepita dall’ente a cui appartengono (Cass. Civ., 10 maggio 2023, n. 12668)
Liquidazione
Appropriazione somme. Violazione del Codice deontologico. L'avvocato che si appropria dell'importo dell'assegno emesso a favore del proprio assistito dalla controparte soccombente in un giudizio civile, omettendo di restituire al cliente le somme di sua pertinenza, al di fuori delle ipotesi tipiche in cui gli è consentito trattenerle, contravviene all'art. 44 del codice deontologico forense vigente "ratione temporis"; né tale violazione deontologica viene meno in presenza dei presupposti della compensazione legale, dal momento che la deontologia forense e le norme civili sulla compensazione riflettono finalità differenti (Cassazione civ., Sezioni Unite, 6 aprile 2022, n. 11168)
Il contributo unificato va sempre rimborsato dal soccombente. Nel giudizio amministrativo, ai sensi dell'art. 13, comma 6-bis.1 del d.P.R. n. 115 del 2002, l'obbligazione di pagamento del contributo unificato è tale "ex lege" per un importo predeterminato e grava "in ogni caso" sulla parte soccombente, essendo sottratta alla potestà del giudice, sia quanto alla possibilità di disporne la compensazione, sia quanto alla determinazione del suo ammontare, tanto da non richiedere alcuna pronuncia in merito da parte del giudice medesimo. Ne consegue che, da un lato, l'obbligazione del rimborso a carico del soccombente non necessita, ai fini della sua ottemperanza, dell'inserimento di una specifica statuizione nella sentenza, e dall'altro, che tale obbligazione grava sulla parte soccombente anche quando questa non si sia costituita, oppure quando essa sia stata esonerata dal corrispondere le spese di lite alla controparte vittoriosa, avendo il giudice disposto la compensazione delle spese del giudizio tra le parti. (In applicazione del suesteso principio, la S.C. ha cassato senza rinvio la sentenza d'appello che aveva disposto in merito ad una domanda di rimborso del contributo unificato versato in un processo amministrativo, rilevando che - dall'esistenza di un titolo esecutivo implicito nella decisione del giudice amministrativo - la domanda di rimborso non poteva essere proposta, per difetto d'interesse) (Cassazione civ., 7 dicembre 2021, n. 38943)
Rimborso del contributo unificato. Qualora il provvedimento giudiziale rechi la condanna alle spese giudiziali e nell’ambito di essa non faccia alcun riferimento alla somma pagata a titolo di contributo unificato dalla parte vittoriosa, la statuizione di condanna (nel regime del d.m. n. 55 del 2014 eventualmente anche recante condanna alle spese documentate diverse da quella del contributo e nel regime anteriore eventualmente recante la liquidazione di una somma per esborsi forfettariamente determinata inidonea a comprendere il contributo) si deve intendere estesa implicitamente, al di là della mancanza formale, anche alla imposizione della restituzione della somma corrisposta per quel titolo, il cui pagamento sarà documentabile anche in sede di esecutiva tramite la documentazione relativa al versamento (Cassazione civile, 10 febbraio 2016, n.2691)
Imposta di registro su atti giudiziari (i). In tema di imposta di registro su atti giudiziari, l'obbligo di motivazione dell'avviso di liquidazione, gravante sull'Amministrazione, è assolto con l'indicazione della data e del numero della sentenza civile o del decreto ingiuntivo, senza necessità di allegazione dell'atto, purché i riferimenti forniti lo rendano agevolmente individuabile, e conseguentemente conoscibile senza la necessità di un'attività di ricerca complessa, realizzandosi in tal caso un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell'azione amministrativa ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (Cassazione civ., 7 aprile 2022, n. 11283)
Imposta di registro su atti giudiziari (ii). In tema di imposta di registro su atti giudiziari, l'avviso di liquidazione deve contenere "ab origine" la chiara esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda, con un grado di determinatezza ed intellegibilità che permetta al contribuente l'esercizio non difficoltoso del proprio diritto di difesa, di talché eventuali lacune non possono essere colmate dall'amministrazione finanziaria con una motivazione postuma, resa nel corso del giudizio di impugnazione (Cassazione civ., 7 aprile 2022, n. 11284)
Imposta di registro iscrizione a debito. Limiti alla solidarietà. Com'è noto, l'art. 59 d.P.R. n. 131 del 1986 ha introdotto una nuova fattispecie, non prevista nella disciplina previgente, tra quelle che legittimano la registrazione a debito. In particolare, alla lettera d) dell'articolo menzionato è prescritta la registrazione a debito delle "sentenze che condannano al risarcimento del danno prodotto da fatti costituenti reato". La Corte costituzionale ha chiaramente evidenziato che la ratio dell'art. 59, lett. d), d.P.R. n. 131 del 1986 non si fonda non su principi di carattere tributario ma su considerazioni etico-morali, avendo il legislatore ritenuto di non dover gravare il danneggiato da reato di ulteriori spese, anche tenendo conto che il recupero del credito, cui di regola si riferisce l'imposta, si appalesa spesso aleatorio (cfr. Corte cost., sentenza n. 414 del 18 luglio 1989). Nei casi in esame, dunque, gli Uffici procedono alla registrazione a debito e, in applicazione dell'art. 60 del medesimo d.P.R., effettuano il recupero dell'imposta prenotata soltanto nei confronti delle parti obbligate al risarcimento, senza che operi il principio di solidarietà di cui al precedente art. 57 dello stesso d.P.R. La Corte costituzionale ha anche aggiunto che, col termine generico di sentenze, l'art. 59, lettera d), d.P.R. cit. si riferisce sia alle sentenze penali sia alle sentenze civili, ben potendo il giudice civile, in caso di estinzione del reato o di mancanza di