Ambiente
Rassegna di giurisprudenza in merito all'ambiente

La discrezionalità della pubblica amministrazione
La VIA è espressione di una amplissima discrezionalità e non si esaurisce in un mero giudizio tecnico. Nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti. Il sindacato giudiziale, al fine di assicurare il rispetto del principio costituzionale di separazione dei poteri, è consentito soltanto quando risulti violato il principio di ragionevolezza. (Consiglio di Stato Sez. IV n. 4355 del 30 maggio 2022) Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, nell’esprimersi in ordine alla necessità di sottoporre o meno un’opera a valutazione di impatto ambientale, come pure nel rendere il relativo giudizio, “l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale risente dunque dei suoi presupposti sia sul versante tecnico che amministrativo” (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 14.03.2022, n. 1761). Da ciò consegue che “il sindacato del giudice amministrativo in materia è pertanto necessariamente limitato ai profili di illogicità e incongruità, al travisamento dei fatti o ai difetti di istruttoria o al difetto idonea motivazione, che compete alla parte provare, fornendo allegazioni e riscontri probatori univoci, che non si riducano, per contro, in valutazioni di parte finalizzate a sostituire quelle espresse dall’amministrazione a cui la legge attribuisce il compito di effettuarle (cfr. ex multis, per principi analoghi, ancorché espressi con formulazione differente, Cons. Stato, sez. II, n. 5451 del 2020; sez. II, n. 5379 del 2020; sez. V, n. 1783 del 2013; sez. VI, n. 458 del 2014)” (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 1.10.2024, n.7884). Facendo applicazione delle suesposte coordinate ermeneutiche alla presente vicenda contenziosa, rileva il Collegio come le censure nel loro complesso, per come concretamente formulate, non facciano emergere con la necessaria specificità i profili di manifesta illogicità, incongruità, travisamento dei fatti costituenti i presupposti dell’esercizio del potere o di oggettivo difetto di istruttoria, che consentirebbero il sindacato demolitorio di questo giudice. A fronte dell’amplissima discrezionalità di cui gode l’amministrazione, la ricorrente si è limitata a generiche contestazioni che prospettano una diversa valutazione dei fatti e dei presupposti tecnici sottesi alla decisione assunta, senza adempiere pienamente all’onere di dimostrare, secondo i parametri probatori indicati dalla giurisprudenza in relazione alle valutazioni che attengono a fatti complessi, che “il giudizio di valore espresso dall’Amministrazione sia scientificamente inaccettabile”. Difatti, “fino a quando si fronteggiano opinioni divergenti, tutte parimenti argomentabili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisione collettive, rispetto alla posizione ‘individuale’ dell’interessato” (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 9.05.2023, n. 4686) (TAR Milano, 30 dicembre 2024, 3782)
Natura della VIA. In linea generale, in relazione al potere esercitato con la Valutazione d’impatto ambientale, si osserva che la costante giurisprudenza, alla stregua dei principi euro-unitari e nazionali, ha affermato:
a) la VIA si sostanzia non già in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell'opera programmata, bensì in un giudizio sintetico globale di comparazione tra il sacrificio ambientale imposto e l'utilità socio-economica procurata dall’opera medesima, tenendo conto anche delle alternative possibili e dei riflessi della c.d. opzione zero. Essa non è un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo, con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico-sociale) e privati (Cons. Stato, sez. VI, n. 4484 del 2018; sez. IV, n. 1240 del 2018; sez. V, n. 4928 del 2014; sez. V, 361 del 2013; sez. V, 3254 del 2012; sez. IV, n. 4246 del 2010);
b) l’ampia latitudine della discrezionalità (istituzionale, amministrativa e tecnica) esercitata dall’amministrazione in sede di VIA, in quanto istituto finalizzato alla tutela preventiva dell’ambiente inteso in senso ampio, è giustificata alla luce dei valori primari ed assoluti coinvolti (Cons. Stato, sez. II, n. 3938 del 2014; Cons. Stato, sez. IV, n. 36 del 2014; sez. IV, n. 4611 del 2013; sez. VI, n. 3561 del 2011; Corte giustizia UE, 25 luglio 2008, causa C-142/07; Corte cost., n. 367 del 2007);
c) in materia ambientale l’ampia ammissibilità di clausole prescrittive trova fondamento nell’ampia discrezionalità dei provvedimenti in tema di VIA (Cons. Stato, sez. IV, n. 1240 del 2018; sez. IV, n. 1392 del 2017; sez. V, n. 263 del 2015);
d) un progetto che ricomprende vasta parte del territorio comunale non può che comportare la sua sottoposizione ad una serie ampia di prescrizioni a tutela di tutti quei beni che possono essere incisi dalla sua realizzazione (Cons. Stato sez. IV, n. 6862 del 2020; sez. VI n. 1 del 2004). (Cons. Stato, 23 giugno 2023, n. 6190)
VIA postuma
Il diritto dell'Unione non osta a una VIA postuma. La Commissione UE ha aderito all’orientamento della Corte di Giustizia, secondo cui “gli Stati membri sono obbligati ad eliminare le conseguenze illecite derivanti dall’omessa effettuazione della valutazione ambientale e che, proprio per questa ragione, il diritto dell’Unione non osta a che tale valutazione sia effettuata ex post, purché le norme nazionali che consentono la regolarizzazione non forniscano agli interessati l’occasione di eludere le norme di diritto comunitario o di esimersi dall’applicarle e purché la valutazione postuma tenga conto anche dell’impatto ambientale già intervenuto” (Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, cause riunite C-196/16 e C- 197/16; cfr. anche la sentenza del 28 febbraio 2018, in causa C‑117/17) (Cons. Stato, 1 febbraio 2024, n. 1037)
Termine per impugnare la VIA
Il termine per impugnare decorre dalla pubblicazione del provvedimento sul sito web dell'autorità competente Nella vigente disciplina VIA, dopo le recenti modifiche – a differenza del passato – non si rinvengono disposizioni che indichino, esplicitamente, il dies a quo per l’impugnazione dei provvedimenti finali. Tuttavia, oggi come allora è prevista la pubblicazione del provvedimento di VIA sul sito web dell’Autorità competente (art. 25, comma 5, T.U.A.). Una interpretazione letterale e sistematica del T.U.A., nonché orientata a non pregiudicare il diritto alla tutela giurisdizionale costituzionalmente garantito ex art. 24 Cost., conduce a ritenere che, per un verso, tale formalità non può che essere volta alla conoscibilità del provvedimento a tutti i fini di legge, e, dunque, anche quelli connessi all’impugnazione della VIA; per l’altro, che i “soggetti interessati” sono tutti quelli titolari di una posizione giuridica per la tutela della quale possono impugnare il provvedimento in sede giurisdizionale (Cons. Stato Sez. IV n. 5608 del 5 luglio 2022)
Il sindacato giurisdizionale
I limiti del sindacato giurisdizionale sulla VIA. Quanto al tipo di sindacato esercitabile da parte del giudice amministrativo, l’orientamento della giurisprudenza è nel senso che:
a) la relativa valutazione di legittimità giudiziale, escludendo in maniera assoluta il carattere sostitutivo della stessa, debba evidenziare la sussistenza di vizi rilevabili ictu oculi, a causa della loro abnormità, irragionevolezza, contraddittorietà e superficialità. Invero, il giudizio di compatibilità ambientale quand'anche reso sulla base di criteri oggettivi di misurazione, pienamente esposti al sindacato del giudice amministrativo, è attraversato da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell'apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all'interesse all'esecuzione dell'opera, con la conseguenza che le scelte effettuate dall'Amministrazione si sottraggono al sindacato del giudice amministrativo ogniqualvolta le medesime non si appalesino come manifestamente illogiche o incongrue (Cons. Stato, sez. IV, n. 1240 del 2018; sez. IV, n. 1392 del 2017);
b) non è ammissibile la sostituzione, da parte del giudice amministrativo, della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione costituendo ipotesi di sconfinamento vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla p.a., quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area dell’annullamento dell’atto (Cass. civ., 14sez. un., nn. 2312 e 2313 del 2012; Corte cost., n. 175 del 2011; Cons. Stato, sez. VI, n. 871 del 2011);
c) in base al principio di separazione dei poteri sotteso al nostro ordinamento costituzionale - la cui declinazione nel processo amministrativo in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio si coglie nella tassatività dei casi di giurisdizione di merito sanciti dall’art. 134 c.p.a. (Cons. Stato, sez. IV, 3892 del 2023; Ad. plen. n. 5 del 2015; Cass. civ., sez. un., n. 19787 del 2015) - solo l’amministrazione è in grado di apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse pubblico affidato dalla legge alle sue cure e conseguentemente il sindacato sulla motivazione delle valutazioni discrezionali) deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti e non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa (Cons. Stato, 23 giugno 2023, n. 6190)
La VAS compie una valutazione di piani e programmi in senso più in orizzontale e dunque generale su effetti negativi per l’ambiente e, soprattutto, sulle possibili misure di mitigazione. La VIA invece si esprime su progetti (ossia sugli atti applicativi del piano). E' dunque un giudizio più in verticale e condotto con maggiore analiticità, approfondimento e specificità con riguardo non solo agli effetti ma anche – e soprattutto – alle misure di mitigazione e di compensazione da implementare con il progetto stesso. La giurisprudenza che si è espressa in materia di rapporto tra valutazione ambientale strategica (VAS) e valutazione di impatto ambientale (VIA) sostiene che: “la VAS concerne la pianificazione e la programmazione alle quali l'amministrazione è obbligata, ed è concomitante alla stessa così da favorire l'emersione e l'evidenziazione dell'interesse ambientale di modo che esso venga in via prioritaria considerato dall'amministrazione; la VIA concerne i singoli progetti ed è necessaria ai fini della verifica dell'entità dell'impatto ambientale dell'opera proposta, in guisa da stimolare soluzioni mitigative da valutare secondo il principio dello sviluppo sostenibile, sino all'opzione "zero", qualora l'impatto non sia evitabile neanche con l'adozione di cautele” (Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 2014, n. 2569); la valutazione ambientale strategica (c.d. v.a.s.), introdotta dal d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 è una valutazione di compatibilità ambientale relativa ai piani e ai programmi, così come stabilito dall'art. 5 comma 1 lett.a) del succitato d.lg., e non già ai singoli progetti, per i quali il legislatore ha predisposto il diverso strumento del procedimento di valutazione impatto ambientale (cd. v.i.a.) [Cons. Stato, Sez. IV., 6 maggio 2013, n. 2446]; con particolare riguardo alla VIA, poi, essa “analizza l'impatto ambientale del singolo progetto, il che vuol dire che essa prende in esame impatti inevitabilmente più circoscritti - perché il progetto riguarda una porzione del territorio in ogni caso più ridotta rispetto a quella investita dal piano - ma maggiormente valutabili - perché il progetto, rispetto al piano, si basa su dati concreti, necessariamente definiti e più attuali rispetto a quelli avuti presenti in sede di redazione del piano e quindi di effettuazione della VAS” (T.A.R. Marche, sez. I, 6 marzo 2014, n. 291). Ne deriva da quanto detto che, mentre la VAS compie una valutazione di piani e programmi in senso più in orizzontale e dunque generale su effetti negativi per l’ambiente e, soprattutto, sulle possibili misure di mitigazione, quello compiuto nella VIA sui singoli progetti ossia gli atti applicativi del piano (che debbono essere coerenti con la pianificazione oggetto della VAS) è giocoforza un giudizio più in verticale e dunque condotto con maggiore analiticità, approfondimento e specificità con riguardo non solo agli effetti ma anche – e soprattutto – alle misure di mitigazione e di compensazione da implementare con il progetto stesso. A siffatte conclusioni è agevole pervenire non solo sulla base della giurisprudenza testé richiamata ma anche sulla base di una piana lettura del dato normativo di cui al codice dell’ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006) da cui si ricava che: gli effetti e gli impatti significativi debbono essere descritti sia nel rapporto ambientale di cui all’art. 13, comma 4, del suddetto codice ambiente (VAS), sia nello studio di impatto ambientale di cui al successivo art. 22 stesso codice in materia di VIA (cfr. comma 3, lettera b); le misure di mitigazione debbono essere contemplate sia nel “Rapporto VAS” (cfr. Allegato VI, lettera g) sia nello “Studio VIA” (cfr. art. 22, comma 3, lettera c); ad ogni buon conto, con riguardo al “Rapporto VAS” le “informazioni da fornire nel rapporto ambientale … possono essere ragionevolmente richieste … tenuto conto del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione correnti, dei contenuti e del livello di dettaglio del piano o del programma”; e ciò sta proprio a significare che nel “Rapporto VAS” le indicazioni su impatti negativi e correlate misure di mitigazione debbono essere sì fornite ma in modo anche più generale (e non generico) ossia con un livello di dettaglio e di approfondimento che può ben essere rinviato alla successiva ed eventuale fase di VIA sui singoli progetti che saranno poi formulati sulla base proprio delle previsioni di piano (Cons. Stato, 25 maggio 2023, n. 5219)
Piani e progetti soggetti a VINCA
Piani e Progetti sottoposti a valutazione di incidenza. Qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative su siti di interesse comunitario (SIC), identificati dagli Stati membri secondo quanto stabilito dalla direttiva habitat, che vengono successivamente designati quali zone speciali di conservazione e che concorrono a costituire la rete ecologica dell’Unione europea “Natura 2000”, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti e tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito, deve essere sottoposto a valutazione di incidenza ambientale (Cons. Stato, 28 giugno 2023, n. 6333)(Precedenti conformi: ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 28 febbraio 2023, n. 2039; C.g.a., sez. giur., 11 agosto 2022 n. 921; Cons. Stato, sez. II, 28 maggio 2021, n. 4135; Cons. Stato, sez. IV, 13 settembre 2017, n. 4327. Non risultano precedenti difformi)
La valutazione di incidenza
