Atti e provvedimenti
Rassegna di giurisprudenza in merito agli atti e provvedimenti

Accordi di cooperazione tra stazioni appaltanti (art. 7 d.lgs 36/23)
L'importo scambiato tra amministrazione rappresenta un indicatore attendibile della non corrispondenza della cooperazione unicamente all'interesse pubblico. E’ stato condivisibilmente evidenziato che, affinchè si abbia una effettiva cooperazione tra pubbliche amministrazioni, sono necessarie la previa definizione delle reciproche esigenze, l’individuazione di soluzioni concordate e la suddivisione di compiti e di responsabilità tra le stesse, così che le attività in sinergia convergano nella realizzazione di un obiettivo comune. Nel caso di specie le somme che la Regione Umbria si era impegnata a corrispondere annualmente ad ACI, stante il rilevante importo, non costituivano un mero rimborso delle spese, ma sostanzialmente un corrispettivo per le prestazioni eseguite. Essa pertanto rappresentano un indicatore attendibile della non corrispondenza della cooperazione unicamente all’interesse pubblico, essendo infatti richiesto, perché possa ravvisarsi un’effettiva cooperazione, che essa avvenga in assenza di remunerazione, ad eccezione del mero rimborso delle spese sopportate, anche in via forfettaria (Consiglio di Stato, Sez. II, parere 22 aprile 2015, n. 1178). (Consiglio di Stato, 07 giugno 2024 n. 5096)
Il rimborso forfettario delle spese non costituisce un indizio della fattiva cooperazione tra amministrazioni. La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con l’ordinanza 4 giugno 2020, C – 429/19, ha riconosciuto che neanche le fattispecie in cui l’unico contributo apportato da uno dei contraenti consiste nel mero rimborso delle spese sostenute da un altro contraente sono indiziarie di una effettiva cooperazione, ma ben possono rientrare nella nozione di appalto pubblico ed essere dunque sottoposte alle regole dell’evidenza pubblica, laddove non può ritenersi dimostrata l’esistenza di una effettiva cooperazione in quanto la convenzione ha unicamente ad oggetto, come nella specie, l’acquisizione di una prestazione e di un servizio da parte dell’Amministrazione regionale a fronte del versamento all’altra parte dell’accordo di una remunerazione per la loro esecuzione. Lo schema di Accordo non può essere qualificato come accordo di cooperazione tra pubbliche amministrazioni, alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza eurounitaria e nazionale, atteso che la predetta convenzione, alla quale si applica la disciplina di cui all’art. 12, par. 4, della Direttiva 2014/24/UE e l’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, non soddisfa tutte le condizioni in presenza delle quali un accordo concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici (Consiglio di Stato, 07 giugno 2024 n. 5096)
La sottoscrizione delle convenzioni tra enti locali
Sono nulle le convenzioni tra enti locali non sottoscritte digitalmente. L’art. 15, comma 2-bis, l. n. 241 del 1990 stabilisce, per quanto qui di interesse, che “A fare data dal 30 giugno 2014 gli accordi di cui al comma 1 sono sottoscritti con firma digitale, ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, con firma elettronica avanzata, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera q-bis) del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, o con altra firma elettronica qualificata pena la nullità degli stessi”. Il comma 1 citato, a sua volta, dispone che “… le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”. L’art. 30 d.lgs. n. 267 del 2000 disciplina le “convenzioni”, stabilendo che “Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni”. Le convenzioni ex art. 30 d.lgs. n. 267 del 2000 rappresentano con ogni evidenza una species dell’ampio genus degli accordi fra Pubbliche Amministrazioni, di cui all’art. 15 l. n. 241 del 1990. La l. n. 241 del 1990, recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, è, infatti, corpus legislativo generale e di sistema, che disciplina l’intera attività amministrativa in quanto tale; il d.lgs. n. 267 del 2000, recante il “Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali”, è di contro dedicato ad una specifica, per quanto rilevante, partizione