querela, accertare incidenter tantum la sussistenza del reato al limitato fine della risarcibilità dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c. (v. ancora Corte cost., sentenza n. 414 del 18 luglio 1989). In linea con tale impostazione, la Corte di cassazione ha ribadito che la norma dell'art. 59, lett. d), d.P.R. n. 131 del 1986 si riferisce genericamente alle sentenze di condanna al risarcimento del danno derivante da fatti costituenti reato, aggiungendo che tale relazione deve essere intesa in senso ampio, in modo tale da comprendere tutti quei fatti che possono "astrattamente" configurare ipotesi di reato, non richiedendosi che le sentenze siano pronunziate solo a seguito di un giudizio penale o che si tratti di fattispecie che abbiano dato origine in concreto ad un procedimento penale (così Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5952 del 14/03/2007; v. anche Cass., Sez. 5, Sentenza n. 24096 del 12/11/2014; n. 1296 del 2020). Peraltro, non assume rilievo la circostanza che, in relazione ai fatti suscettibili di costituire reato, accertati dal giudice civile, alcuni dei convenuti siano stati condannati al risarcimento del danno ed altri no (v. ancora Cass., Sez. 5, Sentenza n . 5952 del 14/03/2007). Per determinare la prenotazione a debito, è infatti sufficiente che vi siano fatti obiettivamente rilevanti penalmente. In questo modo si evita che il danneggiato venga chiamato a pagare, in virtù del vincolo di solidarietà, l'imposta di registro e, in applicazione dell'art. 60 d.P.R. n. 131 del 1986, tale imposta potrà poi essere recuperata, ma solo nei confronti dei convenuti che sono stati condannati al risarcimento del danno e non di quelli nei cui confronti la relativa domanda è stata respinta. Ai fini della prenotazione a debito, infatti, ciò che rileva è la oggettiva riconducibilità a fattispecie di reato dei fatti posti a fondamento della domanda risarcitoria e non i titoli di responsabilità che, in relazione agli stessi fatti, siano configurabili (Cass. Civile 7 giugno 2022, n. 18249; cfr anche Cass. Civ 4 luglio 2022, n. 21112)
Parte civile. Se il fatto illecito è considerato dalla legge come reato, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno cagionato dal reato decorre dall'irrevocabilità della sentenza penale, a condizione che vi sia stata costituzione di parte civile (la quale produce un effetto interruttivo permanente della prescrizione per tutta la durata del processo), fermo restando che l'interruzione della prescrizione a fini civilistici può anche avvenire con modalità diverse dalla costituzione di parte civile nel processo penale (Cassazione civ., 6 aprile 2022, n. 11190).
Responsabile civile. La condanna generica dell'imputato al risarcimento del danno in favore del danneggiato costituitosi parte civile spiega effetti pure nei confronti del responsabile civile, indipendentemente dalla partecipazione di quest'ultimo al processo penale, poiché la sua qualità di condebitore solidale (anche ai fini dell'applicabilità dell'art. 1310 c.c.) non dipende dal previo riconoscimento della responsabilità risarcitoria in sede penale, stante la natura di accertamento della esistente situazione di diritto sostanziale insita nella pronuncia giurisdizionale; ne consegue l'applicabilità, nei confronti del responsabile civile, dell'art. 2953 c.c. in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno (Cassazione civ., 29 marzo 2022, n. 10141)
La norma contrattuale
Art. 59 CCNL 2019 - 2021 Patrocinio legale - 1. L’ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile, contabile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assume a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa, ivi inclusi quelli relativi alle fasi preliminari e ai consulenti tecnici, per tutti i gradi di giudizio, facendo assistere il dipendente da un legale, con l’eventuale ausilio di un consulente. 2. Qualora il dipendente, sempre a condizione che non sussista conflitto d’interesse, intenda nominare un legale o un consulente tecnico di sua fiducia in sostituzione di quello messo a disposizione dall’ Ente o a supporto dello stesso, vi deve essere il previo comune gradimento dell’Ente e i relativi oneri sono interamente a carico dell’interessato. Nel caso di conclusione favorevole dei procedimenti di cui al comma 1 e, nell’ambito di un procedimento penale con sentenza definitiva di assoluzione o decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato o perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, l’Ente procede al rimborso delle spese legali e di consulenza nel limite massimo dei costi a suo carico qualora avesse trovato applicazione il comma 1, che comunque, non potrà essere inferiore, relativamente al legale, ai parametri minimi ministeriali forensi. Tale ultima clausola si applica anche nei casi in cui al dipendente non sia stato possibile applicare inizialmente il comma 1 per presunto conflitto di interesse, anche solo potenziale. Resta comunque ferma la possibilità per il dipendente di nominare un proprio legale o consulente tecnico di fiducia, anche senza il previo comune gradimento dell’Ente. In tale ultimo caso, anche ove vi sia la conclusione favorevole del procedimento, i relativi oneri restano interamente a suo carico. 3. L’assistenza di cui ai commi 1 e 2 è garantita altresì per i procedimenti costituenti condizioni di procedibilità nei giudizi di responsabilità. 4. In caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o colpa grave, l’ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni stato e grado del giudizio. 5. La disciplina del presente articolo non si applica ai dipendenti assicurati ai sensi dell’art. 58 (Copertura assicurativa) comma 6 con riferimento alla responsabilità civile. 6. Il presente articolo disapplica e sostituisce l’art. 28 del CCNL del 14.09.2000.