La VINCA non è un atto di amministrazione in senso stretto. La giurisprudenza, in maniera costante, ha avuto modo di ricordare che: “la valutazione di incidenza ambientale (cd. “Vinca”), similmente alla valutazione di impatto ambientale (Via), si caratterizza quale giudizio di ampia discrezionalità oltre che di tipo tecnico, anche amministrativa, sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera (T.a.r. Calabria - Catanzaro n. 2057/2016; T.a.r. Umbria, 7 novembre 2013, n. 515; per la VIA cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 22 giugno 2009, n. 4206; Cons. Stato., Sez. V, 21 novembre 2007, n. 5910; Cons. Stato, Sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2851; Cons. Stato, Sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3917) (TAR Puglia, 13 febbraio 2024, n. 228). La valutazione di impatto ambientale non consiste in un mero atto di gestione o di amministrazione in senso stretto, quanto piuttosto in un provvedimento che esprime l'indirizzo politico-amministrativo sul corretto uso del territorio in esito al bilanciamento della molteplicità degli interessi pubblici contrapposti (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico-sociale). [...]. La Valutazione di incidenza ambientale (Vinca), similmente alla valutazione di impatto ambientale (Via), si caratterizza quale giudizio di ampia discrezionalità oltre che di tipo tecnico, anche amministrativa, sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all'interesse all'esecuzione dell’opera. Il sindacato del giudice amministrativo, di conseguenza, è limitato alla manifesta illogicità, incongruità, travisamento o macroscopici difetti di motivazione o di istruttoria, diversamente ricadendosi in un inammissibile riesame nel merito con sostituzione della valutazione giudiziale a quella affidata dal legislatore all'amministrazione (TAR Lazio, Sez.I-quater, 3 giugno 2022, n. 7235)
Esame puntuale sugli effetti del progetto. Gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva. Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell'incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica […]». Come evidenziato dalla Commissione europea, le misure di conservazione degli habitat, di cui all’art. 6 della Direttiva 92/43/CEE, non sono «attivate da una certezza, bensì da una probabilità di incidenze significative» (cfr. Gestione dei siti Natura 2000 - Guida all'interpretazione dell'articolo 6 della direttiva 92/43/CEE (2019/C 33/01), in G.U.U.E. 25 gennaio 2019). La Commissione evidenzia in tale sede, in termini condivisi dal Collegio, come il concetto di incidenze «significative» sugli habitat non possa «essere trattato in maniera arbitraria», essendo necessaria una obiettività non «separata dalle caratteristiche specifiche e dalle condizioni ambientali del sito protetto interessato dal piano o progetto». Inoltre, deve verificarsi il rapporto tra la causa (il progetto realizzando) e l’effetto (l’incidenza negativa) attraverso una valutazione che deve «precedere l’autorizzazione [del progetto] e tener conto degli effetti cumulativi che derivano dalla combinazione di tale piano o progetto con altri piani o progetti tenendo conto degli obiettivi di conservazione del sito interessato» (C.G.U.E, 7 settembre 2004, in C-127/02, punti 52-54, 59, ove si evidenzia anche la necessità di un approccio scientifico a tale valutazione). La Commissione aggiunge: «le valutazioni che si limitano a descrizioni generali e a un esame superficiale dei dati esistenti sull’ambiente naturale nella zona non si possono […] considerare opportune ai fini dell’articolo 6, paragrafo 3». Un giudizio che il Collegio condivide anche alla luce dell’insegnamento derivante dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo la quale «l’opportuna valutazione deve contenere rilievi e conclusioni completi, precisi e definitivi atti a dissipare qualsiasi ragionevole dubbio scientifico in merito agli effetti dei lavori previsti sulla zona di protezione speciale in questione» (C.G.U.E., Sez. IV, 20 settembre 2007, in C-304/05). 4. Nel caso di specie, il parere si limita ad una descrizione generale del sito e delle specie ivi presenti ma non indica, in alcun modo, quale siano gli effetti dei (peraltro modesti) lavori che la ricorrente intende realizzare. Come esposto al precedente punto 3 della trattazione in fatto, il parere impugnato indica le specie presenti ed evidenzia come l’area oggetto di intervento rivesta «soprattutto dal punto di vista ornitico, una grande importanza in quanto situata in una posizione strategica» e sia, inoltre, posta «ai margini di habitat prioritari» e di «una porzione della Riserva definita RN1, nella quale le attività umane sono fortemente regolamentate». Si tratta di elementi non sufficienti per la valutazione di compatibilità che, come spiegato, deve incentrarsi sul concreto progetto e sugli effetti che lo stesso realizza (laddove li realizzi) sull’ambiente e sulle specie animali presenti. Difetta, quindi, una seria ed effettiva valutazione di incidenza che non può essere affidata a valutazioni generali, ma deve sostanziarsi nella verifica delle concrete ripercussioni che il progetto (per tipologia, dimensioni, funzione assolta, etc.) può determinare. In tal senso, del resto, questo Tribunale si è già espresso, in termini che il Collegio pienamente condivide (cfr: TAR Milano, II, 16 giugno 2020, n. 1077) (TAR Milano, 27 giugno 2023, n. 1619)
I limiti del sindacato giurisdizionale
Limiti del sindacato giurisdizionale. La valutazione di incidenza ambientale, similmente alla valutazione di impatto ambientale, è espressione dell’esercizio di discrezionalità tecnica, oltre che amministrativa, ed è sindacabile da parte del giudice amministrativo soltanto nell’ipotesi in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata svolta dall’Amministrazione in modo inadeguato. Tale giudizio, inoltre, può legittimamente avere esito negativo nell’ipotesi in cui l’Amministrazione ritenga, sulla base di una valutazione discrezionale ancorata agli elementi in suo possesso, che nessuna misura di mitigazione o alternativa sia in grado di attenuare in modo soddisfacente le criticità accertate ed evidenziate (Cons. Stato, 28 giugno 2023, n. 6333)(Precedenti conformi: ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4611; Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2005, n. 3917. Precedenti difformi: non risultano precedenti difformi)
Manifesta illogicità, incongruità o travisamento. Il sindacato del giudice amministrativo è limitato alla manifesta illogicità, incongruità, travisamento o macroscopici difetti di motivazione o di istruttoria (Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2007, n. 5910; Cons. Stato, Sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4611; T.a.r. Puglia - Lecce, Sez. I, 26 gennaio 2011, n. 135; T.a.r. Toscana, Sez. II, 20 aprile 2010, n. 986), diversamente ricadendosi in un inammissibile riesame nel merito con sostituzione della valutazione giudiziale a quella affidata dal legislatore all'amministrazione» (T.a.r. Calabria Catanzaro, I, 19 luglio 2019, n. 1455; cfr. anche, tra le più recenti, T.a.r. Puglia Bari, II, 18 gennaio 2022, n. 95; Consiglio di Stato, IV, 2 luglio 2021, n. 5078). È evidente, pertanto, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali richiamati, come l’apprezzamento dell’amministrazione preposta alla tutela dell’habitat ambientale è sindacabile in sede giudiziale, solo sotto il profilo della manifesta illogicità, incongruità, della motivazione anche alla luce di una istruttoria incompleta (TAR Puglia, 13 febbraio 2024, n. 228)