della Pubblica Amministrazione, ossia gli “Enti locali”, identificati nei “comuni, province, città metropolitane, comunità montane, comunità isolane e unioni di comuni”. Mentre, dunque, la l. n. 241 ha un’ampia prospettiva di carattere oggettivo (concerne la funzione amministrativa in quanto tale), il d.lgs. n. 267 enuclea una, più circoscritta, visione soggettiva (regolamenta gli Enti locali).. A sua volta, l’art. 15 l. n. 241 del 1990 delinea la fattispecie degli accordi fra Amministrazioni con normazione all’evidenza ed intenzionalmente generale, non limitata né a precise tipologie di Amministrazioni, né a specifiche attività. Di contro, l’art. 30 d.lgs. n. 267 del 2000 si riferisce solo agli “enti locali” e concerne lo svolgimento “in modo coordinato di funzioni e servizi determinati”, evidentemente nell’ambito delle competenze di tali Enti. Il rapporto di species a genus che lega l’art. 30 d.lgs. n. 267 all’art. 15 l. n. 241 del 1990 emerge, dunque, con nitore tanto dal confronto testuale delle due disposizioni, quanto, più in generale, dal rapporto fra le coordinate logico-sistematiche, contenutistiche e teleologiche dei due testi legislativi che, rispettivamente, le contengono. Il comma 2-bis dell’art. 15 l. n. 241, introdotto per la prima volta dal d.l. n. 179 del 2012 convertito con l. n. 221 del 2012 (e poi modificato in seguito solo quanto alla decorrenza del vincolo di forma ivi delineato), prescrive che gli accordi fra Pubbliche Amministrazioni debbano essere sottoscritti con firma digitale, “pena la nullità degli stessi”. La disposizione indica con chiarezza, quale unica forma di validità di siffatti accordi, la stipulazione mediante una specifica tipologia di sottoscrizione, quella digitale: in caso contrario, gli accordi sono radicalmente “nulli”, ossia inidonei a produrre un qualunque effetto giuridico. Giacché il comma 2 dell’art. 15 stabilisce che “per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall'articolo 11, commi 2 e 3”, che a loro volta rimandano, “ove non diversamente previsto, ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili”, il richiamo in parola non può che essere riferito all’istituto civilistico della nullità, che, come noto, si connota, inter alia, per l’assoluta inidoneità dell’atto a produrre effetti giuridici: altrimenti detto, dal punto di vista degli effetti (ossia in un’ottica pragmatica attenta al dato funzionale della capacità concreta dell’atto di modificare la realtà giuridica), l’atto essenzialmente non esiste. Siffatta previsione di nullità in caso di mancanza della sottoscrizione digitale ha portata generale e riguarda, dunque, ogni forma di accordo fra Pubbliche Amministrazioni: esso, quindi, concerne anche le convenzioni ex art. 30 d.lgs. n. 267 (Cons. Stato, 6 novembre 2023, n. 9842)
Omessa indicazione del responsabile del procedimento nei procedimenti non tributari. Secondo costante e condivisa giurisprudenza (es. CDS 30 agosto 2018, n. 5296; 14 novembre 2018, n. 6602), la mancata indicazione del nominativo del responsabile del procedimento, in linea di principio - salvo diversa ipotesi in cui sia dimostrato un concreto pregiudizio - costituisce una semplice irregolarità, non idonea a determinare l'illegittimità del provvedimento finale. In questo caso, trova infatti applicazione la norma suppletiva di cui all'art. 5, comma 2, L. n. 241/1990, secondo cui, in difetto di designazione, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto all'unità organizzativa (TAR Lazio, 18 ottobre 2016, 10386). L'omessa indicazione del responsabile del procedimento non rileva sulla legittimità dell'atto, ben potendo comunque l'interessato provvedere a dialogare comunque con l'amministrazione, dovendosi evidenziare che, in mancanza di indicazioni, si presume che il firmatario del provvedimento sia anche il responsabile del procedimento (TAR Lazio, Roma, sez. I, 20 aprile 2018, n. 4395). (TAR Campania, Napoli, 5 giugno 2019, n. 3048);