… segue: la ratio:) E’ già stato evidenziato in più pronunce di questa Corte (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. 6.7.2015 n. 13861; Cass. 27.9.2016 n. 18946; Cass. 4.7.2017 n. 16396) che l’obbligo delle amministrazioni pubbliche di farsi carico delle spese necessarie per assicurare la difesa legale al dipendente, pur se espressione della regola civilistica generale di cui all’art. 1720, comma 2, cod. civ., non è incondizionato e non sorge per il solo fatto che il procedimento di responsabilità civile o penale riguardi attività poste in essere nell’adempimento di compiti di ufficio. Infatti il legislatore e le parti collettive, nel porre a carico dell’erario una spesa aggiuntiva, hanno dovuto contemperare le esigenze economiche dei dipendenti coinvolti, per ragioni di servizio, in un procedimento penale con quelle di limitazione degli oneri posti a carico dell’amministrazione. La necessità di realizzare un giusto equilibrio fra detti opposti interessi ha ispirato le diverse discipline dettate per ciascun tipo di rapporto e di giudizio (art. 67 d.P.R. n. 268 del 1987 per i dipendenti degli enti locali; art. 18 del d.l. n. 67 del 1997 applicabile ai dipendenti statali; art. 3 del d.l. n. 543 del 1996 in tema di giudizi di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti; le diverse previsioni dei contratti collettivi del personale pubblico contrattualizzato dettate per ciascun comparto), sicché è stato affermato, e va qui ribadito, che in ragione della specificità e della diversità delle normative, si deve escludere che nel settore del lavoro pubblico costituisca principio generale il diritto incondizionato ed assoluto al rimborso delle spese legali ( Cass. 13.3.2009 n. 6227). Non è, infatti, sufficiente che il dipendente sia stato sottoposto a procedimento per fatti commessi nell’esercizio delle sue funzioni e sia stata accertata l’assenza di responsabilità, dovendo essere di volta in volta verificata anche la ricorrenza delle ulteriori condizioni alle quali è stato subordinato dal legislatore o dalle parti collettive il diritto all’assistenza legale o al rimborso delle spese sostenute (Corte Cass. 31 ottobre 2017, n. 25976)
Il conflitto di interesse
Sul conflitto di interessi (costituzione di parte civile).“Per quanto riguarda l’assenza di un conflitto di interesse fra un dipendente e l’ente locale, in relazione al procedimento promosso nei suoi confronti, giova osservare che tale conflitto è, in certi casi, ovvio e immeditamente individuabile, come, ad esempio, nell’ipotesi in cui il dipendente è inquisito per reati contro il patrimonio a danno dell’ente locale. In altri casi, però, l’esistenza di un conflitto di interessi è meno agevolmente definibile. Non può, del resto, essere accolta una nozione così larga di tale concetto, per cui esso sarebbe presente in tutti i casi in cui, nei confronti di un dipendente di un ente locale, sia promosso un procedimento penale per attività svolte nell’adempimento delle sue funzioni. Altrimenti la normativa citata non potrebbe mai trovare applicazione nel caso di procedimenti penali” (Corte di Conti, Abruzzo, 6 ottobre 2004, n. 749). Non può essere riconosciuto il diritto del dipendente al rimborso delle spese legali sostenute, allorquando, per fatti non riferibili alla tutela dei diritti e degli interessi dell’amministrazione, quest’ultima si sia costituita parte civile nei confronti del dipendente e abbia assunto una iniziativa disciplinare, indipendentemente da ogni valutazione attinente l’esito del procedimento penale e l’accertamento della responsabilità disciplinare del dipendente, essendo del tutto evidente, in tali ipotesi, il conflitto di interessi tra l’ente e il dipendente (Cass. Civ., Lav., 17 settembre 2002, n. 13624). Le pretese fatte vale dal Comune nel procedimento penale e nel giudizio contabile (si trattava di imputazione per peculato), postulano oggettivamente l’esistenza di un conflitto di interessi tra le parti, escludendo nello stesso tempo che la difesa del dipendente possa essere in qualche modo riferita alla tutela di diritti ed interessi dell’amministrazione. Il rilievo è decisivo e di per sé sufficiente, indipendentemente da ogni valutazione attinente all’esito del procedimento penale ed all’accertamento della responsabilità contabile del dipendente (Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2006, n. 5986) L’art. 67 (ora 28) “rimette alla valutazione discrezionale ex ante dell’ente locale – con specifico riferimento all’assenza di conflitto di interessi – la scelta di far assistere il dipendente da un legale di comune gradimento” (Cons. Stato, 16 gennaio 2006, n. 72). Il Tribunale di Catanzaro giunge a sostenere che quando l’ente è parte offesa nel giudizio penale, anche se non si è costituito parte civile, ricorre l’ipotesi di conflitto di interessi che esclude la possibilità della richiesta di accollo alle casse comunali delle relative spese legali sostenute da un suo amministratore (Tribunale di Catanzaro, 12 gennaio 2003). Secondo la Corte dei Conti pugliese “l’accertamento della sussistenza del contrasto della condotta del dipendente con gli interessi dell’ente locale va compiuta necessariamente ex post, valutando le conclusioni cui – nel caso concreto – è pervenuta l’autorità giudiziaria” (cfr., ex multis, sez. Sardegna, 361/91)” (Corte dei Conti, Puglia, 22 settembre 2002, n.676)
Chi valuta il conflitto di interessi con l’Ente. Rientra nelle competenze dell’organo politico la valutazione ex ante dell’assenza di conflitto di interessi (Corte di Conti, Abruzzo, 22 marzo 2005, n. 274). “La valutazione dell’esistenza o meno del conflitto d’interesse spetta all’organo politico che decide di assumere a suo carico le spese legali di cui si discute … Non spetta al funzionario tenuto all’esecuzione della delibera, una volta accertata la sua esistenza e la sua regolarità formale, sostituirsi alla valutazione di merito dell’organo politico, a meno che nella circostanza emergano palesi violazioni della normativa che disciplina la materia, per cui il dipendente chiamato a darvi esecuzione è pur sempre tenuto, in base ai doveri generali derivanti dal suo status, a richiamare l’attenzione dell’organo politico perché valuti se la delibera di assunzione delle spese legali non abbia più fondamento ed eventualmente provveda ad annullarla o revocarla” (Corte di Conti, Abruzzo, 6 ottobre 2004, n. 749)
Il legale di comune gradimento