Riesame dell'AIA
L’elenco delle ipotesi di riesame dell’AIA è tassativo. L’elenco delle ipotesi di riesame dell'AIA contemplato dall'articolo 29-octies del Dlgs 152/2006 è tassativo e non esemplificativo. In materia ambientale, al fine di non esporre il gestore dell’impianto a rischi di compromissione della propria attività, non si riconosce all’autorità competente un potere incondizionato di avviare il riesame in qualsiasi momento, tenuto conto altresì che la mera entrata in vigore dei “criteri di indirizzo” approvati con la delibera della Giunta regionale del Veneto n. 119/2018 non ha integrato nessuna ipotesi di revisione ai sensi del comma 4 del citato articolo 29-octies (Cons. Stato, 25 luglio 2022, n. 6513)
AIA e tipicità degli atti dell'amministrazione. L’art. 29-octies del D. Lgs. n. 152 del 2006 (“Rinnovo e riesame”) disciplina il procedimento per l’aggiornamento o la modifica dell’autorizzazione integrata ambientale e delle relative condizioni; la predetta norma prevede una puntuale scansione procedimentale e si fonda su specifici presupposti di natura sostanziale, oltre a richiedere inderogabilmente il previo coinvolgimento nel procedimento di riesame del gestore dell’impianto, che deve fornire un indispensabile apporto istruttorio (“tutte le informazioni necessarie ai fini del riesame delle condizioni di autorizzazione”). Diversamente, le sanzioni e i presupposti controlli, in ordine al rispetto delle prescrizioni contenute nell’A.I.A., sono disciplinati dal successivo art. 29-decies (“Rispetto delle condizioni dell’autorizzazione integrata ambientale”) e riguardano appunto l’aspetto sanzionatorio o ripristinatorio dell’A.I.A., senza intervenire sul contenuto della stessa (“il rispetto delle condizioni dell’autorizzazione integrata ambientale”). Nella specie, come emerge dall’esame del provvedimento impugnato e degli atti presupposti, sono stati concentrati nel medesimo procedimento attività aventi differente natura e presupposti, ovvero di carattere sanzionatorio, autorizzatorio e di variante rispetto all’A.I.A. già rilasciata alla ricorrente. Ciò si pone in contrasto con il principio di tipicità degli atti amministrativi, soprattutto di carattere sanzionatorio, e con il divieto di utilizzare il potere che la legge conferisce all’Amministrazione in maniera sviata. Difatti, secondo la giurisprudenza, alla richiamata attività devono applicarsi i “principi di tipicità e di nominatività dei provvedimenti amministrativi, corollari del principio di legalità, in base ai quali il provvedimento amministrativo, mediante il quale la pubblica amministrazione esercita un determinato potere, deve essere identificato dalla norma di legge che prevede quel potere. Alla pubblica amministrazione risultano conferiti poteri tipici, ognuno dei quali risponde ad una funzione specifica, con la conseguenza che essa può adottare esclusivamente gli atti previsti dalle norme” (T.A.R. Calabria, Catanzaro, II, 6 novembre 2023, n. 1399; anche, T.A.R. Puglia, Bari, III, 20 ottobre 2023, n. 1241). L’assenza di instaurazione di un previo contraddittorio tra Amministrazione procedente, ossia la Provincia, e la società ricorrente (questione già esaminata, con riguardo alle medesime parti dell’odierno giudizio e riferite altresì allo stesso impianto, da T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 10 ottobre 2011, n. 2411) e la mancata costituzione in giudizio dell’Ente intimato impediscono al Collegio di mettere in discussione i presupposti contenuti nel ricorso e posti a fondamento del presente contenzioso (TAR Milano, 24 giugno 2024, n. 1917)
Prescrizioni e limiti
L'amministrazione può fissare limiti di emissioni più rigorosi in relazione al situazioni di vetusta dell'impianto, per il quale non si dimostri il possesso dei requisiti della migliore tecnologia disponibile. Nelle determinazioni di autorizzazione unica e di autorizzazione integrata ambientale, l’autorità competente può fissare valori limite di emissione più rigorosi delle soglie tecniche di miglior tecnologia, in tre casi specifici: quando lo richieda la pianificazione regionale in materia di ambiente, tutela delle acque o emissioni; quando lo richieda la normativa regionale; quando, in mancanza di autorizzazione integrata ambientale, lo richieda il provvedimento autorizzatorio. Non si applica l’art. 35 del decreto legge n. 133 del 2014, allorché l’impianto, in quanto autorizzato a livello regionale e non nazionale, non sia sussumibile nell’alveo applicativo delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale. Costituisce, quindi, scelta ragionevole e non manifestamente sproporzionata, in adesione al principio di precauzione, che l’autorità preposta imponga limiti e prescrizioni più rigorosi in relazione a situazioni di vetustà dell’impianto, per il quale non si dimostri il possesso dei requisiti della migliore tecnologia disponibile. Il tutto muovendo dall’ineludibile regola cardine, secondo cui i progettisti, i costruttori e i gestori di impianti di co-incenerimento non possono progettare, costruire, equipaggiare e gestire impianti aventi emissioni superiori ai valori limite. (Cons. Stato, marzo 2023, n. 2245)
Il sindacato giurisdizionale
Sindacato del giudice amministrativo. Limiti Le scelte squisitamente tecniche, sottese all’adozione dei provvedimenti di autorizzazione unica e di autorizzazione integrata ambientale, non sono sindacabili in sede giurisdizionale amministrativa, allorquando non trasmodano nell’abnormità e nella palese illogicità. Questo in ragione del fatto che il giudice amministrativo non può, in linea di principio, sostituirsi a valutazioni di cui è riservataria in via esclusiva l’amministrazione pubblica (cfr ex multis Cons. Stato, 14 marzo 2022, n. 1761) (Cons. Stato, marzo 2023, n. 2245)
Cessazione dell'attività e obbligo di ripristino dello stato dei luoghi La giurisprudenza amministrativa è costante, del resto, nel sottolineare che in base all’art. 29-sexies del d. lgs. 152/2006, nell’ipotesi della cessazione dell’attività, l’autorità competente debba garantire che “il gestore (detentore), al momento della cessazione definitiva delle attività, esegua gli interventi necessari ad eliminare, controllare, contenere o ridurre le sostanze pericolose pertinenti in modo che il sito, tenuto conto dell’uso attuale o dell’uso futuro approvato del medesimo, non comporti un rischio significativo per la salute umana o per l'ambiente a causa della contaminazione del suolo o delle acque sotterranee in conseguenza delle attività autorizzate, tenendo conto dello stato del sito di ubicazione dell’installazione indicato nell’istanza.” (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 25 luglio 2017 n. 3672) (Cons. Stato, 2 maggio 2024, n. 4003)
Bilanciamento di interessi