Omessa indicazione del responsabile del procedimento nei procedimenti tributari. Nullità dell’atto. Va ribadito il principio secondo il quale la formulazione del D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter, in attuazione di quanto più in generale già disposto dalla L. n. 241 del 1990, art. 8, comma 2, lett. c., non dà luogo a dubbi. Ciò che si richiede, per rendere "personalizzato" il rapporto tra Amministrazione e Cittadino, è che si indichi il nome del responsabile del procedimento. A tal fine non è certo sufficiente che si abbia ad indicare l'Ufficio o la struttura che è destinata a svolgere il procedimento (quale, nel caso di specie, il Direttore dell'Ufficio preposto all'iscrizione a ruolo). E' più che evidente che l'indicazione dell'Ufficio o della Struttura, circostanze, del resto, ben note perché rese pubbliche, non possono realizzare la finalità di rendere "personale" il rapporto, nel caso di specie, con il contribuente. La "personalizzazione" è in funzione della chiara individuazione di una persona fisica responsabile della eventuale inosservanza del singolo procedimento, dovendo il contribuente sapere chi e in quale momento fosse "la persona fisica" appartenente all'Ufficio preposta allo svolgimento del procedimento” (cfr Cass. 33565/2018). In accoglimento del primo motivo del ricorso l'impugnata sentenza va cassata e la causa non essendo necessari accertamenti in punto di fatto può essere decisa nel merito con l'accoglimento del ricorso originario proposto dal contribuente (Cassazione civ., 18 maggio 2020, n. 9106)
Differenze tra delega di firma e delega di funzione. La delega di firma si verifica quando un organo, pur mantenendo la piena titolarità circa l’esercizio di un determinato potere, delega ad altro organo, ma anche a funzionario non titolare di organo, il compito di firmare gli atti di esercizio dei potere stesso: in questi casi l’atto firmato dal delegato, pur essendo certamente frutto dell’attività decisionale di quest’ultimo, resta formalmente imputato all’organo delegante, senza nessuna alterazione dell’ordine delle competenze (Cass. n. 6113 del 2005). Al contrario, l’istituto di diritto pubblico della «delegazione amministrativa» di competenze assume rilevanza esterna, ragion per cui si richiede che sia disciplinato per legge, attuandosi, mediante adozione di un formale atto di delega, l’attribuzione ad un diverso ufficio od ente di poteri in deroga alla disciplina normativa delle competenze amministrative (c.d. delega di funzioni). Appare evidente la differenza fra le due figure: la «delega di firma» realizza un mero decentramento burocratico in quanto il «delegato alla firma» non esercita in modo autonomo e con assunzione di responsabilità i poteri inerenti alle competenze amministrative riservate al delegante, ma agisce semplicemente come longa manus – e dunque in qualità di mero sostituto materiale – del soggetto persona fisica titolare dell’organo cui è attribuita la competenza. L’atto di «delegazione della competenza» ha, invece, rilevanza esterna, essendo suscettibile di alterare il regime della imputazione dell’atto, al contrario di quanto si verifica nell’ipotesi della mera delega di firma, nella quale il delegante rimane l’unico ed esclusivo soggetto dal quale l’atto proviene e del quale si assume la piena responsabilità verso l’esterno (Cassazione, Sezione V, Civile, 9.9.2022, n. 26694)
Delega di funzioni e delega di firma. E' utile ricostruire il quadro normativo ed interpretativo in relazione all’istituto della delega amministrativa. La delegazione è un atto di natura organizzatoria da cui discende una forma indiretta di decentramento, la quale si traduce in un rapporto giuridico caratterizzato da una figura soggettiva (ente o organo delegante) – titolare di un determinato potere o di un complesso di poteri finalizzati alla cura di determinati interessi pubblici (funzione) – che attribuisce ad altra figura soggettiva (delegato) con proprio atto (atto di delegazione o più semplicemente delega) l’esercizio del potere stesso, definendone eventualmente la durata, le modalità e gli obiettivi (Cons. Stato, sez. I, n. 561/2024). La delegazione è interorganica, se riguarda organi della medesima amministrazione, mentre è intersoggettiva se concerne organi di differenti amministrazioni. La delegazione si distingue, inoltre, in delega di funzioni e delega di firma. Solo la prima conferisce il legittimo esercizio delegato di una competenza amministrativa, mentre