Il legale di comune gradimento. “Va preventivamente sgombrato il campo dall’obiezione che [il] ruolo preventivo dell’amministrazione (specificamente sotto il profilo della scelta di un legale di comune gradimento) sarebbe incompatibile con il principio della libertà di scelta del professionista da parte dell’imputato. L’interessato ha certamente facoltà di ricorrere a un legale di sua esclusiva fiducia, ma in tal caso non ha diritto di essere tenuto indenne dalle spese che la rinuncia a “farsi assistere” dall’ente comporta.” (Corte dei Conti, sez. gir., Abruzzo, 17 maggio 2004, n. 428; Corte dei Conti, giur., Abruzzo, 29 novembre 1999, n. 1122). Il funzionario o amministratore ha diritto ad essere difeso a spese dell’amministrazione da un legale da essa incaricato, ma non di ottenere il rimborso delle spese sostenute a procedimento concluso per l’incarico ad un legale individuato autonomamente dall’interessato (Corte dei Conti, Lombardia, 8 giugno 2002, n. 1257). E’ necessario, “ai fini del rimborso, che l’ente sia, fin dall’inizio, partecipe delle decisioni inerenti al patrocinio atteso che, in caso diverso, si priverebbe di significato la previsione normativa volta a tutelare diritti ed interessi che sono comuni ad entrambe le parti” (Cons. Stato, 12 febbraio 2007, n. 552). Del resto, l’onere della scelta di un legale di comune gradimento appare del tutto coerente con le finalità della norma perché, se il dipendente vuole che l’amministrazione lo tenga indenne dalle spese legali sostenute per ragioni di servizio, appare logico che il legale chiamato a tutelare tali interessi, che non sono esclusivi del dipendente ma coinvolgono anche quelli dell’ente di appartenenza, debba essere scelto preventivamente e concordemente tra le parti (Cons . Stato, 12 febbraio 2007, n. 552) In particolare, con riferimento alla questione se ed entro quali limiti sia ammissibile la rimborsabilità delle spese legali a posteriori, cioè nel caso in cui la richiesta del dipendente sia stata avanzata a procedimento concluso anziché sin dall’apertura del procedimento, e specificamente nell’ipotesi in cui il dipendente abbia omesso di sottoporre la scelta del difensore alla condivisione da parte dell’Ente, va rilevato che il dato testuale dell’articolo 67 del D.P.R. n. 268/87 (ed anche dell’art. 28 del CCNL), fa riferimento espresso alla necessità che il legale, che assumerà la difesa del dipendente con relativo onere a carico dell’Ente locale, sia “di comune gradimento”.Ciò risulta coerente con la ratio della norma, che, come sopra si è messo in luce, vuole escludere ogni automatismo nell’accollo delle spese legali in capo all’Ente e valorizzare, al contrario, la valutazione dell’Amministrazione anche in ordine all’incarico fiduciario del legale (che comporta la correlativa condivisione della strategia difensiva), proprio perché gli interessi in gioco da tutelare non sono esclusivi del dipendente ma coinvolgono anche l’Ente di appartenenza (cfr. in tal senso C.d.S., Sez. V, 12 febbraio 2007, n. 552) (Corte dei Conti, controllo, Lombardia, parere n. 1000/09)
La connessione
La connessione con l'espletamento del servizio. La finalità dell'art. 18, d.l. n. 67 del 1997 risulta essere quella di dare seguito all’esigenza di sollevare i funzionari pubblici dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all’espletamento del servizio e tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome e per conto, oltre che nell'interesse, dell’Amministrazione, delle spese legali affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi all’esple-tamento dei loro compiti istituzionali, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di appartenenza. Per ottenere il beneficio in questione non basta, dunque, il favorevole esito del procedimento giudiziario, occorrendo altresì, come secondo e fondamentale presupposto, che il procedimento ai danni dell’interessato sia stato promosso "in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali". Non è quindi sufficiente che lo svolgimento del servizio costituisca mera "occasione" per il compimento degli atti che danno origine, poi, al procedimento di responsabilità. Il giudizio di responsabilità, infatti, deve considerarsi promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali solo nei casi in cui l’imputazione riguardi un’attività svolta in diretta connessione con i fini dell’ente, e quindi in comunione di interessi con l’ente medesimo (CGA 19 aprile 2011, n. 316)
Il rimborso ex post
Il “rimborso” ex post.E’ stato ammesso in sede gl rapporto di servizio), debitamente documentata e motivata purché non si riscontri conflitto di interessi (Corte dei Conti, Sardegna, parere n.2/06).L’art. 67 (ora 28) non consente il rimborso a posteriori (Corte dei Conti, sez. gir., Abruzzo, 17 maggio 2004, n. 428; Corte dei Conti, giur., Abruzzo, 29 novembre 1999, n. 1122). Il divieto di rimborsare a posteriori le spese di legali “risulta chiaramente dal testo della norma. La disposizione di cui al numero 2) (secondo comma) non avrebbe senso altrimenti, giacché se il meccanismo fosse quello del rimborso, in caso di condanna l’amministrazione non dovrebbe recuperare nulla, non avendo sostenuto oneri. Si aggiunga che l’espressione “fare assistere” non può che indicare una valutazione e un ruolo preventivo da parte dell’Amministrazione (cfr. TAR Lombardia, n.799 del 12.6.1996). A quest’ultimo proposito va preventivamente sgombrato il campo dall’obiezione che tale ruolo preventivo dell’amministrazione (specificamente sotto il profilo della scelta di un legale di comune gradimento) sarebbe incompatibile con il principio della libertà di scelta del professionista da parte dell’imputato. L’interessato ha certamente facoltà di ricorrere a un legale di sua esclusiva fiducia, ma in tal caso non ha diritto di essere tenuto indenne dalle spese che la rinuncia a “farsi assistere” dall’ente comporta.” (Corte dei Conti, sez. gir., Abruzzo, 17 maggio 2004, n. 428; Corte dei Conti, giur., Abruzzo, 29 novembre 1999, n. 1122; cfr. Corte dei Conti, Abruzzo, 13 gennaio 2005, n.56). Sempre a sostegno della tesi sul divieto di rimborso a posteriori (anche in caso di assoluzione) si osserva che “la norma prevede l’onere a carico dell’ente “anche a tutela dei propri diritti e interessi”. Ora questa precisazione deve interpretarsi nel senso che l’amministrazione, nell’accollarsi un onere, (si intende, come ovvio, sempreché non vi sia conflitto con l’ente, secondo quanto prevedono le norme) si deve far carico che la vicenda processuale non abbia esiti che possano ripercuotersi negativamente sui suoi interessi o sulla sua immagine pubblica. Ciò trova per l’appunto conferma nell’inciso che stabilisce che il legale deve essere di “comune gradimento” (Corte dei Conti, sez. gir., Abruzzo, 17 maggio 2004, n. 428).