Bilanciamento tra beni giuridici. Negli ordinamenti democratici e pluralisti si richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. Così come per i ‘diritti’ (sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2013), anche per gli ‘interessi’ di rango costituzionale (vieppiù quando assegnati alla cura di corpi amministrativi diversi) va ribadito che a nessuno di essi la Carta garantisce una prevalenza assoluta sugli altri. La loro tutela deve essere «sistemica» e perseguita in un rapporto di integrazione reciproca. La primarietà di valori come la tutela del patrimonio culturale o dell’ambiente implica che gli stessi non possono essere interamente sacrificati al cospetto di altri interessi (ancorché costituzionalmente tutelati) e che di essi si tenga necessariamente conto nei complessi processi decisionali pubblici, ma non ne legittima una concezione ‘totalizzante’ come fossero posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, necessariamente mobile e dinamico, deve essere ricercato – dal legislatore nella statuizione delle norme, dall’Amministrazione in sede procedimentale, e dal giudice in sede di controllo – secondo principi di proporzionalità e di ragionevolezza. In virtù del principio di integrazione delle tutele ‒ riconosciuto, sia a livello europeo (art. 11 del TFUE), sia nazionale (art. 3-quater del d.lgs. n. 152 del 2006, sia pure con una formulazione ellittica che lo sottintende) ‒ le esigenze di tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile. Il principio si impone non solo nei rapporti tra ambiente e attività produttive ‒ rispetto al quale la recente legge di riforma costituzionale 11 febbraio 2022 n. 1, nell’accostare dialetticamente la tutela dell’ambiente con il valore dell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), segna il superamento del bilanciamento tra valori contrapposti all’insegna di una nuova assiologia compositiva ‒ ma anche al fine di individuare un adeguato equilibrio tra ambiente e patrimonio culturale, nel senso che l’esigenza di tutelare il secondo deve integrarsi con la necessità di preservare il primo. Se il principio di proporzionalità rappresenta il criterio alla stregua del quale mediare e comporre il potenziale conflitto tra i due valori costituzionali all’interno di un quadro argomentativo razionale, il principio di integrazione costituisce la direttiva di metodo. La piena integrazione tra le varie discipline incidenti sull’uso del territorio, richiede di abbandonare il modello delle «tutele parallele» degli interessi differenziati che radicalizzano il conflitto tra i diversi soggetti chiamati ad intervenire nei processi decisionali. A differenza delle scelte politico-amministrative (c.d. «discrezionalità amministrativa») ‒ dove il sindacato giurisdizionale è incentrato sulla ‘ragionevole’ ponderazione degli interessi, pubblici e privati, non previamente selezionati e graduati dalle norme ‒ le valutazioni dei fatti complessi richiedenti particolari competenze (c.d. «discrezionalità tecnica») vanno vagliate al lume del diverso e più severo parametro della ‘attendibilità’ tecnico-scientifica. Quando la valutazione del fatto complesso viene preso in considerazione dalla norma attributiva del potere, non nella dimensione oggettiva di fatto ‘storico’, bensì di fatto ‘mediato’ dalla valutazione casistica e concreta delegata all’Amministrazione, il giudice non è chiamato, sempre e comunque, a ‘definire’ la fattispecie sostanziale. Difettando parametri normativi a priori che possano fungere da premessa del ragionamento sillogistico, il giudice non ‘deduce’ ma ‘valuta’ se la decisione pubblica rientri o meno nella (ristretta) gamma delle risposte maggiormente plausibili e convincenti alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto. È ben possibile per l’interessato ‒ oltre a far valere il rispetto delle garanzie formali e procedimentali strumentali alla tutela della propria posizione giuridica e gli indici di eccesso di potere ‒ contestare ab intrinseco il nucleo dell’apprezzamento complesso, ma in tal caso egli ha l’onere di metterne seriamente in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica. Se questo onere non viene assolto e si fronteggiano soltanto opinioni divergenti, tutte parimenti plausibili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisione collettive, rispetto alla prospettazione individuale dell’interessato. In quest’ultimo caso, non si tratta di garantire all’Amministrazione un privilegio di insindacabilità (che sarebbe contrastante con il principio del giusto processo), ma di dare seguito, sul piano del processo, alla scelta legislativa di non disciplinare il conflitto di interessi ma di apprestare solo i modi e i procedimenti per la sua risoluzione (Cons. Stato, VI, 23 settembre 2022 n. 8167).
Conferenze dei servizi
Silenzio-inadempimento sull’istanza per il provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) relativo alla costruzione ed esercizio di un impianto agrivoltaico sperimentale. Il ricorso deve essere accolto essendo provata in atti la violazione del termine procedimentale di cui all’art. 27-bis, comma 7, D.lgs. 152/2006 il quale prevede che: “la conferenza di servizi è convocata in modalità sincrona e si svolge ai sensi dell’articolo 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il termine di conclusione della conferenza di servizi è di novanta giorni decorrenti dalla data di convocazione dei lavori. La determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale e comprende il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto, recandone l’indicazione esplicita”. In termini generali, il Collegio osserva che il ricorso contra silentium deve essere diretto ad accertare la violazione dell'obbligo dell’Amministrazione di provvedere su un'istanza del privato volta a sollecitare l'esercizio di un pubblico potere, ed esso risulta esperibile in presenza di un obbligo di provvedere nei confronti del richiedente rispetto al quale l'Amministrazione sia rimasta inerte; di conseguenza, si può configurare un silenzio inadempimento da parte dell’Amministrazione tutte le volte in cui la stessa viola tale obbligo a prescindere dal contenuto discrezionale o meno del provvedimento. Scopo del ricorso è quindi ottenere un provvedimento esplicito, che elimini lo stato di inerzia e assicuri al privato una decisione che investa la fondatezza o meno della sua pretesa, non potendo a tal fine ritenersi satisfattivi atti endoprocedimentali meramente preparatori. L’obbligo di provvedere sulla istanza del privato sussiste sia nei casi previsti dalla legge, sia nelle ipotesi che discendono da principi generali, ovvero dalla peculiarità della fattispecie, e allorché ragioni di giustizia ovvero rapporti esistenti tra Amministrazioni ed amministrati impongano l’adozione di un provvedimento, soprattutto al fine di consentire all’interessato di adire la giurisdizione per la tutela delle proprie ragioni. Sul punto va peraltro osservato come l’art. 27-bis, comma 8, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 prevede espressamente che: “Tutti i termini del procedimento si considerano perentori ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 2, commi da 9 a 9-quater, e 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241”, perentorietà che non comporta esaurimento del potere di provvedere in assenza di un’espressa previsione sulla formazione di silenzio significativo (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, 27 gennaio 2022, n. 941). Inoltre, il ricorso contro il silenzio della Pubblica amministrazione si deve reputare estinto solo quando la Pubblica amministrazione adotti un provvedimento che interrompa la sua inerzia ed integri l'assolvimento dell'obbligo di concludere il procedimento, con definizione del procedimento attivato con l'istanza inevasa (arg. ex T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 28 maggio 2018, n. 1196; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 24 gennaio 2018, n. 493; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 25 giugno 2015, n. 654); in definitiva, solo l'emanazione di un provvedimento espresso (di accoglimento ovvero di rigetto), che concluda il procedimento avviato con l’istanza dell’interessato, può determinare il soddisfacimento dell'interesse pretensivo azionato con la domanda giudiziale avverso il silenzio (cfr. T.R.G.A., sez. aut. Bolzano, 16 maggio 2019, n. 108) [...] Quanto alla restante domanda proposta con l’atto introduttivo del giudizio e relativa al risarcimento del danno da ritardo ai sensi dell’art. 2-bis della L. 241/90, va disposta la conversione del rito e la trattazione in udienza pubblica della stessa (TAR Sicilia, 8 giugno 2023, n. 1891)