la seconda realizza un mero decentramento burocratico, atteso che il delegato agisce come longa manus del delegante, senza esercitare in maniera autonoma e con assunzione di responsabilità poteri che rientrano nelle competenze amministrative allo stesso riservate (Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 2019, n.7418 e sez. III, 24 marzo 2015, n. 1573). La delegazione presuppone: i) un’autorità titolare di un potere amministrativo o di un complesso di poteri (funzione) in base a una espressa attribuzione di legge; ii) una scelta organizzativa della predetta autorità motivata dalla necessità di un più corretto ed efficace esercizio dei poteri attribuiti, deconcentrando la decisione, al fine di renderla maggiormente rapida, aderente e funzionale alla cura degli interessi pubblici sottesi. Ciò vale soprattutto per le organizzazioni complesse e strutturate in forma accentuatamente gerarchica, le cui competenze sono accentrate al vertice; iii) un soggetto delegabile, in quanto fornito delle competenze necessarie o della posizione organica che consente di svolgere il potere delegato; iv) un rapporto di servizio od organico tra i due soggetti, per cui il delegante può pretendere l’adempimento del potere delegato ed esercitare un’attività di vigilanza e controllo sul suo esercizio. L’attivazione della delegazione comporta: a) l’alterazione dell’esercizio delle competenze, solo se si tratta di delega di poteri o di funzioni (cosiddetta delega di funzioni); b) un differente sistema di responsabilità amministrativa in capo al soggetto delegato, che risponde personalmente e unicamente dell’atto adottato, in costanza di delega di funzioni (ferma restando l’eventuale culpa in vigilando o in eligendo del delegante), e solidamente con l’autorità delegante, in caso di mera delega di firma; c) un differente regime di impugnabilità dell’atto delegato che, in caso di delega di funzioni, può anche non essere considerato atto definitivo, se adottato da autorità che non ricopre un ufficio dirigenziale generale, mentre normalmente è atto definitivo se adottato con mera delega di firma, poiché la sua titolarità rimane in capo al delegante. L’atto di delegazione è un atto unilaterale capace di produrre i propri effetti senza necessità di alcuna accettazione da parte del delegato, ha necessariamente forma scritta e può contenere la durata della delega, nonché istruzioni, criteri e obiettivi per l’esercizio del potere da parte del delegato (che hanno valore di direttive, la cui violazione potrà incidere sul rapporto tra delegante e delegato e, dunque, costituire un valido motivo per revocare la delega). La delega può sempre essere revocata dal delegante, preferibilmente nelle stesse forme previste per la sua adozione, ovvero – secondo la giurisprudenza – “anche implicitamente”, allorquando vi sia l’esercizio diretto dell’atto del potere delegato. Al contrario, si ritiene che il delegante, in costanza di delega, non possa esercitare i poteri attribuiti, in quanto il delegato, “per effetto della delega e per il tempo in cui la delega è operante, è titolare di una legittimazione esclusiva”. Con riguardo agli elementi costituivi dell’atto di delegazione, la Corte di cassazione ha sottolineato come “non appaia decisiva la modalità di attribuzione della delega che può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio, purché venga indicato, unitamente alle ragioni della delega (ossia le cause che ne hanno resa necessaria l’adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia) il termine di validità e il nominativo del soggetto delegato” (Cass. civ., sez. trib. 21 ottobre 2015, n. 22803). Con specifico riguardo al tema oggetto del presente ricorso (delega in materia di sicurezza sul lavoro nonché in materia di disposizioni normative e regolamentari emanate nel periodo di pandemia da Sars Cov 2) soccorrono poi: per un verso, la specifica disposizione recata dall’art. 16 del d.lgs. 81/08 che, sotto la rubrica “Delega di funzioni”, recita testualmente: “1. La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni: a) che essa risulti da atto scritto recante data certa; b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate”; per altro, la previsione contenuta nel d.P.C.M. 27 giugno 2021, che, all’art. 17 bis, prevede quanto segue: “1. Al fine di assicurare il più efficace ed efficiente processo di verifica dell'adempimento dell'obbligo vaccinale di cui agli articoli 4-bis e 4-ter del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, il Ministero della salute rende disponibili specifiche funzionalità, descritte nell'allegato I, che, sulla base delle informazioni trattate nell'ambito della Piattaforma nazionale-DGC, consentono una verifica automatizzata del rispetto dell'obbligo vaccinale da parte dei lavoratori subordinati (..). 