Diritto soggettivo
Diritto soggettivo o interesse legittimo?Per quanto riguarda i funzionari onorari del comune, in mancanza di una disposizione specifica che regoli i rapporti patrimoniali con l’ente rappresentato, la pretesa di rimborso delle spese processuali non può che essere esercitata, ammesso che esista una lacuna normativa ai sensi dell’art. 12, secondo comma, disp. Cod. civ., in base ad una disposizione di legge da applicare in via analogica e non può che assumere la consistenza del diritto soggettivo perfetto (Cass., sez. Unite, 10 gennaio 2006, n. 478; cfr anche TAR Friuli Venezia Giulia – Trieste, 11 gennaio 2007, n. 43; cfr. TAR Piemonte, 30 gennaio 2007, n. 480). La posizione dell’impiegato che rivendica il rimborso delle spese legali relative a giudizi di responsabilità civile, penale e amministrativa per fatti inerenti all’esercizio delle funzioni attribuitegli ha natura di diritto soggettivo in quanto condizionata dalla ricorrenza di puntuali condizioni, normativamente previste (TAR Campania, 20 luglio 2008, n. 9616;Consiglio di Stato, sez. IV - sentenza 11 aprile 2007 n. 1681).
La giurisdizione. Nei casi concernentiil rimborso di spese legali sostenute a causa di fatti connessi allo svolgimento di pubbliche funzioni, quando le pretese sono esercitate da persone legate alla pubblica amministrazione da un rapporto di pubblico impiego la giurisdizione appartiene al giudice del pubblico impiego (ordinario o amministrativo) (Cass., sez. Unite, 10 gennaio 2006, n. 478; Cons. Stato, 7 novembre 2007, n. 5786). La pretesa del dipendente di un ente locale al rimborso delle spese legali sostenute per la difesa nel processo penale che lo ha visto come imputato, alla stregua dell’art. 67 del D.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, sorge nel momento in cui il procedimento penale ha avuto inizio e le spese legali sono concretamente sostenute, mentre l'esito del giudizio penale, con un giudicato di proscioglimento successivo al 30 giugno 1998, non incide nell'individuazione del giudice fornito di giurisdizione (Cass. civ., sez. Unite, 29 maggio 2009 n. 12719). Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui il procedimento, per la cui assistenza si chiede la garanzia ex art. 67 D.P.R. n. 268 del 1987, ha avuto inizio in un tempo anteriore rispetto alla data del 30 giugno 1998 (termine che assume rilievo ai fini del riparto di giurisdizione ai sensi dell’ art. 45, comma 17, D.Lgs. n. 80 del 1998, ed ora dell’art. 69, comma 7, D.Lgs. n. 165 del 2001), non potendo influire in alcun modo in senso contrario la circostanza che il dipendente agisca non per ottenere l'assunzione diretta del patrocinio, bensì per il pagamento delle spese richieste dal proprio difensore all'esito del procedimento penale. Ed invero il fatto materiale posto a base della domanda ex art. 67, D.P.R. n. 268 del 1987, e fondativo del beneficio in detta disposizione previsto è costituito dall'apertura di un procedimento contro il dipendente per fatti ed atti connessi all'espletamento del servizio per essere proprio tale momento quello che determina l'obbligo dell'amministrazione di sostenere "ogni onere di difesa" conseguente a detto procedimento (Cass. civ., sez. Unite, 29 maggio 2009 n. 12719). La pretesa del dipendente di un ente pubblico locale al rimborso delle spese legali sostenute per la difesa nel processo penale che lo abbia visto come imputato (pretesa che ha la consistenza di un diritto soggettivo in quanto condizionato alla ricorrenza di puntuali condizioni, normativamente scolpite: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1681) sorge nel momento in cui il procedimento penale ha avuto inizio e le spese legali sono in concreto maturate (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 02/02/2018, n.313; in tal senso anche T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 13/06/2022, n.420; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 28 febbraio 2014, n. 505) (TAR Milano, 4 settembre 2024, n. 2369). Come posto in luce dalla giurisprudenza prevalente, (ex multis, Cass. S.U. 20 maggio 2014 n. 11027, 24 marzo 2010, n. 6996 e 13 febbraio 2008, n. 3413; Consiglio di Stato, sez. V, 10 agosto 2010, n. 5557, sez. IV, 24 dicembre 2009, 8750; TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, 19 febbraio 2015, n. 79; TAR Lazio, Roma, sez. II, 4 novembre 2013, n. 9368; TAR Piemonte, sez. II, 6 agosto 2013, n. 952; TAR Lazio, Latina, n 15 novembre 2007, n. 1232; TAR Veneto, sez. III, 19 luglio 2006, n. 2051), in caso di questione concernente il diritto al rimborso di spese legali sostenute a causa di fatti connessi allo svolgimento di pubbliche funzioni, la giurisdizione appartiene al Giudice Ordinario, quale Giudice del lavoro (TAR Lazio, 11 gennaio 2018, n. 5)
La formula assolutoria nel giudizio penale