Parere reso al di fuori della conferenza. Illegittimità. Nel procedimento scandito dall’art. 27 bis del d.lgs. n. 152 del 2006, come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa “tutte le Amministrazioni interessate dal progetto, e dunque con competenza propria in materia, sono tenute a partecipare alla conferenza e ad esprimere in tale sede anche i pareri di cui sono investite per legge, secondo le dinamiche collaborative proprie dello strumento di semplificazione procedimentale previsto dalla legge”, cosicché “il parere negativo espresso al di fuori della conferenza è illegittimo per incompetenza alla stregua di un atto adottato da un'Autorità priva di potere in materia” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 novembre 2018 n. 6273). Né può reputarsi, alla luce del reale sviluppo della vicenda procedimentale e dell’effettivo contenuto dell’A.U. del 19 giugno 2022, che tale atto dovesse essere immediatamente impugnato dalla originaria ricorrente nel termine di 60 giorni dalla sua adozione da parte della Regione: le previsioni in esso contenute in ordine alla ritenuta possibilità “di adottare la determinazione di autorizzazione unica”, che avrebbe dovuto “essere recepita ai fini della sua efficacia all’interno del PAUR a cura della Provincia di Foggia con la contestuale definizione del pronunciamento dirigenziale delle riferite compatibilità ambientale e paesaggistica” e alla adozione del provvedimento “sotto riserva espressa di revoca ove, all’atto delle eventuali verifiche (fossero venuti) a mancare uno o più presupposti di cui ai punti precedenti o alle dichiarazioni in atti, allorquando non veritiere”, non appaiono, in verità, direttamente e concretamente lesive di alcun interesse della società richiedente, non essendo in grado, come sottolineato dalla originaria ricorrente sia in primo grado che nelle doglianze riproposte in appello, di alterare l’assetto delle competenze così come attribuite dal legislatore e come regolarmente esplicatesi nel modulo procedimentale e provvedimentale della conferenza di servizi. […] come di recente ribadito anche dalla Sezione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 ottobre 2023 n. 8610) il parere di un’Amministrazione chiamata a partecipare a una conferenza di servizi in quanto titolare di uno degli interessi pubblici coinvolti nelle determinazioni da assumere deve necessariamente intervenire entro il termine della conferenza stessa, divenendo altrimenti irrilevante, rectius inefficace. Alla luce delle suddette argomentazioni non può, dunque, condividersi quanto affermato dal T.a.r. circa la possibilità di prendere in considerazione anche semplicemente “come fatto storico” il diniego di autorizzazione paesaggistica tardivamente emesso dalla Provincia di Foggia, risultando tale atto, in realtà, insuscettibile di entrare nel quadro procedimentale non (più) in corso di svolgimento e perciò di produrre qualsiasi effetto e non solo quello suo tipico, come ritenuto dal giudice di primo grado. L’interpretazione suesposta, frutto della attuale riflessione giurisprudenziale sulla trasformazione del ruolo della semplificazione, da valore strumentale (ossia come principio generale da collegare all’esigenza di migliorare l'efficienza amministrativa nel valutare tutti gli interessi che si confrontano nel procedimento e di aumentare l'efficacia nella cura degli interessi pubblici al contempo garantendo una più agevole tutela delle pretese del cittadino) a bene o valore di natura finale, autonomo rispetto agli interessi curati dalle amministrazioni competenti al rilascio di assensi comunque denominati e sulla attenuazione della valenza forte e assolutizzante dell’attributo di primarietà associato agli interessi sensibili come quello del paesaggio, nella misura in cui viene ammesso un loro bilanciamento in concreto con altri valori e principi, quale quello della salvaguardia dell’ambiente - nella consapevolezza dell’importanza centrale del fattore tempo nella programmazione finanziaria del privato e per il raggiungimento dell’obiettivo della competitività del sistema Paese (cfr. Cons. Stato, sez. IV. n. 8610/2023 cit.) – conduce, quindi, a giudicare illegittimi, a differenza di quanto reputato dal T.a.r., gli atti impugnati in primo grado, poiché l’Amministrazione per mutare il proprio avviso sui temi in questione avrebbe dovuto utilizzare, se del caso, il suo potere di autotutela nelle forme consentite dalla legge e non limitarsi ad esprimere al di fuori dalla conferenza di servizi e successivamente alla conclusione di essa il suo parere contrario alla realizzazione dell’intervento de quo (Cons. Stato, 29 maggio 2024, n. 4818)
Danno ambientale
Danno ambientale. Legittimazione degli enti territoriali. L'entrata in vigore della l. n. 97 del 2013 (che, modificando l'art. 311 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha concentrato la legittimazione attiva in capo al Ministero dell'Ambiente) non fa venir meno la legittimazione dei soggetti o enti territoriali diversi dallo Stato a coltivare i giudizi di risarcimento del danno ambientale precedentemente instaurati, né determina l'inammissibilità della domanda risarcitoria per equivalente che vi sia stata eventualmente proposta, ferma restando la necessità di coordinarne la statuizione di accoglimento con le prescrizioni della nuova disciplina, alla cui stregua il giudice è tenuto ad individuare le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa e a determinarne il costo, il cui rimborso potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti nel caso di omessa o incompleta esecuzione delle stesse (Corte Cass., 15 marzo 2024, n. 7073)
Danno ambientale: differenza tra compromissione e deterioramento. Il danno ambientale di cui all’art. 298 e ss. del codice dell’ambiente e contaminazione di cui agli artt. 239 e ss. del medesimo codice non sono concetti sovrapponibili. La nozione estesa di deterioramento riferibile al primo, infatti, comprende, ma non si esaurisce in, quella di “evento potenzialmente in grado di contaminare il sito”, di cui all’art. 242 del codice dell’ambiente, dal che consegue che non tutta la disciplina in materia di danno ambientale si estende alla diversa tematica delle bonifiche; voler diversamente opinare, nel senso di una totale sovrapponibilità tra i due istituti, significherebbe accettare che, con quella semplice abrogazione della lett. i) dell’art. 303 si sarebbe prodotta un’implicita abrogazione dell’intero Titolo V della Parte IV del codice (Cons. Stato, sez. IV, 8 febbraio 2023, n. 1397).