2. Le funzionalità di verifica del rispetto dell'obbligo vaccinale sono rese disponibili: a) (..); b) (..); c) ai responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale del comparto della difesa, limitatamente al personale militare, sicurezza e soccorso pubblico (..). 3. Le funzionalità di verifica del rispetto dell'obbligo vaccinale sono attivate previa richiesta del datore di lavoro dei soggetti tenuti all'adempimento dell'obbligo vaccinale e sono rese disponibili al solo personale autorizzato alla verifica per conto dello stesso. Se il datore di lavoro dei lavoratori impiegati nelle strutture di cui al comma 2 non coincide con il responsabile delle stesse, quest'ultimo deve essere delegato dal medesimo datore di lavoro ad effettuare la predetta verifica.” Così ricostruito il contesto normativo ed interpretativo, dal quale emerge che la delega di funzioni nell’ambito delle strutture organizzative si caratterizza per essere un atto derogatorio del normale sistema di ordine e distribuzione delle competenze soggetta come tale ad una esegesi rigorosa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 2672 del 2001) il collegio ritiene il ricorso presentato dall’odierno ricorrente accoglibile unicamente in relazione ai vizi denunciati con il quarto e quinto motivo, ove l’ufficiale ha contestato, in particolare, la violazione e falsa applicazione di legge con riguardo alla disposizione recata dall’art. 16 del d.lgs. 81/2008, che, come detto in precedenza, prevede limiti espressi al conferimento della delega in materia di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro dal datore di lavoro ad altri soggetti che siano in possesso dei requisiti previsti dalla normativa speciale suddetta e che di certo non può considerarsi implicitamente prorogata (Cons. Stato, sez. I, parere, 24 giugno 2024, n. 814)
Mancata sottoscrizione dell'atto amministrativo. Non produce necessariamente la nullità dell'atto. La mancata sottoscrizione dell’atto amministrativo non ne determina la nullità (né tantomeno l’illegittimità) qualora comunque questo contenga elementi sufficienti ed idonei ad individuare l’autore del provvedimento e consenta al soggetto che lo riceve di individuare l’imputabilità della determinazione stessa ad un soggetto ben preciso dell’Amministrazione procedente (nel caso in esame, il provvedimento depositato in giudizio dai ricorrenti riporta “F.to La Dirigente l’Ufficio Urbanistica Ing. Morleo Rosabianca”). Come statuito dalla giurisprudenza, “la mancanza di sottoscrizione di un atto amministrativo non è idonea a metterne in discussione la validità e gli effetti ove detta omissione non metta in dubbio la riferibilità dello stesso all’organo competente” (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 4 maggio 2012, n. 2039; cfr. altresì Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2010, n. 8702; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 11 giugno 2015, n. 1966; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 12 novembre 2019, n. 2713 (TAR Puglia, 27 marzo 2023, n. 401). È ormai consolidato nel diritto vivente "il principio secondo cui l'autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell'atto amministrativo nei soli casi in cui sia espressamente prevista dalla legge, essendo di regola sufficiente che dai dati contenuti nello stesso documento sia possibile individuare con certezza l'autorità da cui l'atto proviene" (Cass. Civ., V, 8 ottobre 2019, n. 25099; 30 novembre 2018, n. 3130; 27 aprile 2018, n. 10258; 6 ottobre 2017, n. 23381; 24 novembre 2016 n. 24018; 3 ottobre 2016, n. 19761; 30 dicembre 2015, n. 26053).