La formula assolutoria.Per ottenere da parte dell’ente locale il rimborso delle spese legali sostenute nel corso di un procedimento penale, è condizione necessaria che sia stata riconosciuta l’assenza del dolo o della colpa grave e che il procedimento giudiziario si sia concluso con una sentenza di assoluzione con formula piena per il pubblico amministratore e non con una sentenza di intervenuta prescrizione (Corte dei Conti, sez. giu., Abruzzo, 17 maggio 2004, n. 428; Corte dei Conti, sez. giur., Abruzzo, 49/2004). Va infine aggiunto che “l’articolo 67 del DPR 26/87 contiene una formula più favorevole nei confronti del dipendente o amministratore locale, laddove prevede che l’amministrazione non recuperi le spese non solo nel caso in cui lo stesso ha dimostrato di non aver agito per dolo o colpa grave, ma anche nel caso in cui non ci sia condanna che invece affermi che tale dolo o colpa grave ci sono stati (le conseguenze in un caso come quello dell’assoluzione per estinzione del reato sono evidenti)” (Corte di Conti, Abruzzo, 1 febbraio 2005, n. 129). La giurisprudenza prevalente della Corte dei conti ammette, ai fini del rimborso, l’assoluzione perché “il fatto non sussiste” e “l’imputato non lo ha commesso”, escludendo quelle perché “il fatto non costituisce reato” e “non è previsto dalla legge come reato” oltre a quelle, con dispositivo dubitativo (prescrizione e art. 530, secondo comma). L’ente locale deve procedere preliminarmente all’accertamento materiale e in concreto dell’assenza di conflitto di interessi fra l’ente stesso e il dipendente (Corte dei Conti, Sardegna, parere n.2/06). Va precisato che presupposto per il rimborso delle spese legali sostenute in un giudizio penale da un amministratore comunale è, oltre all’assoluzione con formula “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”, la stretta inerenza dell’imputazione penale, per la quale vi è stato il rinvio a giudizio, all’esercizio delle funzioni di amministratore, avvenuta attraverso lo svolgimento di un’attività lecita e non in contrasto con gli interessi dell’ente (motivo per il quale non sembra sufficiente un’assoluzione con formula piena “perché il fatto non costituisce rato”, ben potendo detto fatto costituire illecito di altra natura) (Corte dei Conti, controllo, Lombardia, del. 20/07)
Responsabilità erariale
Responsabilità amministrativa (danno erariale). Sussiste la responsabilità amministrativa di coloro che hanno disposto il rimborso delle spese legali in favore di un amministratore che è stato assolto in sede penale per intervenuta prescrizione (Corte dei Conti, sez. gir., Abruzzo, 17 maggio 2004, n. 428
Parere alla Corte dei Conti
Parere ai sensi dell’art.7, comma 8, legge 131/03 – Funzione consultiva della Corte dei Conti. La Sezione autonomie “ritiene che, ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge n.131del 2003, le richieste di parere legate alla rimborsabilità delle spese legali sostenute da amministratori e dipendenti pubblici debbano ritenersi estranee alla materia della contabilità pubblica e, pertanto, non possano essere dichiarate oggettivamente ammissibili” (Corte dei Conti, sez. autonomie, 17 febbraio 2006, n. 5; cfr, Corte dei Conti, Controllo Veneto, 20 luglio 2006, del. n. 11)
Spese di lite. In base alla disciplina dettata dagli artt. 8 e ss. del d.P.R. 1199 del 1971, elemento strutturale del ricorso straordinario è la sua gratuità in senso bidirezionale, ovvero nella misura in cui nessuna parte è tenuta al pagamento delle spese di giudizio in caso di soccombenza, né quella pubblica né quella privata (Cons. Stato, I, 12 febbraio 2024, n. 135; conformi: Cons. Stato, sez. I, parere 2021, n. 118)
Contributo unificato. Il soggetto passivo del contributo unificato, anche nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, è la parte soccombente e non la parte che lo ha meramente anticipato. Invero, il contributo unificato dà luogo ad una obbligazione ex lege - di importo predeterminato - la cui prestazione pecuniaria è dovuta anche nel silenzio della decisione sul punto, tanto che deve essere in ogni caso automaticamente rimborsata dal soccombente al vincitore che l’abbia dovuta anticipare (Cons. Stato, I, 12 febbraio 2024, n. 135; Precedenti conformi: sulla natura del contributo unificato: Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2017, n. 5596; Cass. civ., sez. VI, 23 settembre 2015, n. 18828; Cons. Stato, sez. III, 30 gennaio 2015, n. 453; Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 2014, n. 3153; Cons. Stato, sez. IV, 10 febbraio 2014, n. 625).
Trasposizione. L’articolo 8 del d.P.R. n. 1199 del 1971 estende, in nome dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, la facoltà di proporre opposizione al ricorso straordinario a chiunque sia stato evocato col ricorso de quo, ivi compresa l’amministrazione statale. L’istituto dell’opposizione rappresenta, infatti, lo strumento di ciascuna parte per adire il giudice precostituito per legge, in quanto il ricorso straordinario, rimedio alternativo a quello giurisdizionale, presuppone una concorde volontà di tutte le parti all’utilizzo di tale rimedio (Consiglio di Stato,13 marzo 2024, n. 2454).