Reato di inquinamento ambientale (art. 452 bis c.p.) Ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici e, ai fini dell'integrazione di detto reato, non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno, con la conseguenza che il delitto di inquinamento ambientale, quanto all’obiettività giuridica criminosa, è un reato di danno, cosicché esso è integrato da un evento di danneggiamento cagionato in forma alternativa (ossia con il deterioramento o la compromissione) e che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa in misura tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne, anche parzialmente, l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare (Cass. Pen. 27 aprile 2023 n. 17400)
Il servizio idrico integrato
Servizio idrico integrato. Affidamento “in house”. Presupposti e criteri di scelta. Regole sulla costituzione in forma societaria e sull’assetto organizzativo del soggetto gestore “in house”. Le Sezioni Unite hanno disposto la trattazione della causa in pubblica udienza, attesa la particolare rilevanza delle questioni coinvolte, che attengono a: a) i presupposti per l’affidamento in house quale forma di gestione del servizio idrico integrato e all’individuazione dei limiti di esercizio del potere discrezionale degli enti locali ricadenti nell’ambito ottimale; b) se la relativa scelta è soggetta al rispetto di un necessario obbligo di adeguata ed analitica motivazione (col supporto di relazione tecnica e piano economico-finanziario) circa le ragioni di fatto e di convenienza che giustificano l’affidamento diretto in house della gestione del servizio idrico integrato rispetto alle altre opzioni, dando conto - perciò - delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività derivanti dalla forma di gestione prescelta, con riferimento agli obiettivi di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché con riguardo all’ottimale impiego delle risorse pubbliche; c) se la costituzione in forma societaria del soggetto gestore in house o l’acquisto delle partecipazioni (nonché il loro mantenimento), affinché lo stesso sia interamente ed obbligatoriamente partecipato da tutti gli enti locali ricadenti nell’ambito ottimale, debba avvenire nel rispetto delle norme del Tusp (d.lgs. n. 175 del 2016); d) se l’assetto organizzativo del soggetto in house gestore del servizio idrico integrato debba rispettare le condizioni e requisiti richiesti per il “controllo analogo congiunto” (o pluripartecipato) da parte di tutti gli enti locali soci (quand’anche con partecipazioni di minoranza o minime) e per l’ “attività prevalente” (previsti dal Codice dell’ambiente, dal Codice dei contratti pubblici e dal Tusp) (Sezioni Unite civili, ordinanza interlocutoria n. 1930 del 18 gennaio 2024)
Fascia di rispetto
Fascia di rispetto acque pubbliche. Divieto anche per corpi idrici coperti. Ai dell’art. 36, comma 1 del D.P.R. n. 380/2001, nel caso di opere realizzate senza titolo o in difformità da esso, è possibile ottenere il permesso in sanatoria qualora “l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello tesso, sia al momento della presentazione della domanda”. La “doppia conformità” dell’opera realizzata abusivamente è elemento indefettibile per la sua regolarizzazione postuma, che l’amministrazione è tenuta a verificare quale condizione per il perfezionamento dell’istanza di sanatoria. In questo quadro, è legittimo il diniego opposto per silentium dall’amministrazione alla richiesta della ricorrente, mancando sia la prova dell’esistenza di un valido titolo legittimante ab origine la realizzazione del fabbricato sul sedime dell’alveo del Torrente Bevera, sia l’autorizzazione attuale dell’ente competente alla tutela del reticolo idrico e alla verifica del rispetto della fascia di inedificabilità di cui all’art. 96 comma 1 lettera f) del R.D. n. 523/1904. 8.1 Tale ultima disposizione stabilisce che sono “vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese i seguenti:…f) le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento di terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”. La norma include, sotto la dizione onnicomprensiva “fabbriche e scavi” gli interventi edilizi che comportino alterazioni o modificazioni dello stato dei luoghi della fascia di rispetto, per cui trova certamente applicazione nel caso di specie, in cui di discute dell’esecuzione di opere su un immobile preesistente realizzato sull’alveo tombinato del Torrente Bevera (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 29.11.2019, n. 8184). Secondo costante giurisprudenza il divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi d’acqua ha carattere legale, assoluto ed inderogabile, essendo finalizzato “ad assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche il libero deflusso delle stesse, garantendo le operazioni di ripulitura e manutenzione ed impedendo le esondazioni delle acque (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, 22-6-2011 n. 3781; Trib. sup. acque, 24-6-2010, n. 104)” (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 11.11.2019, n. 7695; Cons. di Stato, Sez. II, 24.06.2020, n. 4052). 8.3 Il divieto si applica poi anche ai casi in cui, come nella presente vicenda contenziosa, il corpo idrico sia stato coperto, poiché tale circostanza non fa venir meno le ragioni di tutela che presiedono al vincolo di inedificabilità assoluta operante nella fascia di rispetto di legge. La giurisprudenza ha infatti chiarito “che i vincoli previsti dal R.D. n. 523 del 1904 sussistono anche per i corsi d’acqua tombinati, atteso che, a parte il caso che possano o meno essere riportati in qualsiasi momento allo stato precedente, anche per tali corsi d’acqua occorre consentire uno spazio di manovra, nel caso di necessarie attività di manutenzione e ripulitura delle condutture” (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 11.11.2019, n. 7695). 8.4 Da tali presupposti discendono conseguenze rilevanti anche sul piano della sanabilità delle opere e delle modalità per pervenire alla loro regolarizzazione, poiché l’amministrazione non può perfezionare la pratica di sanatoria se non ha consapevolezza dello lo stato legittimo del fabbricato – cioè se e in che termini sia stata originariamente autorizzata l’edificazione in fascia di rispetto – e, soprattutto, se non è stata acquisita l’autorizzazione dell’ente competente alla tutela del vincolo idraulico, circostanze chiaramente rappresentate alla ricorrente dal Comune di Renate nella nota del 9.07.2021 (TAR Milano, 26 febbraio 2024, n. 510)
Concessione di derivazione di acque pubbliche
Grandi derivazioni. E' legittima l'imposizione di un canone aggiuntivo nel periodo di prosecuzione temporanea della gestione in scadenza sino al subentro dell'aggiudicatari della gara (art. 53 bis LR 26/03. In tema di concessioni di grandi derivazioni di acqua per uso idroelettrico, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 53 bis, comma 5, della l. r. Lombardia n. 26 del 2003, nella parte in cui pone a carico dei concessionari degli impianti di derivazione idroelettrica un canone aggiuntivo nel periodo di prosecuzione temporanea della gestione in scadenza sino al subentro dell'aggiudicatari della gara, atteso che, per un verso, la previsione è contenuta in una disposizione avente rango di legge regionale, emessa nell'ambito della potestà legislativa concorrente della Regione ed in forza della specifica norma dell'art. 12, comma 8 bis, del d.lgs. n. 79 del 1999, e dall'altro che la determinazione delle modalità e degli importi del canone aggiuntivo esula dalla riserva di legge sancita dall'art. 23 Cost., non avendo il canone aggiuntivo natura di prestazione patrimoniale imposta, ma di prestazione corrispettiva del protratto sfruttamento della derivazione idrica, ancorata ad elementi tecnici ed economici del rapporto concessorio in corso, quindi a parametri non arbitrari né meramente discrezionali (Cassazione sez. unite, 14 gennaio 2022, n. 1043)
La legittimatà della concessione deve essere valutata sulla base delle norme vigenti al momento della sua adozione. La legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere valutata, sempre che la legge non disponga altrimenti, in relazione alle norme vigenti al momento della sua emanazione, e perciò anche di quelle eventualmente sopravvenute dopo l'inizio del procedimento amministrativo, a nulla rilevando la situazione normativa esistente al momento della presentazione della domanda, atteso che, diversamente opinando, si renderebbe l'interessato arbitro delle norme da applicare con la scelta del momento più conveniente in cui presentare l'istanza (Cass. Civ. 22 dicembre 2022, n. 37599)