I provvedimenti amministrativi non hanno di regola effetto retroattivo. Eccezioni. Sulla base del tenore letterale del comma 1 dell’art. 11 delle preleggi, deve ritenersi immanente nell’ordinamento il principio e/o la regola del divieto generale di retroattività dei provvedimenti amministrativi. Le eccezioni a tale regola costituiscono un numerus clausus; in particolare, vi sarebbero quattro classi di provvedimenti amministrativi a retroattività eccezionalmente consentita: i) quelli retroattivi per legge; ii) quelli retrodatabili per doverosa esecuzione di pronunce giurisdizionali o giustiziali; iii) quelli retroattivi per natura; iv) quelli retroattivi unicamente in bonam partem. (Cons. Stato, 7 marzo 2023 n. 2335)
Principio del c.d. one shot temperato: finalità e casi in cui deve essere applicato. Pur in assenza di un giudicato in senso proprio, si deve fare applicazione del «principio del c.d. one shot temperato, formatosi in sede giurisprudenziale per evitare che l’amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale; tanto comporta che è dovere della stessa pubblica amministrazione riesaminare una seconda volta l’affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l’avvenire, e, in sostanza, per una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente per il privato; tale principio costituisce il punto di equilibrio tra due opposte esigenze, quali la garanzia di inesauribilità del potere di amministrazione attiva e la portata cogente del giudicato di annullamento con i suoi effetti conformativi. (Tar Lombardia, Milano, 27 luglio 2022, n. 1801)
Abuso del diritto. L’abuso del diritto, pur teorizzato ed applicato, in principio, nell’ambito dei rapporti tra privati, costituisce una figura trasversale nell’ordinamento (ex plurimis, nell’ambito del diritto civile: Cass. civ., Sez. III, 18 settembre 2009 n. 20106; nell’ambito del diritto commerciale: Cass. civ., Sez. unite, ord., 30 gennaio 2023 n. 2767; nell’ambito del diritto tributario Cass. civ., Sez. unite, 23 dicembre 2008 n. 30055, 30056 e 30057; nel processo penale Cass. pen., Sez. Unite, 29 settembre 2011, n. 155; nel processo civile: Cass. civ., Sez. Unite, 16 febbraio 2017, n. 4090 e 15 novembre 2007 n. 23726; nel processo amministrativo: Cons. Stato, Ad. plen. 29 novembre 2021 n. 19; Sez. V, 6 settembre 2024, n. 7457), nel quale ha assunto la funzione di fungere da argine all’esercizio “formalmente ineccepibile” e “sostanzialmente distorto” della situazione di vantaggio di cui taluno è titolare. Seguendo le coordinate teoriche delineate nel tempo dalla giurisprudenza, l’abuso del diritto costituisce una particolare declinazione del principio di buona fede, il quale, a sua volta, è attuazione del principio fondamentale di solidarietà politica, economica e sociale enunciato dall’art. 2 Cost. (Cons. Stato, Sez. IV, 05 settembre 2024, n. 7435; Sez. IV, 20 giugno 2024, n. 5514; Cass. civ., Sez. III, ord., 07 giugno 2024, n. 16024; Sez. III 14 giugno 2021 n. 16743), che impone a ciascun consociato, nel rispetto di questo dovere di solidarietà, di non “piegare” l’ordinamento al perseguimento di pretese che, considerate oggettivamente (cioè secondo una valutazione socialmente tipica di tipo oggettivo e senza cioè tenere conto dei motivi e dei nessi psichici che orientano chi agisce), in relazione alla vicenda in cui esse si esprimono, risultino sproporzionate, irragionevoli, emulative, prevaricatrici o ingiuste. L’istituto sortisce dunque l’effetto di correggere (o, in alcuni casi di impedire) l’applicazione dello strictum jus, temperando il principio secondo cui qui iure suo utitur neminem laedit ed evitando che possano trovare giuridico riconoscimento (ad es., Cass. civ., Sez. unite, 23 aprile 2020 n. 8094, §. 9.6., in materia di inesigibilità del credito nel rapporto obbligatorio), nel processo o al di fuori di esso, pretese assiologicamente non giustificate, azionate o esercitate facendosi scudo di una qualche norma giuridica, di cui colui che agisce pretende di fare applicazione rigidamente, basandosi esclusivamente sull’interpretazione letterale della disposizione e senza rapportarla agli altri limiti (o alle altre situazioni di vantaggio) emergenti dall’ordinamento e, anzi, agendo in (aperto o celato) contrasto con gli ulteriori principi di ordine sistematico da questo emergenti e, in particolare, con il richiamato principio inderogabile di solidarietà (Cons. Stato, 25 novembre 2024, n. 9470)