Nulla la decisione sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica pronunciata in violazione del principio di alternatività. L’Adunanza plenaria si pronuncia sulla questione della sorte del decreto decisorio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nell’ipotesi in cui, in violazione del principio di alternatività di cui all’art. 8 del d.P.R. n. 1199 del 1971, il procedimento straordinario sia pervenuto erroneamente a definizione nonostante la sua rituale trasposizione ai sensi dell’art. 10 del medesimo d.P.R. In particolare si osserva che la decisione resa sul ricorso straordinario deve essere considerata nulla ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 perché resa in astratta e totale carenza di potere. Nell’occasione la plenaria ricostruisce l’istituto del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, concludendo che esso debba essere considerato come rimedio giustiziale, di tipo amministrativo, alternativo a quello giurisdizionale (Cons. Stato, Adunanza plenaria, 7 maggio 2024, n. 11)
Domanda riconvenzionale dell’opposto. In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, il convenuto opposto può proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l'opponente non abbia proposto una domanda o un'eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta, ciò rispondendo a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo e dovendosi riconoscere all'opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all'attore formale e sostanziale dall'art. 183 c.p.c. (Cassazione civ., 24 marzo 2022, n. 9633)
Prove indiziarie. In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell'art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni "gravi, precise e concordanti", laddove il requisito della "precisione" è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della "gravità" al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della "concordanza", richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola – desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un'analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell'inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cassazione civ., 21 marzo 2022, n. 9054)
Testimonianza. Limite di valore. In tema di prova testimoniale, ove il giudice di merito ritenga di non poter derogare al limite di valore previsto, per essa, dall'art. 2721 cod. civ., non è tenuto a esporre le ragioni della pronunzia di rigetto dell'istanza di prova, trattandosi di mantenere quest'ultima entro il suo fisiologico limite di ammissibilità (Cassazione civ., 14 marzo 2022, n. 8181)
Iura novit curia e disposizioni regolamentari. Nel caso in cui siano dedotti vizi relativi a regolamenti comunali, è necessario che le disposizioni rilevanti siano trascritte o allegate, in quanto per le norme giuridiche di rango secondario non opera il principio "iura novit curia", ad eccezione dei regolamenti comunali edilizi che, in quanto disciplinanti le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, sono integrativi del codice civile ed hanno, pertanto, valore di norme giuridiche, sicché spetta al giudice acquisirne conoscenza d'ufficio, quando la loro violazione sia dedotta dalla parte (Cassazione civ., 9 marzo 2022, n. 7715)
Disconoscimento. In caso di disconoscimento della sottoscrizione di scrittura privata prodotta in copia, la proposizione dell'istanza di verificazione non impedisce di far valere, dopo l'acquisizione in giudizio dell'originale del documento, il mancato rispetto dell'onere di reiterare il disconoscimento con riferimento all'originale, non potendosi configurare una rinuncia tacita ad eccepire una decadenza prima che questa si sia verificata. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nel quale l'opponente aveva disconosciuto la copia del documento, aveva ritenuto fondata, indipendentemente dalla precedente istanza di verificazione, l'eccezione di decadenza sollevata dall'opposto con la memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. e, cioè, dopo la produzione, con la comparsa di costituzione, dell'originale della scrittura privata già disconosciuta in copia e la mancata reiterazione del disconoscimento entro la prima udienza di trattazione, momento in cui si era verificata la predetta decadenza) (Cassazione civ., 7 marzo 2022, n. 7340)
Errore. In tema di ricorso per cassazione, mentre l'errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito - e che investe l'apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa (o meno) del fatto che si intende provare - non è mai sindacabile nel giudizio di legittimità, l'errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per violazione dell'art. 115 del medesimo codice, il quale vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile il motivo con cui si contestava l'oggettivo travisamento, a causa di un errore percettivo, del contenuto di una missiva, alla quale la Corte d'appello aveva attribuito una valenza confessoria circa il riconoscimento di pretesi difetti di beni che, in realtà, non erano mai stati consegnati all'acquirente) (Cassazione civ., 4 marzo 2022, n. 7187)
Al giudice ordinario il risarcimento del danno da lesione dell’affidamento. Le sezioni unite hanno ribadito l’orientamento secondo cui ai fini della configurabilità dell'illecito, non è sufficiente la mera constatazione dell'illegittimità del provvedimento amministrativo, ma è necessario un quid pluris, rappresentato dalla delusione dell'aspettativa di coerenza e non contraddittorietà riposta dal privato nel comportamento dell'Amministrazione, e fondata sul rispetto dei doveri di correttezza e buona fede sulla stessa gravanti nei rapporti con i destinatari dell'azione amministrativa, la cui inosservanza dà luogo, indipendentemente dall'annullamento dell'atto in autotutela o in sede giurisdizionale, ad una responsabilità che non è qualificabile né come extracontrattuale né come contrattuale in senso proprio, configurandosi piuttosto, come una responsabilità di tipo relazionale o da contatto sociale qualificato (cfr. Cass. civ., sez. un., 28 aprile 2020, n. 8236). Secondo le sezioni unite la controversia appartiene alla giurisdizione ordinaria in caso di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento e non può essere esclusa in virtù della mera circostanza, fatta valere dall'Amministrazione, che il pregiudizio del quale la società attrice ha chiesto il ristoro sia ricollegabile, nella specie, ad un'attività di trasformazione urbana posta in essere in esecuzione di un progetto urbanistico approvato dalla Giunta municipale e successivamente annullato dal Giudice amministrativo: a sostegno della domanda, l'attrice non ha infatti allegato l'illegittimità dell'atto amministrativo, il cui annullamento si pone come un mero antecedente storico della pretesa da essa avanzata, né la riconducibilità del danno al provvedimento annullato, avente anzi portata ampliativa della sua sfera giuridica, bensì la scorrettezza della condotta asseritamente tenuta dall'Amministrazione comunale, la quale, nonostante l'impugnazione del provvedimento da parte di terzi, ha insistito per l'attuazione dell'intervento programmato e fornito assicurazioni in ordine alla legittimità dello stesso, escludendo la necessità di approfondimenti istruttori e suscitando in tal modo un affidamento incolpevole, la cui lesione costituisce quindi il vero fondamento della pretesa risarcitoria (le sezioni unite hanno confermato conferma la sentenza della Corte d’appello di Milano, sez. II, 7 luglio 2020, n. 1687) (Cassazione, sezioni unite,19 gennaio 2023, n. 15)
La natura della responsabilità civile della PA. La responsabilità della pubblica amministrazione da illegittimo esercizio della funzione pubblicistica è di natura extracontrattuale, non potendo, infatti, configurarsi un rapporto obbligatorio nell’ambito di un procedimento amministrativo in quanto: nel procedimento amministrativo, a differenza del rapporto obbligatorio, sussistono due situazioni attive, cioè il potere della p.a. e l’interesse legittimo del privato; il rapporto tra le parti non è paritario, ma di supremazia dell’amministrazione. Il risarcimento può essere riconosciuto se l'esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest'ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia interessi legittimi oppositivi e pretensivi ed alla luce di una loro dimensione sostanzialistica (Consiglio di Stato, sez. VII, 27 marzo 2023, n. 3094).