Scarico
Scarico non autorizzato: si applica la discicplina sulle acque ove è presente un sistema stabile di collettamento e cioè una struttura che assicuri il progressivo riversamento di reflui da un punto all’altro (anche se il riversamento è occasionale). Le modalità in concreto seguite per lo sversamento segnano l’imprescindibile criterio per stabilire se vi sia stato scarico di reflui piuttosto che un abbandono o ancor più in generale uno smaltimento non autorizzato di rifiuti. In tema di inquinamento idrico, ai fini della integrazione del reato di cui agli artt. 124, comma primo, e 137, comma primo, del D.Lgs. n. 152 del 2006, costituisce scarico non autorizzato di acque reflue industriali qualsiasi immissione delle stesse che deve tuttavia avvenire attraverso un sistema stabile di collettamento che colleghi senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali. Occorre precisare che la stabilità del collettamento non va in ogni caso confusa con la presenza, continuativa nel tempo, dello stesso sistema di riversamento, in contrasto con la occasionalità del medesimo, bensì va identificata nella presenza di una struttura che assicuri il progressivo riversamento di reflui da un punto all’altro, cosicchè, in altri termini, la disciplina delle acque sarà applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue, in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile nei termini suddetti. In tutti gli altri casi, nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti (Cass. Sez. III n. 5738 del 10 febbraio 2023)
Responsabilità penale del Sindaco (art. 624 cp). La Corte ha reiteratamente affermato (Sez. 3, n. 49213 del 06/11/2014, Ingianni) che l’ipotesi contravvenzionale in esame è qualificata come reato di pericolo, cosicché per la sua configurazione è necessaria esclusivamente l'astratta attitudine delle cose gettate o versate a cagionare effetti dannosi ed è sufficiente la colpa, configurabile in tutti i casi in cui venga riscontrata l'attivazione di impianti pericolosi ovvero venga accertata la colposa omissione di cautele atte ad impedire il verificarsi della situazione di pericolo. Ancora, Sez. 3, n. 46237 del 30/10/2013, Semplici, ha precisato che è necessario e sufficiente accertare «la potenziale offensività del rifiuto o del refluo e che il getto avvenga in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato di comune o altrui uso (cfr. Cass. sez. 3, sentenza n. 25037 del 25/05/2011 Ud. dep. 22/06/2011 Rv. 250618; cfr. anche, con riferimento alla normativa preesistente, Sez. 1, sentenza n. 13278 del 10/11/1998 Ud, dep. 17/12/1998 Rv. 211869)», allargando altresì, nel tempo, l’ambito della nozione di «molestia», ravvisata ad esempio anche in caso di «mutevole colorazione del mare» causata dai reflui di un impianto di depurazione comunale, risultando palese ed intrinseco il turbamento che suscita nella comunità la visione del mare di un colore diverso da quello suo proprio (Sez. 3, n. 10034 del 07/01/2014, Calabrò, secondo cui «costituisce molestia anche il fatto di arrecare alle persone preoccupazione ed allarme circa eventuali danni alla salute»). Si è poi precisato che «la decisione consapevole di fare funzionare e gestire un impianto fognario difettoso, implica una condotta positiva di disturbo e molestia a livello igienico e non una mera condotta omissiva dell’adozione di cautele idonee ad impedire il versamento» (Sez. 3, n. 48406 del 18/10/2019, Livello, Rv. 278259 – 01; Sez. 3, n. 6419 del 07/11/2007, Costanzach, Rv. 239058 – 01)». Recentemente, la Corte (Sez. 3, n. 21034 del 05/05/2022, Ali Spa, n.m.), ha chiarito che quello di cui all’articolo 674 cod. pen. è reato di pericolo per la cui integrazione non occorre un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente «l'attitudine a cagionare effetti dannosi», precisando che non può non essere ricompresa una situazione, ove esiste uno scarico di acque altamente tossiche e maleodoranti, avvenuto in luogo pubblico (Cass. Pen., 12 gennaio 2024, n. 1451)
Il Tribunale Superiore delle Acque pubbliche (TSAP)
Il termine breve di 45 giorni per impugnare dinanzi alla Corte di Cassazione le sentenze del TSAP non viola l'art. 6 della CEDU. In tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze del Tribunale Superiore delle acque pubbliche in unico grado, la previsione del termine breve di quarantacinque giorni per l'impugnazione, di cui all'art. 202, in relazione all'art. 183, del r.d. n. 1775 del 1933 (Testo unico sulle acque), di natura officiosa in quanto decorrente dalla notificazione del dispositivo a cura della cancelleria, è conforme ai principi di cui all'art. 6, par. 1, CEDU, e dell'ordinamento unionale (art. 47 CDFUE), manifestando l'interesse dello Stato a non lasciare indefinitivamente pendenti le cause e ad assicurare, piuttosto, la sollecita formazione del giudicato e, con esso, la certezza dei rapporti giuridici, in un ambito in cui, essendovi materia di acque pubbliche, vengono in rilievo interessi pubblici e collettivi (Cassazione Sezioni Unite, 22 marzo 2022, n. 9313)
L'autorizzazione unica per la gestione di un impianto idroelettrco ricade nella giurisdizione del TSAP. Sulla base di una tradizione normativa e giurisprudenziale (tra le tante, si vedano Cass. civ., sez. un., 28 dicembre 2018, n. 33656 e Cons. Stato sez. V, 7 luglio 2014, n. 3436) che trova una precisa base testuale nelle previsioni di cui all’art. 143, 1° comma lett. a) del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, la più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha chiaramente affermato la giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche con riferimento alle controversie relative ad autorizzazioni uniche ex art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 alla realizzazione e gestione di impianti idroelettrici (Cassazione civ., 30 novembre 2021, n. 37572).
Le opera destinate alla raccolta di acque reflue urbane rientrano nella nozione di "acque pubbliche". Le opere destinate alla raccolta delle acque reflue urbane rientrano nella nozione di acqua pubblica quando sussiste l'attitudine di tali risorse idriche a soddisfare il pubblico interesse, da valutarsi, in relazione al sistema idrografico cui appartengono ed alla strumentalità dei relativi impianti, tenuto conto non solo della fase di conduzione e depurazione delle acque, ma anche di quella successiva della loro eventuale utilizzazione; rientra, pertanto, nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche la controversia relativa alla legittimità dell'annullamento d'ufficio di un permesso a costruire in sanatoria, conseguente alla prossimità del fabbricato ad un canale di raccolta di acque reflue urbane, inserito in un reticolo idrografico soggetto al regime delle acque pubbliche (Cassazione Sezioni Unite, 22 aprile 2022, n. 12962).
Varie
Contratto di ormeggio. Il contratto di ormeggio, pur rientrando nella categoria dei contratti atipici, è sempre caratterizzato da una struttura minima essenziale, consistente nella semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo; il suo contenuto può, tuttavia, estendersi anche ad altre prestazioni, quali la custodia del natante o delle cose in esso contenute, nel qual caso compete a chi fonda un determinato diritto o la responsabilità dell'altro contraente, sullo specifico oggetto della convenzione, fornire, anche a mezzo presunzioni, la relativa prova. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in relazione ad un furto di un natante ormeggiato presso un circolo nautico, aveva escluso la sussistenza di un'obbligazione di custodia senza valutare, ai fini della prova presuntiva dell'inclusione del servizio di guardiania nel contratto, tutti gli elementi indiziari acquisiti in giudizio, quali la previsione di uno specifico costo, con doppio pagamento per il noleggio e per la guardiania, e la presenza di una sottoscrizione, risultata apocrifa, di una clausola di esonero da responsabilità del circolo nell'ipotesi di furto) (Cass. Civ. 28 marzo 2024, n. 8383)