Preavviso di rigetto (art. 10 bis legge 241/90) e rigetto. La corretta applicazione dell' art.10-bis cit. esige non solo che l’amministrazione enunci compiutamente nel preavviso di provvedimento negativo le ragioni che intende assumere a fondamento del diniego, ma anche che le integri, nella determinazione conclusiva (ovviamente, se ancora negativa), con le argomentazioni finalizzate a confutare la fondatezza delle osservazioni formulate dall'interessato nell'ambito del contraddittorio predecisorio attivato dall'adempimento procedurale in questione (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. VI, 27/09/2018 , n. 5557). In tale ottica, se è pur vero che non occorre che nel provvedimento finale sia svolta la puntale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dalla parte privata, essendo sufficiente ai fini della sua giustificazione una motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell'atto stesso, è altrettanto vero che – specie dinanzi ad una pluralità di elementi innovativi e di merito, come nel caso di specie – l’amministrazione sia tenuta all’esplicazione delle ragioni contrarie, anche attraverso una ripresa degli argomenti pregressi, in una motivazione nel provvedimento lesivo finale (Cons. Stato, 14 novembre 2022, n. 9954).
Il diniego deve dare conto delle ragioni nel mancato accoglimento delle osservazioni dell’interessato. Le modifiche introdotte all’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990 dall’art. 12 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, impongono una riflessione sull’orientamento della giurisprudenza che ha sempre inteso legittimare la p.a. a svolgere, in sede di adozione del provvedimento e del relativo compendio motivazionale, una valutazione complessiva delle osservazioni del privato e a precisare ulteriormente le proprie posizioni giuridiche, con il solo limite della riconducibilità delle ulteriori argomentazioni allo «schema» delineato dalla comunicazione ex art. 10-bis. Allorché siffatte argomentazioni siano meramente ripetitive di quelle già poste a base della domanda del privato può ancora ritenersi insussistente l’obbligo di un’analitica confutazione da parte dell’amministrazione procedente, fermo restando che il provvedimento deve chiaramente dar conto delle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni e non limitarsi a dichiarare, come mera formula di stile, l’avvenuta analisi delle stesse (Consiglio di Stato, luglio 2023, n. 7158)
Mancata comunicazione del preavviso di rigetto. Illegittimità del conseguente provvedimento discrezionale. Preavviso di rigetto. L'art. 21 octies, l. n. 241 del 1990, a seguito della modifica operata con l'art. 12, comma 1, lett. i), d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, comporta che l'omissione del preavviso di rigetto, in caso di provvedimenti discrezionali, non è superabile con una valutazione ex post del possibile apporto del privato; la modifica legislativa, incidendo su una norma ritenuta di carattere processuale, si applica anche ai provvedimenti già emanati (Consiglio di Stato, 14 marzo 2022, n. 1790). In senso difforme in materia di sanatoria edizilia “La violazione dell’art. 10-bis l. n. 241/90 è idonea a determinare l’annullamento del diniego di sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 (soltanto) qualora, alla stregua degli elementi deduttivi e istruttori forniti dalla parte privata, sia dubbio che, in caso di osservanza delle disposizioni procedimentali in concreto violate, il contenuto dispositivo dell’atto sarebbe stato identico a quello in concreto assunto” (cfr ex multis, Cons. Stato sez. VI, 12 aprile 2023, n.3672) (Cons. Stato, 17 febbraio 2025 n. 1270)