Risarcimento del danno da ritardo. Il risarcimento del danno da ritardo ex art. 2-bis della L. n. 241/90 può essere richiesto solamente da chi sia entrato in rapporto diretto con l'Amministrazione quale portatore di un interesse differenziato, da essa valutabile. Come affermato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n.7/2021, "la mancata sollecitazione del potere di avocazione previsto dall'art. 2, commi 9-bis e seguenti, L. n. 241/90 - così come la mancata proposizione di ricorsi giurisdizionali - non ha rilievo come presupposto processuale dell'azione risarcitoria ex art. 2-bis della medesima legge, la quale, al pari dell'azione risarcitoria per illegittimità provvedimentale, è ormai svincolata da ogni forma di pregiudiziale amministrativa". La condotta attiva del privato può invece assumere rilievo come fattore di mitigazione o anche di esclusione del risarcimento del danno ai sensi dell'art. 30, comma 3, secondo periodo, c.p.a., laddove si accerti "che le condotte attive trascurate avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno" (così la sentenza dell'Adunanza plenaria 23 marzo 2011, n. 3). (Consiglio di Stato, sezione III, 31 ottobre 2022, n. 9421).
Esternalizzazione. Limiti. Gli affidamenti esterni, quale modus operandi del tutto eccezionale e specificamente circoscritto, possono giustificarsi soltanto in presenza dei presupposti, condizioni, procedure e limiti puntualmente individuati dal Legislatore, dei quali l’Amministrazione è tenuta a dare specifico conto nella motivazione del provvedimento che stabilisce il ricorso a tale modalità di affidamento di funzioni pubbliche. Si pensi ai requisiti della “assenza di professionalità analoghe presenti all'interno dell'ente” (art. 110, c. 2, T.U.E.L.) e della “impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno” (art. 7, c. 6, D. Lgs. 30 marzo 2001 n. 165). Inoltre, la questione afferisce al tema della “esternalizzabilità” delle funzioni del responsabile del servizio finanziario: esso postula implicitamente la riconducibilità delle attività in esame alla - antica ma sempre valida - distinzione tra le nozioni di “funzione” e quella di “servizio”, “essendo la prima essenzialmente diretta all'esplicazione in pubbliche potestà e risolvendosi l’attività esplicata dagli uffici destinati all’esercizio di servizi precipuamente in attività di ordine tecnico o materiale” (cfr. Tar Lazio, sent. n. 1512 del 30 settembre 1997). La distinzione tra i servizi pubblici e le pubbliche funzioni - presa in considerazione dalla giurisprudenza anche di questa Corte (ex multis, Corte conti, Sez. contr. Lombardia, delib. n. 627/2011/PAR; Sez. contr. Lazio, delib. n. 15/2011/PAR; Sez. contr. Piemonte, n. 47/2011/PAR) - è peraltro nota anche alla legislazione sulle autonomie locali che, in varie disposizioni della legge stessa, ha fatto più volte uso sia del termine funzioni che di quello di servizi (in termini, cfr. Tar Lazio, sent. n. 1512 del 30 settembre 1997). La ratio è chiara: ove per l’espletamento di un determinato servizio si possa attingere al mercato attraverso il ricorso a professionisti esterni con possibili aggravi di costi per il bilancio, l’amministrazione può e deve effettuare una valutazione sull’economicità della spesa affidando il servizio a risorse interne e compensandole in modo specifico, escludendo, nel contempo, che le risorse siano potenzialmente destinabili alla generalità dei dipendenti dell’ente attraverso lo svolgimento della contrattazione integrativa (Corte dei conti, SS.RR.QM n. 51/CONTR/2011). […] In altri termini, la riconduzione di un ambito materiale di competenza comunale alle modalità di un’azione amministrativa di stampo autoritativo che sfocia in provvedimenti (come, ad esempio, le determinazioni di impegno di spesa, su cui cfr. questa Sezione, delib. n. 114/2022/PRSP) induce a ritenere che si tratti di una vera e propria funzione, non surrogabile, né tanto meno “esternalizzabile”. Ne consegue che l’ente locale non può far ricorso all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo svolgimento di funzioni pubbliche tipiche dell’organizzazione comunale, come quella di responsabile del servizio finanziario, che deve, invece, necessariamente essere attribuita a personale che dovrebbe essere previsto in organico, in quanto costitutiva dell’organizzazione dell’ente comunale. Diversamente si ricadrebbe, per le ragioni dette, in una non consentita surrettizia forma di esternalizzazione, con ulteriore conseguente elusione delle disposizioni in materia di accesso all’impiego nelle pubbliche amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di personale (Corte Conti Emilia-Romagna, controllo, 12 settembre 2023, n. 124)
Diffamazione. Satira. Limiti. La satira - estrinsecazione del diritto di critica attraverso l'enfatizzazione e la deformazione della realtà - è sottratta al requisito di verità, in quanto esprime un giudizio ironico su un fatto con l'inverosimiglianza e l'iperbole e anche attraverso l'uso di espressioni o immagini lesive dell'altrui reputazione, pur rimanendo assoggettata al limite della continenza e della funzionalità al perseguito scopo di denuncia sociale o politica, da valutare in relazione alla rilevanza dell'interesse del pubblico all'esposizione del fatto con tale forma ovvero alla dimensione pubblica della vicenda o alla notorietà delle persone colpite. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che - nel ritenere diffamatoria la pubblicazione di una fotografia, con relativa didascalia, di una persona a corredo di un articolo satirico riguardante la vicenda giudiziaria penale di un ex Presidente del Consiglio dei ministri, notissimo uomo politico e imprenditore, all'indomani della sua assoluzione in appello - aveva omesso ogni esame del contesto socio-culturale in cui si inseriva l'articolo satirico e delle reazioni dell'opinione pubblica alla notizia dell'assoluzione) (Corte Cassazione, 14 marzo 2024, n. 6960)
Diffamazione. La Sezione Prima civile, in tema di responsabilità da diffamazione a mezzo stampa, ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza - sulla quale ha dato atto della sussistenza di un contrasto nella giurisprudenza civile e penale - concernente il rilievo da assegnare, ai fini della ricorrenza della diffamazione o della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, alla circostanza che al soggetto che si assume leso dall’articolo di stampa sia stata attribuita, direttamente o indirettamente (anche mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche) la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato (Corte Cass, 6 maggio 2024, n. 12239)