Nullità dell'atto per difetto assoluto di attribuzione. Il difetto assoluto di attribuzione (cioè l’assenza di un fondamento legislativo del potere), quale causa di nullità del provvedimento amministrativo, si ha solo quando la P.A. esercita un potere di cui è astrattamente priva (Cons. Stato, Sez. IV, 17 novembre 2015, n. 5228).La nullità del provvedimento prevista dall’ art. 21-septies, l. n. 241 del 1990 è di carattere eccezionale e il conseguente difetto assoluto di attribuzione ricorre solo in caso di cosiddetta carenza di potere in astratto, ovvero quando la pubblica amministrazione esercita un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce, ovvero l’atto costituisca manifestazione di poteri spettanti ad organi che operino in settori del tutto diversi e manchi del tutto una norma che attribuisca all’amministrazione il potere di cui è in contestazione l’esercizio. Nel caso in esame l’Amministrazione comunale ha il potere di pianificazione, che implica la competenza ad adottare atti di pianificazione generale o piani attuativi. Non si ravvisa quindi alcun profilo di nullità, in quanto la variante adottata dalla Giunta e approvata dal Consiglio attiene alla funzione propria del Comune, mentre la Regione ha una funzione di controllo, diversamente articolato in base alla legge Regionale. Al più si potrebbe profilare un aspetto di incompetenza tra Giunta e Consiglio Comunale per la variante al PL e quindi un vizio di incompetenza relativa, che può portare all’invalidità, non alla nullità, e che avrebbe potuto essere fatto valere nei termini, con l’azione di annullamento (TAR Veneto, 15 settembre 2023, n. 1291)
Autotutela. Principio del contrarius actus. In base al principio del contrarius actus, l’autorità competente ad annullare il provvedimento è la stessa che lo ha adottato anche quando il vizio riscontrato sia quello dell’incompetenza. Gli ulteriori profili di illegittimità, in quanto inerenti al ripristino della legalità lesa, non consentono di procedere all’annullamento d’ufficio laddove il tempo trascorso sia superiore a quello indicato dalla norma, ovvero comunque non ragionevole (1).Il Consiglio di Stato ha precisato che, all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, il legislatore non ha fatto distinzioni tra tipologie dei vizi tradizionali che si vanno ad emendare. (1) Precedenti conformi: Cons. Stato, sez. III, 3 aprile 2023, n. 3431 (Cons. Stato, 29 dicembre 2023, Manzione n. 11307)
Notifica a mezzo raccomandata: la notificazione si perfeziona nei confronti del destinatario con la compiuta giacenza. Le lettere raccomandate si presumono conosciute, nel caso di mancata consegna per assenza del destinatario e di altra persona abilitata a riceverla, dal momento del rilascio del relativo avviso di giacenza presso l’ufficio postale. Pertanto, la comunicazione dell’atto amministrativo, per il combinato disposto dell’art. 40, comma 3, del D.P.R. del 29 maggio 1982 n. 655 e dell’art. 1335 c.c., si perfeziona per il destinatario necessariamente secondo le due seguenti modalità alternative: a) allorché provveda al ritiro del piego; b) per fictio juris (ai sensi dell’art. 1335 c.c.), al momento della scadenza del termine di “compiuta giacenza” (TAR Sicilia, 1° settembre 2023, n. 2861)
Notifiche a irreperibili. Il ricorso alle formalità di notificazione previste dall'art. 143 c.p.c. per le persone irreperibili non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l'ufficiale giudiziario dia espresso conto. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la invalidità di una notificazione ex art. 143 c.p.c. la cui relata recava la mera indicazione di "vane ricerche eseguite sul posto" dall'ufficiale giudiziario, senza la specificazione delle concrete attività a tal fine compiute) (Cassazione civ., 16 dicembre 2021, n. 40467)
La natura perentoria di un termine si può desumere anche in via interpretativa, purché la legge autorizza tale interpretazione, comminando, nel caso, la perdita del diritto. La natura perentoria di un termine fissato per l'esercizio di un diritto, non espressamente prevista dalla legge, può desumersi anche in via interpretativa, purché la legge stessa autorizzi tale interpretazione, comminando, sia pure implicitamente, ma in modo univoco, la perdita del diritto in caso di mancata osservanza del termine di cui si tratta. (In applicazione del principio, le Sezioni Unite hanno confermato la decisione del TSAP che aveva escluso la natura perentoria del termine di tre mesi decorrente dalla data di entrata in vigore della legge della regione Lombardia, per la denuncia delle opere esistenti non autorizzate, in materia di costruzione ed esercizio degli sbarramenti di ritenuta e dei bacini di accumulo) (Cassazione Sez. Un. Civili, 12 Febbraio 2024, n. 3760)